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Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

~ Società Teosofica Ticinese ri-fondata il 29/9/2009.

Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

Archivi Mensili: dicembre 2011

Famosi teosofi !

28 mercoledì Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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Scrittori

• Lyman Frank Baum, autore americano del Mago di Oz e di altre

storie per bambini (1851-1919);

• Mohini Chatterji, scrittore, fra i suoi libri più noti: Sulla Gita e

Vivekachudamani (1858-1936);

• William Butler Yeats, poeta anglo-irlandese e drammaturgo (1865-

1939);

• George W. Russell, poeta irlandese, pittore ed esperto agrario

(1867-1935);

• Talbot Mundy, pseudonimo di William Lancaster Gribbon, scrittore

inglese, autore di The Ivory Trail (1879-1940);

• Sir Edwin Arnold, autore inglese della Luce dell’Asia e de Il Canto Celestiale;

• Lewis Carrol (Charles Lutwidge Dodgson), autore di libri su Alice, di

Sylvie e Bruno, etc. (1832-1898);

• Kahlil Gibran, celebre poeta e scrittore di origine libonese (1883-

1931) (cfr. Il Profeta: la vita ed il tempo di Kahlil Gibran/Robin

Waterfield (New York: St. Martin’s Press, 1999), pag. 225);

• Sir Henry Rider Haggard, romanziere inglese, ha scritto Le Miniere

di Re Salomone, Lei, etc. (1856-1925);

• Sir Arthur Conan Doyle, autore inglese delle storie di Sherlock

Holmes, Spiritualist (1859-1930). Studiava la Teosofia ed era in

contatto con l’Associazione Blavatsky;

• Maurice Maeterlinck;, poeta simbolista belga, drammaturgo e

romanziere, ha ricevuto il Premio Nobel nel 1911 (1862-1949);

• Algernon Blackwood, scrittore di racconti sul soprannaturale ed il

mistero (1869-1951);

• Jack London, romanziere americano (1876-1916);

• E.M. Forster, romanziere inglese del Passaggio in India, etc. (1879-

1970);

• James Joyce, romanziere irlandese di Ulisse, Finnegans Wake

(1882-1941);

• D.H. Lawrence, romanziere inglese de The Plumed Serpent, etc.

“uno scrittore religioso che non rifiutò tanto il cristianesimo quanto

tentò di creare una nuova base religiosa e morale per la vita

moderna” (1885-1930);

• T.S. Eliot, poeta anglo-americano e critico (1888-1965);

• Henry Miller, romanziere autobiografico bohémien (1891-1980);

• John Boyton Priestley, romanziere inglese e drammaturgo de Time

and the Conways, I Have Been Here Before, An Inspector Calls

(1894-1984);

• Thornton Wilder, romanziere americano e drammaturgo de La

Cabala, The Bridge of San Luis Rey, Our Town, The Matchmaker

[Hello, Dolly!], The Skin of Our Teeth (1897-1975);

• Kurt Vonnegut, Jr., autore americano di romanzi satirici di critica

sociale (nato nel 1922)

• Sir Thomas (Tom) Stoppard, scrittore d’origine ceca di drammi

intellettuali, per esempio Arcadia (1993), che ha riunito L’Ultimo

Teorema di Fermat, la teoria del caos, l’architettura dei giardini e

Lord Byron; ha scritto pure Indian Ink riguardante l’indipendenza

indiana ed i teosofi (nato nel 1937);

• Edouard Schurè, scrittore, critico letterario, poeta, storico e filosofo

francese (Strasburgo, 21 gennaio 1841 – Parigi, 7 aprile 1929);

• Pierre Loti, pseudonimo di Louis Marie Julien Viaud, è stato uno

scrittore francese, membro dell’Académie française. Ufficiale di

marina, i suoi viaggi gli hanno ispirato numerosi romanzi, tra cui

Pêcheur d’Islande (Rochefort, 14 gennaio 1850 – Hendaye, 10 giugno

1923).

 

Architetti

• Claude Bragdon, architetto americano ed autore (1866-1946);

• Walter Burley Griffin, architetto americano ed urbanista che ha

lavorato nello studio di F.L. Wright e che ha disegnato il progetto

della capitale australiana, Canberra (1876-1937).

Scienziati ed inventori

• Sir William Crookes, fisico teoretico ed inventore del prototipo del

tubo catodico e della luce a fluorescenza (1832-1919);

• Thomas Edison, inventore americano della luce elettrica, del

fonografo, etc. (1847-1931) (cfr. The Theosophist, agosto 1931, pag.

657);

• Rupert Sheldrake, biologo inglese e teorico dei campi morfogenetici

(nato nel 1942);

• Camille Flammarion, astronomo francese (1842-1925);

• la Baronessa Jane Goodall, scienziata che ha lavorato con gli

scimpanzé, il cui collegamento con la Teosofia è stato riconosciuto nel

suo recente libro Reason for Hope (nata nel 1934).

 

Psicologi

• William James, filosofo e psicologo (1842-1910);

• Ian Stevenson, professore di psichiatria presso l’Università della

Virginia ed eminente investigatore di casi noti di reincarnazione.

Probabilmente è stato influenzato dalla sua formazione teosofica

(1918-2007);

• Roberto Assagioli, psichiatra, fondatore della Psicosintesi (Venezia,

27 febbraio 1888 – Capolona (Arezzo) 23 agosto 1974).

Pittori ed altri artisti

• Rukmini Devi Arundale: ha dato nuova vita all’arte indiana,

specialmente alla danza ed alla musica (1904-1986). Nel suo caso

l’appartenenza alla Società Teosofica ha favorito i suoi contatti

internazionali, tramite i quali le è stato possibile apprendere la danza

e la musica occidentali, che a loro volta le hanno dato la preparazione

necessaria per dare una nuova vita alla danza indiana. Il modo con

cui ha fatto tutto ciò sarebbe inimmaginabile senza i contatti che la

Società Teosofica le ha fornito;

• Hilma af Klint, pittrice astratta e mistica svedese (1862-1944) (cfr.3

per esempio The Theosophist, luglio 2006, pagg. 385-389);

• Piet Mondrian, pittore olandese, primario esponente del movimenti

“de Stijl” il cui stile “neoplastico” ha profondamente influenzato l’arte,

l’architettura ed il disegno grafico moderni (1872-1944). Membro

della Società Teosofica (1872-1944);

• Beatrice Wood, artista, ceramista (1893-1998);

• Paul Gauguin, pittore francese post-impressionista e primitivista

(1848-1903);

• Vassily Kandinsky, fondatore russo dell’arte non-oggettivista,

influenzato dalla Teosofia, pur non essendo socio (1866-1944);

• Gutzon Borglum, scultore monumentale dei volti presidenziali del

Monte Rushmore ed autore di un ritratto della Blavatsky (1867-

1941);

• Charles Rennie Mackintosh, architetto scozzese dell’“art nouveau” e

designer (1868-1926);

• Paul Klee, eccentrico artista svizzero del “Der Blaue Reiter” e della

Scuola Bauhaus (1879-1940);

• Nicholas Roerich, artista mistico russo, amico di Henry Wallace

(1874-1947);

• Harris Lawren, pittore canadese, è stato membro del Gruppo di

Toronto della Società Teosofica in Canada (23 ottobre 1885 – 29

gennaio 1970).

 

Musicisti

• Cyril Scott, compositore ed autore (1879-1970);

• Gustav Mahler, compositore sinfonico (1860-1911);

• Jean Sibelius, compositore musicale finlandese ispirato dal Kalevala

(1865-1957);

• Alexander Nikolaievitch Scriabin, compositore russo; “i concetti

teosofici hanno fornito le basi per l’opera orchestrale Poema

dell’Estasi (1908) e per il Prometeo (1911), conosciuti per la

proiezione di colori su di uno schermo durante l’esibizione” (1872-

1915);

• Elvis Presley, musicista americano di rock and roll (1935-1977);

• Ruth Crawford-Seeger, compositrice e specialista nella musica folk

americana (1901-1953);

• Dane Rudhyar, compositore (1895-1985).

Attori

• Florence Farr, attrice famosa per The Golden Dawn, etc. (1860-

1917);

• Dana Ivey, di Broadway, attrice del grande schermo e della tv (nata

nel 1941);

• Shirley MacLaine, attrice di film americana (nata nel 1934).

Politici

• Annie Besant, presidente della Società Teosofica, importante

attivista per l’indipendenza dell’India (già attivista per molte cause

prima di diventare socia della Società Teosofica); oratrice popolare su

molti temi (1847-1933). La sua fama ha aiutato molto l’incremento

del numero di membri della Massoneria (che accettava sia uomini che

donne). Ha contribuito all’educazione di uomini e donne in India

(continuando l’opera iniziata da H.S. Olcott, primo presidente della

Società Teosofica);

• Allan Octavian Hume, amministratore inglese in India, uno dei

fondatori dell’Indian National Congress (1829-1912);

• Alfred Deakin, artefice della Federazione Australiana e Primo

Ministro dell’Australia, 1903-04, 1905-08, 1909-10 (1856-1919);

• Hernández Martinez, Presidente del El Salvador (1882-1966);

• Henry Wallace, Vicepresidente degli Stati Uniti (1888-1965);

• Jawaharlal Nehru, la prima persona a diventare Primo Ministro

dell’India dal 1947 al 1964, (1889-1964). Ferdinand T. Brooks, un

giovane teosofo, gli ha fatto da tutore quando era adolescente. Nehru

riconosce nella sua autobiografia: “F.T. Brooks ha lasciato

un’impronta profonda su di me e ritengo di essere in debito con lui e

con la Teosofia” (Theosophical History, vol. VII, III edizione, luglio

1998);

• George Lansbury, leader del partito laburista inglese dal 1931 al

1935 (1859-1940);

• Mohandas K. Gandhi, patriota indiano, artefice del satyagraha

(1869-1948). Gandhi ha sicuramente conosciuto Annie Besant, e

aveva grande rispetto per lei. La versione della Bhagavadgītā che per

prima gli ha fatto conoscere la filosofia indiana è stata una traduzione

della Besant. Nella sua autobiografia descrive il suo primo incontro

con la Teosofia e la Società Teosofica avvenuto a Londra. I due

“fratelli” che egli menziona qui sono quasi sicuramente zio e nipote

Keightley, che alcuni hanno scambiato per fratelli, essendo così vicini

d’età. Ha contribuito ad una riformulazione dell’induismo in un

attivismo passivo, nonché ha influito significativamente sul

movimento d’indipendenza in India e sull’eliminazione del sistema

castale.

 

Femministe

• Clara Codd, una femminista che è stata imprigionata in Inghilterra

(1876-1971);

• Matilda Joslyn Gage, femminista americana e coautrice, assieme a

Elizabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony, della History of Woman

Suffrage (1815-1902);

• Gloria Steinem, scrittrice americana e femminista, editrice di Ms.;

ha riconosciuto di aver subito delle influenze teosofiche in

un’intervista nel Jewish News (nata nel 1934).

Personaggi religiosi

• Anagarika Dharmapala, una figura eminente del revival buddhista

(1864-1933);

• il Venerabile Balangoda Ananda Maitreya, “una delle eminenti figure

del buddhismo contemporaneo, non solo nello Sri Lanka, ma in tutto

il mondo” (vedi: il Capitolo 9 di Buddhism Transformed: Religious

Change in Sri Lanka, scritto da Richard Gombrich e Gananath

Obeyesekere) (24 agosto 1896-18 luglio 1998);

 

Vari

• George Robert Stowe Mead, ha reso popolare lo gnosticismo in

Inghilterra e probabilmente nel mondo (1863-1933);

• Christmas Humphreys, personaggio inglese che ha introdotto il

buddhismo in Occidente (1901-1983). Tra i suoi lavori: Christmas

Humpreys work as a judge, Christmas Humpreys: an article for the

Canadian Theosophist;

• D.T. Suzuki, ha portato il buddhismo-zen in Occidente (1870-1966).

Si è recentemente saputo che non era solo sua moglie una figura

centrale della (piccola) scena teosofica giapponese, ma che egli

stesso era membro della Società Teosofica quando viveva in

Giappone;

• H.S. Olcott, presidente fondatore della Società Teosofica: educatore

nello Sri Lanka ed in India, ha composto il catechismo buddhista, ha

dato l’avvio ad un giornale nello Sri Lanka per i singalesi, Sarasavi

Sandaresa (cfr. www.buddhistchannel.tv, 17 febbraio 2006), ha

creato la bandiera buddhista (organizzando il Comitato e dando un

impulso significativo al design finale) (1832-1907).

• Alonzo Decker, cofondatore della Società Black&Decker, si è iscritto

alla Società Teosofica in America il 3 aprile 1929 e ne è rimasto

membro fino alla fine(??-1956);

• il Generale Abner Doubleday, padre leggendario del baseball (1819-

1893);

• Maria Montessori, educatrice e fondatrice del Metodo Montessori,

basato sulla convinzione del potenziale creativo del bambino, che

viene guidato nell’apprendimento ed ha il diritto di essere trattato

come un individuo (1870-1952).

sito ufficiale della Società teosofica Italiana:

http://www.teosofica.org

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La Teosofia praticata giornalmente Costance Wachtmeister (1839-1910)

23 venerdì Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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La Teosofia praticata giornalmente

Costance Wachtmeister

(1839-1910)

 

Prefazione

 

I precetti che compongono questo libro non sono stati in origine riuniti a scopo di pubblicazione e possono quindi apparire alquanto sconnessi.

Nel pubblicarli ora, speriamo che altri abbiano l’idea di fare dei riassunti quotidiani dei libri che leggono, al fine di serbarne il ricordo ed aumentare nello stesso tempo il valore pratico delle loro letture.

Così facendo il lettore concentrerebbe in alcune pagine ciò che gli è parso essere l’essenza stessa del libro.

Sarebbe nello stesso tempo per lui cosa eccellente il ritornare sulle pagine di un tal libro di ricordi e confrontare le sue impressioni e le sue simpatie nuove con quelle dei giorni passati, osservando così come ed in qual maniera egli abbia progredito.

Noi possiamo nello stesso modo suggerire l’idea di leggere ogni mattina una serie di precetti, di provarsi a metterli in pratica durante la giornata e di meditarli nei momenti di riposo.

 

(Costance Wachtmeister)

 

Domenica

Alzati di buon mattino non appena svegliato, invece di startene in ozioso dormiveglia, quasi sognando.

Prega poi sinceramente affinché l’umanità sia rigenerata spiritualmente; affinché tutti coloro che lottano sul sentiero della Verità siano incoraggiati dalle tue preghiere e lavorino più seriamente e con miglior esito; prega infine di essere fortificato e protetto dalla seduzione dei sensi.

Rappresentati il tuo Maestro, quale Egli è, assorto in Samadhi, rappresentatelo fedelmente; pensa a lui con rispetto e prega affinché tutte le colpe di omissione e di azione ti siano perdonate.

Questo riavvicinamento purificherà il tuo cuore, faciliterà di molto la concentrazione dei tuoi pensieri e avrà ancora altri risultati.

Rifletti ai difetti del tuo carattere: comprendine tutto il male e la transitorietà dei piaceri che tu vi trovi e prendi la ferma risoluzione di fare il possibile per non ricadervi.

Questa analisi di te stesso ed il presentarti davanti al tribunale della tua coscienza, affretteranno in modo inestimabile il tuo progresso spirituale.

Nel fare il bagno esercita la tua volontà a scacciare le impurità morali come scacci quelle del corpo.

Nelle relazioni con gli altri osserva queste regole:

1) Non fare mai nulla cui non ti obblighi il tuo dovere, perché è cosa inutile. Prima di fare una cosa qualsiasi, domandati se hai il dovere di farla.

2) Non dire mai una parola inutile: pensa alle conseguenze delle tue parole prima di pronunciarle.

Non lasciarti in nessun modo trascinare a violare i tuoi principi, qualunque sia la società in cui ti trovi.

3) Non permettere mai ad un pensiero inutile di occupare la tua mente. Ciò è più facile a dirsi che a farsi.

Non puoi di primo acchito produrre il vuoto nella tua mente; prova dunque, al principio, di prevenire i pensieri oziosi o cattivi esercitandoti all’analisi dei tuoi difetti o concentrandoti nella contemplazione degli Esseri Perfetti.

4) Durante i pasti abbi cura di ben digerire per costruirti un corpo in armonia con le tue aspirazioni spirituali e di non creare in te delle cattive passioni o dei cattivi pensieri.

Non mangiare che quando hai fame, né bere che quando hai sete; mai nel caso contrario.

Se qualche cibo ti fa gola, non permetterti mai di prenderne soltanto per soddisfare il tuo desiderio. Ricordati che il godimento derivato da questo desiderio non esisteva pochi secondi prima e che cesserà di esistere pochi secondi dopo, perché è un piacere transitorio, pronto a cambiarsi in dolore se ne fai troppo largo uso.

Ricordati che solo il tuo palato ne gode e che se ti lasci attirare da questo piacere ed esso ti costa qualche fatica per procurartelo, tu commetteresti persino delle cattive azioni per ottenerlo.

Ricordati che il concentrare i tuoi desideri su di una cosa transitoria è pura follia, mentre un altro scopo può offrirti una gioia eterna.

Ricordati che tu non sei né il corpo né i sensi e che per conseguenza le pene e i godimenti provati da questi tuoi inferiori non possono colpirti in realtà.

Fa lo stesso ragionamento in qualunque altra tentazione e quand’anche tu vi soccombessi sovente, sarai sicuro di arrivare infine ad un successo reale.

Non leggere molto. Se ti assorbi in una lettura per dieci minuti, rifletti poi per più ore.

Abituati alla solitudine; cerca di trovarti solo con le tue riflessioni.

Abituati al pensiero che nessuno, all’infuori di te stesso, può soccorrerti e distaccati gradatamente da ogni cosa (1).

Prima di addormentarti prega, come hai fatto al mattino.

Passa in rivista tutte le azioni della giornata e cerca in che cosa hai sbagliato, per prendere la ferma risoluzione di non ricadervi più all’indomani.

 

Note del traduttore

(1) Questo precetto può dar luogo ad un malinteso. Il distacco dalle affezioni “esclusive” deve sopravvenire a suo tempo e “gradatamente”, come qui è indicato, a misura che l’amore si ingrandisce e si universalizza. Tale distacco, ricercato per se stesso da un’anima insufficientemente sviluppata, porterebbe naturalmente all’egoismo. Ora, come dice Annie Besant: “per quanto grossolane ed impure siano le affezioni, esse offrono delle possibilità di evoluzione morale di cui i cuori freddi ed egoisti si vedono privi. E’ più facile purificare l’amore che crearlo”.

 

Lunedì

Il motivo che deve ispirare nel ricercare la conoscenza di Sé è quello che si collega alla conoscenza medesima e non già a Se stesso.

La conoscenza di Sé è degna di essere ricercata per la sola sua virtù di conoscenza e non per la soddisfazione del Sè.

L’amore puro è essenzialmente richiesto per ottenere la conoscenza di Sé, la quale ricercata con tutta sincerità, coronerà da se stessa gli sforzi dello studioso.

Se questi si mostra “impaziente di progresso”, già in tal modo dimostra che agisce con lo scopo di una ricompensa e non per puro amore: e quindi non potrà riportare la vittoria serbata a coloro che agiscono per puro amore.

“La stessa virtù diventa un vizio, quand’è mal praticata” dice Shakespeare.

Per conseguenza cerchiamo di avere una idea chiara e giusta del movente che dirige le nostre azioni ed attacchiamoci a questo movente con fermezza; sia esso la nostra stella conduttrice, perché fiduciosi nella sua luce possiamo avanzare con sicurezza sulla diritta via.

Che il Dio “in noi”, che lo Spirito d’amore e di Verità, di Giustizia e di Saggezza, di Bontà e di Potere sia il nostro solo amore permanente e vero, la nostra assoluta confidenza, la nostra unica Fede incrollabile come la roccia, la nostra unica Speranza, sopravvivente a tutte le cose periture.

Che questo Dio sia l’unica meta che noi cerchiamo di raggiungere “con pazienza”, aspettando che il nostro cattivo karma (1) sia esaurito ed il divino Redentore rivelerà la sua presenza nell’anima nostra.

Il contentarsi del proprio stato è la porta per la quale e gli entra; poiché colui che si lagna della sua sorte è anche scontento della Legge che l’ha fatto quale egli è; ed essendo Dio stesso la Legge, Egli non verrà a coloro che si lagnano di Lui.

Se noi riconosciamo di trovarci nella corrente di evoluzione, ogni circostanza della nostra vita deve sembrarci perfettamente giusta.

E persino nella nostra impotenza a compiere certi atti si trovano i migliori compensi, perché è così che possiamo imparare la serenità raccomandata da Krishna (2).

Se tutti i nostri progetti riuscissero, non percepiremmo alcun contrasto.

Può darsi anche che i nostri progetti siano stati concepiti nell’ignoranza, e quindi mal concepiti: la buona Natura non ci permette di metterli in esecuzione.

Noi non meritiamo nessun biasimo per averli formulati ma possiamo attirarci un demerito karmico non accettando la loro mancata realizzazione.

Se ti senti accasciato, i tuoi pensieri perderanno molto della loro forza ed è naturale.

Uno può trovarsi in prigione ed essere tuttavia un lavoratore per la causa.

Ti consiglio dunque di scacciare dal tuo cuore il disgusto per ciò che ti circonda.

Se tu riesci a guardare ogni circostanza come la realizzazione del tuo desiderio, non soltanto il tuo spirito acquisterà nuovo vigore, ma il tuo corpo sarà fortificato da una specie di azione riflessa.

Agire, ed agire saggiamente quando il momento dell’azione è venuto; aspettare, ed aspettare pazientemente quando è il momento del riposo; queste due cose mettono l’uomo in armonia con il flusso e riflusso delle imprese.

Sostenuto dalla Natura e dalla Legge, con la verità e la bontà come fari, gli è dato di compiere delle meraviglie.

L’ignoranza di questi principi ha per risultato da un lato dei periodi di entusiasmo irragionevole e dall’altro uno scoraggiamento che talvolta raggiunge la disperazione.

L’uomo diventa quindi la vittima delle maree “quando dovrebbe esserne il padrone”.

Sii paziente, o candidato, come colui che non  teme la sconfitta e non corteggia il successo.

“L’energia accumulata non può essere annientata” ma deve essere trasferita in altre forme o trasformata in altri modi di movimento; essa non può restare per sempre inattiva e tuttavia esistere.

E’ inutile cercare di vincere una passione sulla quale non abbiamo nessun impero.

Se l’energia accumulata da questa passione non è diretta verso altre vie, crescerà sino a diventare più forte della volontà e più forte della ragione.

Per dominarla bisogna guidarla verso vie differenti e più elevate; così un amore va rivolto a qualche cosa di elevato: “il vizio può divenire virtù quando se ne trasforma la meta”.

La passione è cieca, essa va dove la si dirige e la ragione è una guida più sicura dell’istinto.

Bisogna dunque che le forze accumulate dalla collera o dall’amore trovino il modo di spendersi per uno scopo qualunque, onde evitare una esplosione funesta a colui che ne è posseduto. “La calma segue la tempesta”.

Gli antichi dicevano che la natura ha orrore del vuoto.

Noi possiamo annichilire una passione e, se la scacciamo, un’altra influenza elementale ne prenderà il posto.

Per questo non dobbiamo cercare di distruggere ciò che è inferiore senza sostituirlo con qualche altra cosa ma dobbiamo sostituire ciò che è volgare con ciò che è elevato, il vizio con la virtù, la superstizione con la cognizione.

 

Note del Traduttore

 

(1) Il Karma o Legge di causalità; legge per la quale noi raccogliamo ciò che abbiamo seminato.

(2) Krishna, nona incarnazione di Vishnu; preso in senso generale “un salvatore del mondo” o la “Grande Anima Universale”.

 

Martedì

Impara sin da ora che non vi è rimedio né contro il desiderio, né contro l’amore della ricompensa, né contro il male della cupidigia, se non fissando la vista e l’udito su ciò che è invisibile e inaudibile.

Bisogna che l’uomo creda nei suoi poteri innati di progresso; bisogna che l’uomo non si lasci spaventare dalla sua natura superiore e che non si lasci ritardare e trascinare dal suo io inferiore e materiale.

Tutto il passato ci mostra che le difficoltà non giustificano lo scoraggiamento e ancor meno la disperazione.

Ogni ostacolo nella vita può trasformarsi in benedizione; senza ostacoli lo sviluppo spirituale non sarebbe possibile.

Appunto per ciò conservati sereno sotto l’assalto dei dispiaceri: tu non puoi sviluppare il tuo carattere che combattendo il male opposto ad ogni virtù.

Non puoi scoprire la verità che lottando contro l’errore e comprendendo che attorno a te nel mondo tutto è illusorio.

Il primo obbligo di chi entra nel “sentiero” è di cercare la forza che lo spingerà innanzi. Dove si può trovarla? Guardandosi attorno non è difficile vedere dove altri l’abbiano attinta: la sorgente di questa forza è nella fede profonda.

L’uomo che lotta contro se medesimo non può guadagnare la battaglia se non quando abbia la coscienza di compiere in questa lotta l’unica cosa degna di essere compiuta.

“Non resistere al male”, cioè non lagnarti, non sentire collera contro i dispiaceri inevitabili della vita.

“Dimentica te stesso” (lavorando per gli altri). Se gli uomini ti fanno torto, se ti oltraggiano o ti perseguitano, che vale resistere loro?

Con la resistenza, noi creiamo dei mali maggiori.

Il lavoro immediato, “qualunque esso sia”, deve essere considerato come un dovere e la sua importanza, grande o minima, non deve essere presa in considerazione

Il miglior rimedio contro il male non è la soppressione ma “l’eliminazione” del desiderio; il miglior modo per giungervi è di tenere lo spirito costantemente fisso sulle cose divine.

La conoscenza del Sé superiore è ritardata dal fatto di soffermarsi con lo spirito sugli oggetti che corrispondono ai sensi sregolati e di compiacersi nella loro contemplazione.

La nostra natura personale è così bassa, così vana, così piena di ambizione, così gonfia dei suoi appetiti, dei suoi giudizi e delle sue opinioni, che se le tentazioni non la provocassero, essa sarebbe perduta senza rimedio; perciò noi siamo tentati allo scopo di conoscere noi stessi ed “imparare l’umiltà”.

L’uomo che si crede giusto si prepara un letto di fango. Astieniti da ciò.

Sappi che la più grande tentazione è di trovarsi “senza tentazioni”; in conseguenza rallegrati quando ne sei assediato ma resisti con rassegnazione e perseveranza, con lo spirito in pace.

Comprendi che tu non hai da agire per te stesso ma che la Divinità t’impone certi doveri.

Aspira a Dio senza desiderare alcuno dei suoi benefici.

Tutto ciò che è da farsi deve essere compiuto ma non per godere del frutto dell’azione.

Se noi agiremo pienamente coscienti che i nostri atti non ci procureranno alcuna retribuzione ma che devono essere compiuti semplicemente perché è necessario compierli, in altri termini perché è nella nostra natura di agire, allora la personalità egoistica si indebolirà sempre di più in noi, fino a sparire completamente, permettendo alla conoscenza di rivelare il “vero Sé”, brillante in tutto il suo splendore.

Non dobbiamo permettere né alla gioia né al dolore di fare ostacolo ai disegni che ci siamo prefissi di mettere in esecuzione.

La cognizione cresce in proporzione dell’uso che se ne fa; vale a dire, più insegniamo, più impariamo.

Per conseguenza, cerca la Verità con la fede di un bambino, “con la volontà” di un iniziato; della tua abbondanza dai a colui che non ha di che confortarsi durante il viaggio.

Nessun uomo è tuo nemico; nessuno è tuo amico. “Sono tutti tuoi istruttori”.

Non operare mai con lo scopo di ottenere i frutti di un beneficio, sia temporale, sia spirituale ma applicati a compiere la Legge dell’esistenza secondo la volontà di Dio.

 

Mercoledì

Non vivere né nel presente, né nel futuro ma nell’eterno.

La gigantesca erba del male ivi non può fiorire; questa macchia sull’esistenza si trova cancellata dall’atmosfera medesima del pensiero eterno.

La purezza del cuore è una condizione necessaria per raggiungere la conoscenza dello Spirito.

Due sono i mezzi principali con i quali puoi arrivare a questa purificazione: 1. caccia con persistenza ”ogni pensiero cattivo”; 2. conservati equanime in ogni circostanza; “che nulla ti agiti, che nulla ti irriti”. Sperimenterai che l’amore e la carità sono le migliori preparazioni a questi mezzi della tua purificazione.

Non si deve restare in ozioso riposo senza cercare di progredire, sotto il pretesto di non sentirsi abbastanza puri.

“Ciascuno aspiri al Divino” e lavori seriamente ma segua la retta via, senza dimenticare che il primo passo in questa è la purificazione del cuore.

Però né l’amore né la carità purificheranno il cuore, se non procedono dal cuore medesimo, se non sono sinceri e non simulati.

Molti devoti fanno le loro preghiere come se queste fossero un compito obbligatorio, inventando perfino dei metodi ingegnosi per abbreviarle.

Un’azione così ispirata è senza utilità.

In simile occasione la carità è sovente illusoria, poiché la sua essenza medesima è il sacrificio e senza sacrificio ogni sforzo è inefficace.

Lo spirito ha bisogno di purificazione ogni qual volta si è sentito in collera, si è detta una menzogna o si sono svelati gli errori altrui senza necessità; ogni qual volta si è parlato od agito coll’intenzione di adulare; ogni qual volta si è ingannato qualcuno col mancare di sincerità in parole o in azioni.

Quelli che desiderano essere salvati devono allontanare da sé la cupidigia, la collera e gli appetiti inferiori e coltivare la coraggiosa obbedienza alle Scritture sacre, lo studio della filosofia spirituale e la perseveranza nella loro realizzazione pratica.

Colui che è spinto da considerazioni egoistiche non potrà entrare nel Cielo, dove le vedute personali non esistono.

Colui che non cerca il Cielo vi si trova di già, quando è felice là dove si trova, mentre l’uomo malcontento si lamenta invano.

Il trovarsi senza desideri personali è essere liberi e felici ed il “Cielo” non significa altro che uno stato di libertà e di felicità.

L’uomo che fa il bene, spinto dalla speranza della ricompensa, non è felice prima di avere ottenuto questa ricompensa; e quando l’ha ottenuta la sua felicità ha fine.

Non può esservi riposo permanente, né felicità, finché il lavoro assegnato non sia compiuto ed il compimento di un dovere porta con se stesso la sua ricompensa.

Colui che si crede più puro di un altro, colui che esalta il proprio orgoglio al pensiero di essere esente dal vizio, colui infine che si crede superiore ai suoi fratelli in qualunque cosa, è incapace di divenire un discepolo.

L’uomo deve ridiventare come un piccolo fanciullo, prima di poter entrare nel regno dei Cieli.

La virtù e la sapienza sono cose sublimi ma se creano l’orgoglio ed un sentimento di separatività dal resto degli uomini, esse non sono che i serpenti dell’Io, i quali riappaiono sotto una forma superiore.

La prima regola da seguire è quella del sacrificio, cioè della sottomissione del cuore e delle proprie emozioni; questa regola porta alla conquista di un equilibrio che le impressioni personali non possono scuotere.

Senza indugio metti le tue buone intenzioni in pratica, non lasciandone nessuna allo stato di intenzione.

Il motivo di un’azione sia nell’azione stessa e mai nella sua ricompensa.

Non lasciamoci affatto impegnare all’azione dalla speranza del risultato, senza però incoraggiare la nostra tendenza all’inerzia.

Colla fede il cuore è purificato dalla passione e dalla follia; poi viene la padronanza del corpo ed in ultimo la dominazione dei sensi.

Le caratteristiche del savio illuminato sono le seguenti:

1° Egli è libero da ogni desiderio e sa che solo è gioia il Sé o Supremo Spirito; tutto il resto è dolore;

2° Egli non si rallegra di un avvenimento piacevole, né si rattrista di un accidente spiacevole, e agisce distaccato dalla opere.

In ultimo viene la dominazione dei sensi.

Ma questa senza la seconda caratteristica è inutile e sovente pericolosa (poiché genera ipocrisia ed orgoglio spirituale) e non ha grande utilità senza la prima caratteristica.

Non è teosofo chi non pratica l’altruismo; non è preparato a dividere il suo ultimo pezzo di pane con uno più debole o più povero di lui; trascura di aiutare l’uomo, suo fratello, quali ne siano la razza, la nazione o la credenza, in qualunque tempo ed in qualunque luogo lo veda soffrire e fa il sordo al grido della miseria umana; sente infine calunniare un innocente senza prenderne la difesa, come farebbe per se stesso.

 

Giovedì

L’uomo non agisce con rettitudine se rinnega i doveri positivi della vita, doveri che emanano dal divino comandamento.

L’uomo agisce in vista di un risultato se per paura di una disgrazia non osa compiere il suo dovere ed agisce ancora per il risultato se pensa che il compimento di questo dovere appianerà le difficoltà del suo cammino.

I doveri devono essere compiuti semplicemente perché Dio li ordina, Dio che può in ogni tempo comandare il loro abbandono.

Fintanto che l’agitazione della nostra natura non sarà cambiata in tranquillità, dobbiamo agire consacrando alla Divinità tutti i frutti delle nostre azioni, attribuendo ad essa il potere di compierli alla perfezione.

La vera vita dell’uomo è il riposo nell’identificazione collo Spirito supremo.

Non v’ha dubbio che molte delle tue occupazioni siano volgari.

Ciò che prepara alla vita di discepolo non sono già le occupazioni stesse ma il modo col quale queste sono compiute; non è già il genere di lavoro che tu hai da compiere in questo mondo ma il modo col quale tu lo compi, lo spirito che tu vi metti, le forze colle quali tu l’esegui.

Per quanto volgare ti sembri l’opera alla quale sei legato in questo momento, tu puoi impiegarla come una preparazione pel tuo spirito, dirigendo questo – per mezzo della concentrazione – verso un solo punto, qualunque sia questo punto.

Fintanto che l’uomo vive in un corpo mortale, egli è tormentato da dubbi a causa della sua ignoranza.

Bisogna disperderli colla “spada della cognizione”.

Tutti i dubbi provengono dalla natura inferiore, mai, in nessun caso, dalla natura superiore.

E per ciò, progredendo nella devozione, l’uomo diventa sempre più capace di apprezzare meglio e più chiaramente la cognizione che risiede nel suo Satwa (1).

La Bhagavad Gita dice:

“Un uomo diventato perfetto in devozione (o che persiste a cercar la devozione), trova la cognizione spirituale spontaneamente in se stesso, col progredire del tempo”.

Ma l’uomo di spirito scettico non gioisce né di questo mondo né dell’altro (il Devachan) (2), né della beatitudine finale.

Sbarazziamoci soprattutto dell’idea che se il Sé superiore esiste in noi, egli trionferà del nostro bisogno di cognizione e ci condurrà, malgrado la nostra indolenza ed i nostri dubbi, alla beatitudine finale in unione con tutto il genere umano.

La vera preghiera è la contemplazione di tutte le cose divine e la loro applicazione alla nostra vita ed alle nostre azioni quotidiane.

La vera preghiera è accompagnata dal desiderio più profondo e più intenso di aumentare l’influenza di queste cose divine, affinchè ci sia data la cognizione e le nostre vite diventino migliori e più nobili.

Tutti i nostri pensieri devono essere completamente penetrati dalla coscienza dell’Essere supremo, da cui ogni cosa è uscita.

La cultura spirituale può essere ottenuta colla concentrazione del pensiero, la quale va praticata di giorno in giorno; bisogna servirsene ad ogni momento.

La meditazione è stata definita come “la cessazione di ogni attività esterna del pensiero“.

La concentrazione è una tendenza della vita intiera verso uno scopo definito; per esempio: la madre devota è quella che sa ispirarsi agli interessi dei suoi figli in ogni cosa e sopra ogni cosa, e non quella che fissa costantemente i suoi pensieri sopra un unico lato dei loro interessi.

Il pensiero ha il potere di riprodursi indefinitamente, e quando lo spirito si attacca ad un’idea, se ne impregna – per così dire – e tutto ciò che è corollario a questa idea sorge in lui.

Per questa ragione il mistico ottiene la conoscenza di ogni questione sulla quale medita costantemente.

“Pensa a me, dice Krishna, servimi, offrimi il sacrificio e l’adorazione; con ciò tu verrai a me”.

La vita è il grande istruttore, essa è la potente manifestazione dell’anima e l’anima manifesta il Supremo.

Per conseguenza tutti i metodi che portano a questo grande scopo e cioè alla devozione, sono buoni.

“La devozione è l’anima dell’azione”, dice la Bhagavad Gita.

Se i poteri psichici ti sono dati, bisogna saperne usare con precauzione.

Il loro valore non deve essere esagerato, né ignorati i loro pericoli.

Colui che confida in essi somiglia all’orgoglioso che si sente trionfante solo perché ha saputo raggiungere la prima stazione della via nella sua ascensione verso le alte Cime.

 

(1) Satwa: verità, saggezza, purità; significa qui la parte nobile dell’uomo. (N.d.T.).

(2) Devachan: letteralmente, mondo degli Dei; il piano celeste, il Cielo dei Cristiani. (N.d.T.).

 

Venerdì

Vi è una legge eterna: l’uomo non può essere salvato da un potere esteriore a lui stesso.

Se ciò fosse possibile, un angelo sarebbe da lungo tempo sceso sulla terra, avrebbe pronunciato delle verità celesti e, manifestando facoltà di natura spirituale, avrebbe provato alla coscienza umana centinaia di fatti di cui essa è tuttora ignorante.

La colpa è commessa altrettanto realmente in ispirito, quanto con gli atti del corpo.

Colui che odia un suo fratello per una ragione qualunque, colui che ama la vendetta e si rifiuta di perdonare un’offesa, quello è pieno dello spirito omicida, senza che nessuno lo sospetti.

Colui che s’inginocchia davanti a false credenze, od urta la sua coscienza col sottometterla alle leggi di qualche ordine religioso, quello bestemmia la sua anima divina e “nomina il nome di Dio invano”, anche se non pronuncia mai giuramenti.

Colui che è cupido, colui che si trova in simpatia coi soli piaceri dei sensi, sia nelle relazioni coniugali o all’infuori, quello è il vero adultero.

Colui che priva uno dei suoi fratelli della luce o del soccorso che potrebbe dargli e che vive per accumulare le cose materiali desiderate, quello è il vero ladro.

E colui che deruba ai suoi fratelli la preziosa padronanza del loro carattere colla calunnia o con qualche delazione, quello pure non è altro che un ladro, ed un ladro della più colpevole specie.

Se gli uomini si contentassero di essere onesti verso se stessi e ben disposti verso gli altri, un immenso cambiamento si produrrebbe nella loro esistenza e nel loro apprezzamento delle cose della vita.

Sviluppa il tuo pensiero.

Metti tutta la tua energia a chiudere la porta del tuo spirito ad ogni pensiero errante, lasciando aperta l’entrata solo a quelli che ci rivelano l’essenza della realtà della vita esteriore e la pace del mondo interiore.

Pondera notte e giorno la nessuna realtà di ciò che ti circonda, come pure quella della tua personalità.

L’assalto dei pensieri cattivi è meno pericoloso della carezza dei pensieri oziosi e indifferenti; perché quando si tratta dei pensieri cattivi tu ti trovi sempre in guardia ed il solo fatto che tu sei deciso a combatterli e a vincerli ti aiuta a sviluppare il tuo potere di volontà.

Invece i pensieri indifferenti servono a distrarre l’attenzione ed a disperdere l’energia.

Il primo grande errore da distruggere è la identificazione del tuo Io col tuo corpo fisico.

Applicati a pensare al tuo corpo come ad una abitazione temporanea e non cederai mai alle sue tentazioni.

Fa delle prove ripetute per vincere la debolezza principale della tua natura, sviluppando il tuo pensiero nella direzione che ucciderà in te qualunque particolare passione.

Dopo i primi sforzi, comincerai a risentire un vuoto indefinibile nel cuore: non temere e considera ciò come la dolce aurora che precedere il sorgere della gioia spirituale.

La tristezza non è affatto un male.

Non ti lagnare: ciò che ti sembra sofferenza ed ostacolo, spesso non è in realtà che il misterioso sforzo della natura per aiutarti nella sua opera, se tu sai servirtene a proposito.

Considera ogni circostanza colla gratitudine di uno scolaro.

Qualunque lamento è una ribellione contro le leggi del progresso.

Il passato non potrebbe essere né cancellato né rinnegato; ciò che appartiene alle esperienze del presente non può essere evitato e non lo sarà.

Ma è possibile evitare i turbamenti anticipati o i timori dell’avvenire ed ogni atto o impulso che possa causare dei dolori presenti o futuri agli altri come a noi stessi.

 

Sabato

Non vi è bene superiore a quello di un Ideale sublime al quale un uomo aspira continuamente  e sul quale modella i suoi pensieri e sentimenti, dirigendo la sua vita sulla miglior via possibile.

Se combatte per diventare, piuttosto che per parere, egli non mancherà di avvicinarsi alla sua meta.

Non la raggiungerà tuttavia senza lotte ed il reale progresso che egli è cosciente di conseguire non lo renderà vanitoso del suo valore personale; perché, se il suo Ideale è veramente elevato e se i suoi progressi verso questo Ideale sono reali, egli se ne umilierà piuttosto che inorgoglirsene.

La possibilità di progredire ancora e la concezione dei piani superiori di esistenza che si apre ai suoi occhi, non fermeranno il suo ardore ma uccideranno sicuramente la sua vanità.

E’ certo che la concezione di questi vasti orizzonti della vita umana è necessaria per scacciare l’indifferenza e convertire l’apatia in zelo.

La vita diventa preziosa per se stessa quando se ne sono comprese la missione e le splendide opportunità.

La via più diretta e più sicura per raggiungere questi piani superiori è la pratica del principio dell’Altruismo nel pensiero e negli atti.

E’ stretta, in verità, la sfera di visione che si limita all’io e fa procedere ogni cosa dall’interesse personale; perché se l’anima è così limitata, le riesce impossibile di concepire un Ideale elevato e di salire verso un piano superiore di esistenza.

Le condizioni di un reale progresso riposano piuttosto in noi che fuori di noi stessi e sono fortunatamente indipendenti dalle circostanze e dalle condizioni della vita.

E’ per questo che ciascuno può trovare l’occasione di avanzare nelle regioni sempre più alte dell’Essere e di là lavorare colla natura al compimento dello scopo manifesto della vita.

Se noi pensiamo che l’obbiettivo della nostra esistenza è semplicemente di soddisfare l’io materiale e di circondarlo di benessere, se noi crediamo che il benessere materiale porti con sé il più elevato stato di felicità, noi prendiamo l’inferiore per il superiore e l’illusione per la verità.

Il nostro modo di vita terrestre è una conseguenza della costituzione materiale dei nostri corpi.

Noi siamo dei vermi della terra perché tutte le nostre aspirazioni vanno verso la terra.

Facendo un passo nell’Evoluzione, grazie al quale diventeremo meno materiali e più eterei, vedremo apparire un ordine di civilizzazione assai differente dal nostro e le cose che ora ci sembrano indispensabili cesseranno di esserlo.

Quando il nostro essere cosciente potrà trasportarsi colla rapidità del pensiero da una parte all’altra del globo, i mezzi attuali di comunicazione non saranno più necessari.

Più ci sprofondiamo nella materia, più materiali sono le nostre condizioni di benessere; il Dio essenziale e potente che si trova nell’uomo non è affatto materiale e per conseguenza è indipendente da tutte le restrizioni imposte dalla materia.

Quali sono i bisogni reali della vita?

La risposta a questa domanda dipende intieramente dalle nostre idee riguardo a ciò che ci è necessario.

Le ferrovie e i bastimenti per ora sono un bisogno per noi; eppure, milioni di esseri hanno passato delle lunghe vite felici senza nulla saperne.

Ad un uomo il possesso di una dozzina di palazzi sembrerà una necessità assoluta; ad un altro una carrozza e così di seguito.

Tali necessità esistono solo perché l’uomo stesso le ha create; questi beni gli rendono gradevole lo stato nel quale egli si trova presentemente e lo spingono a restarvi, senza desiderare nulla di più elevato.

Per conseguenza ritardano il suo sviluppo invece di affrettarlo.

Bisogna che ogni cosa materiale cessi di essere per noi un bisogno, se vogliamo realmente progredire nella spiritualità.

E’ il desiderio ed è la dissipazione dei pensieri alla ricerca dei piaceri inferiori, che impediscono all’uomo di entrare nello stato superiore.

Per avanzare spiritualmente, devi aver fede nel trionfo supremo della Vita divina in te e nell’evoluzione della tua anima, della quale alla fine nulla potrà deludere le speranze.

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SAMVADA Radha Burnier

23 venerdì Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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SAMVADA

Radha Burnier

 

In India numerose opere religiose e filosofiche, inclusa l’universalmente conosciuta “Bhagavad Gita”, sono descritte come conversazioni (samvada) tra un devoto, un ricercatore, un indagatore (della Verità) ed un essere divino o saggio.

Samvada non significa solamente parlare insieme, ma anche essere in sintonia e armonia nella relazione.

Il significato sottinteso di questo termine suggerisce che, allo scopo di perseguire una fruttuosa indagine religiosa, il ricercatore non deve avere barriere interiori quando si accosta ad un saggio o ad un istruttore.

Se i suoi interrogativi sono posti con spirito superbo o scettico, o con dubbi latenti sul valore del maestro, il contatto tra le due volontà non è utile.

Il maestro da parte sua, se è un vero saggio, non ha pregiudizi ed è disponibile nei confronti dello studioso e di ogni ricercatore.

Questo, e altro, è implicito quando si utilizza il termine “samvada” per descrivere gli insegnamenti religiosi dati, secondo l’opinione comune, da alte fonti e trascritti nelle opere antiche.

La “Bhagavad Gita” non consiste solamente in un lungo discorso; esso è frammezzato da osservazioni, commenti ed interrogativi di Arjuna.

Un altro famoso testo religioso, che fa parte della letteratura buddhista, presenta delle discussioni tra il saggio Nagasena e il re Milinda, un re Bactrian conosciuto anche come Menandro.

Allora i re non erano esenti da profonde ricerche religiose; molti di loro andavano come umili ricercatori da uomini di cultura e ricevevano consigli non solo per scopi pratici, ma anche per chiarire la loro veduta filosofica e religiosa e ricevere ispirazione per avanzare verso l’illuminazione spirituale.

Tradizionalmente il ricercatore era incoraggiato a porre delle domande. A volte si trovava posto di fronte a domande enigmatiche e doveva scoprire da solo le riposte.

In inglese la parola “dialogo”, applicata alle conversazioni incluse nelle opere di Platone e, in tempi recenti, alle discussioni che Krishnamurti sosteneva con seri ricercatori, ha bisogno di essere spiegata, come è stato fatto da David Bohm e da altri, perché non ha l’insita risonanza del sanscrito “samvada”, ma il significato è lo stesso.

Il ricercatore non deve essere un ascoltatore muto, ma attivo, vibrante e corrispondere, dal suo livello, in modo tale da procedere armoniosamente con il maestro verso una più profonda consapevolezza e comprensione.

Questo può aver voluto significare l’osservazione di Krishnamurti che la comunicazione ha luogo quando due persone si incontrano nello stesso momento, allo stesso livello o con la stessa intensità.

L’intensità dell’ispirazione del discepolo alla verità deve coincidere con quella del maestro a condividere.

Essere allo stesso livello può non essere riferito al livello di comprensione, ma piuttosto ad un accordo (una armonizzazione>) tra due note in due ottave diverse.

Come ha scritto uno dei Mahatmas: “ La ricettività deve essere pari al desiderio di insegnare”.

La liberazione dalla dissonanza interiore rende manifesta una profonda affinità, un vibrante senso di unità.

Una seria conversazione di natura religiosa o spirituale, che conduca in profondità, è impossibile quando esistono preconcetti e pregiudizi in colui che ricerca.

Naturalmente questi non sono presenti nel maestro perché, se ci sono, non è un autentico maestro possessore di saggezza.

Quindi, di volta in volta, le persone consapevoli di queste difficoltà hanno messo in evidenza la necessità della libertà interiore, libertà da preconcetti e da idee fisse.

Colui che veramente ricerca deve spogliarsi delle sue passate idee ed opinioni, cessare di ragionare e di discutere e preoccuparsi esclusivamente della Verità.

Scrive Madame Blavatsky: “La sua mente deve essere perfettamente libera da tutti gli altri pensieri, così che vi possa essere impresso il significato recondito delle istruzioni, indipendentemente dalle parole di cui esse sono rivestite”.

Prendere le parole e dimenticare che esse sono simboli, è stata la rovina degli uomini e donne che avevano tendenze di tipo religioso.

Questa è una trappola nella quale molte persone cadono inconsciamente.

Quando c’è un chiaro riconoscimento che le parole sono semplici simboli, utili mappe per indicare la direzione, e che “non c’è religione più alta della verità” e quando la mente non scambia la conoscenza dei concetti e le parole per verità, le divisioni religiose e settarie non possono esistere.

Tutti i veri aspiranti, anche se esteriormente collegati con questa o quella tradizione, sono come le dita di una mano.

La verità è una esperienza sempre viva, dinamica e consapevole e quelli che “conoscono” hanno quindi sempre incoraggiato lo spirito di ricerca che conduce alla realizzazione interiore.

Gli scambi fatti nello spirito giusto, se li chiamiamo dialogo, discussione o “samvada”, sono un mezzo.

Quando il ricercatore partecipa, con le sue rispettose e serie domande, al lavoro di scoprimento della verità, come hanno fatto Arjuna e tanti altri, non ci si stabilizza in un modello.

Poi la luce può venire da dentro e uno può abbandonare il piano delle parole e delle idee, almeno per una volta, per quello dell’intuito o dell’esperienza vera.

 

Generare la violenza futura

Il XX secolo è stato definito : “Senza dubbio il più feroce secolo di cui abbiamo testimonianza per la gamma, la frequenza e la lunga durata delle guerre di cui è pieno”.

Sofferenze enormi e molto diffuse sono state inflitte ai civili e non solo ai combattenti.

Un effetto di questi terribili conflitti è che molti bambini sono rimasti orfani, mutilati, traumatizzati; molti di loro sono diventati appartati, altri violenti e molti che erano nati durante periodi di conflitti non hanno ricevuto un’educazione.

La sola cosa che hanno imparato è che devono combattere per mangiare e sopravvivere.

Ora è un fatto accettato che l’educazione è la chiave, sia per il controllo della popolazione, sia per lo sradicamento della povertà.

In Africa milioni di bambini non frequentano mai la scuola elementare e la situazione è solo leggermente migliore nel complesso dei paesi sottosviluppati.

I bambini rimangono orfani non solo a causa delle guerre ma anche per la rapida diffusione dell’Aids.

Secondo l’Unicef, tredici milioni di bambini diventeranno orfani entro la fine del 2000.

Molti di loro vivono in paesi estremamente poveri e i nonni, che vivono al limite dell’inedia, non hanno molte possibilità di far fronte alla situazione.

I bambini provvedono a se stessi ad una età molto giovane e si assumono, nella misura in cui possono, la responsabilità dei fratelli.

Lasciati sulla strada, essi sono minacciati, sfruttati e sottoposti ad abusi da parte di vicini lascivi o di gente di passaggio.

Il rapporto dell’Unicef dice: “Spesso emozionalmente vulnerabili e in condizioni finanziarie disperate, i bambini orfani sono più probabilmente vittime di abusi sessuali e costretti in condizioni di sfruttamento, come la prostituzione, come mezzo di sopravvivenza”.

Lo Zambia risulta avere la più alta percentuale al mondo di bambini orfani, lasciati indifesi dopo che i genitori sono morti di Aids; nella sola capitale Lukasa, ce ne sono trentasettemila sulle strade.

Nell’euforia per il nuovo secolo ed il nuovo millennio, facciamo una pausa per pensare come pochi delle future generazioni cresceranno in condizioni che faranno il nuovo secolo migliore di quello passato.

Il futuro sarà sicuramente una continuazione del presente, in cui sempre più i ragazzini, e perfino i bambini, verranno usati come soldati nelle zone di combattimento.

Fin da piccolo imparano ad uccidere e  diventare immuni alla vista dei massacri e delle sofferenze.

Questi futuri cittadini del mondo che stanno diventando adulti con l’idea che la ferocia è normale nella vita umana, non faranno il mondo più violento?

Anche nelle situazioni in cui non si combatte, quando le armi sono facilmente disponibili, i bambini che ne uccidono altri affrontano processi ed incarcerazioni come fossero dei criminali adulti.

Il più giovane ad essere giudicato come un adulto (in Michigan, U.S.A.), a undici anni aveva avuto a che fare con la polizia venti volte; a tredici anni , quando fu processato per omicidio, capì a stento il procedimento legale del tribunale.

Secondo i rapporti, tra il 1992 ed il 1995, quarantuno degli stati U.S.A. hanno approvato la legislazione per la detenzione dei bambini e per giudicarli come adulti quando abbiano commesso “crimini da adulti”. In ventiquattro di questi stati i ragazzini possono essere giustiziati.

Quando vengono messi in prigione con gli adulti molto probabilmente diventeranno bruti incorreggibili.

Nella sola Florida settemila minorenni sono stati processati in un anno in tribunali per adulti.

I centri di detenzione sono pieni di giovani criminali non solo negli Stati Uniti ma anche in altre parti.

Alcuni sono nei “boot camps”, luogo in cui sono addestrati all’obbedienza con severe punizioni, nonostante si stia lentamente capendo che un trattamento duro è controproducente ed ha come risultato quello di farli divenire criminali incalliti.

In un recente resoconto del giornale “The Hindu”, a Chennai descrive come i bambini siano utilizzati nei macelli come la più conveniente forma di manodopera.

Raccolgono il sangue degli animali morti , trasportano le carcasse e l’immondizia e fanno altri lavori che i membri adulti del gruppo vogliono rifilare loro.

Le condizioni sono abominevoli, ma i bambini ci si abituano.

Fin da piccoli imparano a fumare e a bere e si ammalano.

Secondo i pediatri i danni psicologici sono peggiori delle malattie: “Sono così abituati alle torture e alla violenza che presto non vedranno la differenza tra il sangue degli animali e quello degli esseri umani”, dicono.

Nel caso dei due ragazzi inglesi di undici anni che, rapito un bambino di due anni da un centro commerciale, l’hanno torturato ed ucciso, il “Tribunale Europeo per i Diritti Umani” ha deciso che non era stato fatto loro un giusto processo.

Mentre venivano condotti in tribunale, la folla infuriata urlava contro di loro ed in tribunale gli spettatori non nascondevano la loro ostilità.

Quello che era successo era naturalmente shockante, ma i “criminali” erano bambini.

Quando fu apparentemente fatto un tentativo per ottenere loro di partecipare ai procedimenti giudiziari e consultare i loro avvocati, essi non furono in grado di cooperare.

E’ davvero strano aspettarsi che bambini piccoli si comportino con maturità!

Che cosa ha prodotto la loro azione? Cosa c’è di sbagliato nel modo attuale che incita i giovanissimi a commettere tali crimini?

Non si tratta solo dei bambini che lavorano nei macelli o di quelli che lavorano negli stabilimenti agricoli, anche coloro che  vedono i genitori prendere i fucili per sparare a scoiattoli, uccelli e cervi non imparano a distinguere tra animali ed esseri umani. A loro uccidere sembra normale.

Il nuovo secolo sarà civilizzato quando milioni di questi ragazzi che imparano ad essere brutali e assassini saranno parte della popolazione adulta?

I bambini sono come tenere, giovani piante che non possono diventare buoni alberi quando sono costantemente colpite e maltrattate.

Hanno bisogno di una atmosfera affettuosa, dell’opportunità di crescere nella consapevolezza dei valori umani.

Quelli che si preoccupano del futuro devono quindi battersi inequivocabilmente per un mondo senza guerre e senza crudeltà praticate su esseri umani o animali.

La Terra deve essere preparata alla compassione umana.

 

Da “The Theosophist”  febbraio 2000

 

Traduzione di Daniela Cavazzuti.

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La Pace inizia nella mente Mary Anderson

23 venerdì Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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La Pace inizia nella mente

Mary Anderson

 

Questo secolo è stato caratterizzato da numerose guerre, distruttive ed atroci più che in qualsiasi altro periodo la storia abbia registrato. Così gli uomini desiderano ardentemente la pace. Ma cosa intendono per pace?

Possono pensare alla pace come libertà dalla guerra e definire quest’ultima come conflitto organizzato, armato, che si esprime, a livello fisico esteriore, tra nazioni, con tutto l’orrore dei ferimenti, uccisioni e sofferenze che questa comporta: non solo sofferenza fisica, ma anche psicologica – e non solo per i combattenti ma anche per i loro parenti ed amici, per i civili innocenti ed anche per coloro che sono direttamente responsabili di queste efferatezze, i quali possono essere distrutti e deformati nel carattere come risultato di ciò che hanno fatto.

In questo modo possiamo pensare alla pace come assenza di guerra, libertà dalla guerra. Ma pace significa solo questo? I conflitti possono esistere indipendentemente dalla guerra.

In tempi cosiddetti “di pace”, nei paesi in pace da molti decenni e nelle nazioni neutrali, ci sono, da una parte, conflitti e violenza sulle strade, in casa, nelle scuole e negli uffici (il cosiddetto “mobbing”); ci sono crimini e persecuzioni, sia fisiche che verbali.

Inoltre, d’altra parte, in quegli stessi paesi che presentano un alto tenore di vita si verificano molti casi di depressione ed altri problemi, che necessitano di cure psichiatriche e che possono addirittura portare al suicidio.

Ecco quindi che le persone bramano non solo la pace esteriore, cioè libertà dalla guerra, ma anche libertà dalla violenza sotto ogni forma e soprattutto desiderano la pace interiore, la libertà dai conflitti interiori.

Perché aneliamo alla pace interiore? Ovviamente, a causa del nostro desiderio di sfuggire alla paura del terrore del conflitto interiore. Torneremo su questo.

Esiste quindi un conflitto esterno: la guerra ed altre forme di violenza in generale.

Anche se non ci sono conflitto o violenza esterni, ce ne potrebbe essere il timore, ovvero la paura degli altri, di ciò che loro potrebbero fare a noi stessi o alla nostra famiglia, ai nostri amici e compatrioti.

Per esempio, anche se nulla è accaduto a me o ai miei cari, potrebbe ancora accadere.

Questa è la paura di qualcosa di esterno, che tuttavia ha origine dentro di noi.

Potremmo immaginarci di essere attaccati, di ferire, di trovare il modo di difenderci anche se non c’è stato alcun attacco reale eccetto che nella nostra mente, che viene così tenuta occupata in pensieri violenti.

Questi pensieri nutrono la violenza in noi stessi e possono attirare violenza da parte di altri. Tale è il potere dell’immaginazione.

Ed ecco che tutta la violenza come la guerra inizia nella mente dell’uomo.

E’ possibile evitare questa preparazione interiore all’autodifesa? Fu chiesto a J. Krishnamurti cosa avrebbe fatto se qualcuno assalisse sua sorella. Non la difenderebbe? La sua risposta fu: ”Io ho sempre vissuto senza violenza”.

Questa affermazione era pertinente? Lo era certamente, perché, come la violenza mentale porta alla violenza esteriore, così la non- violenza mentale, ahimsa, porta la non violenza nel mondo.

 

Questo getta una nuova luce sulla politica della neutralità armata, sulla filosofia che sta dietro al detto degli antichi romani: “Se vuoi la pace, prepara la guerra” o alla credenza che ‘La miglior difesa sia l’attacco’.

Noi tutti siamo però consapevoli, se convinti della verità di certi insegnamenti teosofici, che ogni azione ed evento- costruttivi o distruttivi che siano- iniziano nei nostri pensieri e che ciò che la gente- inclusi tutti noi- pensa, porta presto o tardi ad azioni ed eventi visibili all’esterno. Da qui la grande importanza della pace dentro di noi.

Ma l’abbiamo quella pace interiore? Spesso in noi si verifica un conflitto che può assumere diverse forme.

Qualche volta siamo in guerra con noi stessi o contro noi stessi. La qual cosa può prendere la forma di una lotta tra i nostri desideri e i nostri doveri o tra desideri o doveri conflittuali. O ancora si può presentare una contraddizione fra la nostra immagine delle cose e la realtà.

Qualche esempio può essere d’aiuto. Il conflitto tra il desiderio e il dovere può essere rappresentato dal nostro dovere ad assumerci determinate responsabilità e il nostro desiderio di fuggirle. Desideri conflittuali possono consistere, per esempio, nel desiderare fortemente cibi dolci e il rimanere in salute e magri!

Oppure possiamo anelare al successo nei nostri studi o negli affari da una parte, e dall’altra arrenderci all’urgenza di divertirci o di oziare.

Il dovere nei confronti della nostra famiglia o della nazione può non essere in accordo col nostro dovere verso l’umanità.

In base a come concepiamo quest’ultimo, possiamo diventare, a seconda delle circostanze, un pacifista o un obiettore di coscienza. Ma un pacifista può essere a volte una persona molto violenta.

Conobbi una volta un pacifista fortemente militante! La decisione di essere un pacifista o un obiettore di coscienza è molto personale.

Dovremmo però essere coscienti dei pericoli del fanatismo e di quegli atteggiamenti del tipo “io sono più pio di te” o del cercare la corona del martirio.

C’è spesso conflitto tra la nostra immagine delle cose, le persone e la realtà. Possiamo aver cristallizzato delle idee e fare generiche affermazioni, intorno a situazioni, ad altre persone e a noi stessi, per esempio, “gli scozzesi sono avari”, “gli americani sono materialisti”, o ancora “gli indiani sono spirituali”.

Nel nostro intimo sappiamo che non si può generalizzare però ignoriamo l’evidenza, a questo riguardo, contraddicendo le nostre convinzioni.

Ciononostante , ci confrontiamo spesso con tale evidenza e subiamo uno shock nel constatare l’ospitalità dei bisognosi in un paese come la Scozia, la grande generosità degli americani e il fatto che in India non ci sono soltanto veri guru ma anche tanti ciarlatani!

O forse ancora poniamo qualcuno che stimiamo su di un piedistallo ma questi, essendo un essere umano, ci delude e, ai nostri occhi, cade da quel piedistallo ignominiosamente.

Oppure consideriamo qualcun altro come inferiore e dovremo poi forse ammettere con rammarico la sua superiorità in qualche campo.

Possiamo anche considerare noi stessi coraggiosi, leali, amorevoli e retti e renderci conto inaspettatamente, di aver detto, fatto o pensato qualcosa di vile, sleale, crudele o disonesto.

Ci cogliamo in flagrante. Allora possiamo rifiutarci di credere, ovvero ignoriamo ciò che abbiamo detto, fatto o pensato. Come il proverbiale struzzo, nascondiamo la testa sotto la sabbia seguendo il motto: “Ciò che non vedo, non esiste”.

Oppure minimizziamo o giustifichiamo le nostre azioni- o, se le ammettiamo- diamo via libera al rimorso o alla depressione piuttosto che affrontare il conflitto fra ciò che immaginiamo e ciò che realmente è accettandolo senza esserne sconvolti.

A questo proposito, Krishnaji disse qualcosa di importante: “Cosa accade quando si pone completa attenzione a ciò che chiamiamo violenza?” ( e non la condanniamo, la fuggiamo, la giustifichiamo, sosteniamo che sia naturale; tutto ciò è disattenzione).

Sicuramente quando si dà completa attenzione, c’è cura, che non può esistere se non abbiamo affetto e amore.

E quando si dà attenzione a quelle cose in cui si trovi amore, lì c’è violenza?…Quando si pone attenzione a ciò che ho chiamato violenza – e in quella attenzione c’è cura, affetto e amore- dove c’è spazio per la violenza?” (1).

Attenzione significa vedere le cose come sono, senza giustificarle o rifiutarle.

Ma se rifiutiamo ciò che è, ad esempio, la violenza, il conflitto continua; scava sempre più e potrebbe, un giorno o l’altro, esplodere come un vulcano.

In questo senso la lotta interna rappresenta un problema.

D’altra parte, questo può apparentemente portare ad azioni necessarie e nutrire la solidarietà.

Siamo spinti all’attività come misura difensiva oppure possiamo attirare verso di noi gli altri in opposizione ad un comune nemico. L’attività e la comune partecipazione che nascono in situazioni conflittuali possono essere utili e addirittura necessarie.

Non ci può essere alcun altro modo per gli esseri umani, per come essi sono al presente, per uscire dall’apatia e cominciare a sentire profonda comprensione verso l’altro. Ma è davvero necessaria ed utile tutta questa attività?

E l’amicizia che si instaura di fronte ad un comune pericolo, non può dimostrarsi fragile, talvolta, quando questo viene superato?

Forse, tutto sommato, noi gustiamo questo conflitto, sia esteriore che interiore, in modo perverso!

Perché lo giustifichiamo e ne godiamo? E’ proprio necessario? Analogamente si dice spesso che la sofferenza è necessaria. Possono gli esseri umani imparare soltanto dalla sofferenza e dalle lotte?

Ciò sembra appartenere alla nostra presente evoluzione umana, ma potrebbe non essere necessariamente così.

Per capire il compito del conflitto- se ha un compito- dobbiamo considerare la pace. Cosa intendiamo per pace, esteriore ed interiore? Desideriamo la pace quando siamo stanchi della lotta, delusi delle nostre vite, degli altri o di noi stessi.

Dunque la pace che aneliamo è assenza di conflitti, una reazione contro questi- qualche volta tranquilla e negativa. Può la pace essere qualcosa di positivo, che implichi armonia, amore e creatività?

Vi sono due interpretazioni di ciò che chiamiamo pace, corrispondenti a due dei tre gunas della filosofia indiana. C’è un tipo negativo di pace: l’assenza di lotta, persino assenza di azione. Questo corrisponderebbe al guna di tamas o pigrizia.

Si è detto qualche volta che chi non agisce non commette errori e chi non commette errori è privilegiato!

Poi c’è un tipo positivo di pace, corrispondente a sattva– l’armonia. E tra questi due gunas – pigrizia e armonia – c’è rajas che rappresenta la lotta, la passione, l’eccitamento di cui godiamo. C’è una sequenza logica, almeno in teoria, nei tre gunas, che possono spiegare il perché del conflitto, perché lo gustiamo, perché ci fa da maestro e persino perché ci è necessario.

Vediamo questa successione nella vita umana: il bambino piccolo dorme moltissimo ed è soddisfatto quando viene nutrito, amato e coccolato. Questo stato è un’espressione di tamas che è meraviglioso e naturale.

Molto presto, però, rajas prende il sopravvento: se il bambino non ottiene ciò che vuole, per esempio il cibo, l’affetto o i giocattoli, si rattrista e piange. Si arrabbia e ha scoppi di collera.

E continua in questo modo durante la vita. Ciò che vogliamo, in seguito, può cambiare.

Desideriamo allora il successo, il denaro, il rispetto per gli altri, la loro amicizia, qualcuno da amare, quello che è chiamato lo “stato spirituale”. (ma esiste?).

E se non le otteniamo ci addoloriamo e ci arrabbiamo, sebbene non si possa più piangere o sbottare di rabbia come il bambino.

Ma non è necessario lo stato di rajas al fine di risvegliarci dalla pigrizia?

Non deve lo stato vegetativo di indolenza essere vinto dall’animale selvaggio che c’è in noi, superando di gran lunga la violenza animale, prima che lo stato umano ideale di sattva possa essere raggiunto? Il desiderio selvaggio, soddisfatto o no, porta alla sofferenza che ci richiama a sforzi ed imprese coscienti. Come la puntura di una zanzara o il terremoto, questo risveglia i dormienti.

Analogamente si dice che manas (la mente) può esser sviluppata nell’uomo solo sulla base di kama (il desiderio).

In altre parole, la via conduce dall’inconsapevole ma perfetto (naturale) stato di tamas al consapevole ma imperfetto stato di rajas e poi di nuovo alla perfezione ma questa volta cosciente di sattva e questo nel momento in cui realizziamo quanto fugace sia la felicità derivata dalle cose esteriori e consapevolmente o no, smettiamo di identificare con la nostra natura ciò che è tamas e ciò che si desidera ardentemente che è legato a rajas ed è dipendente dall’ottenere ciò che si vuole.

Qualcuno può raggiungere la pace di sattva ad un certo grado in età avanzata; qualcuno la potrà ottenere fra non molto; altri ci sono nati. Questo stato sattvico di pace corrisponde ad un più profondo aspetto del nostro essere, della nostra natura spirituale. A differenza di tamas non è pigrizia, ma è l’autentica base di tutte le azione giuste, di armonia e pace.

Così la pace non è soltanto uno stato esteriore, ma interiore e non solamente passivo ma dinamico. Questa è la Pace che esprime la comprensione, la Pace come è intesa da quel Grande Essere che disse: ”Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. (2).

Questo non è dipendente da cause esterne. Lo spirito è in pace e libero, qualunque siano le circostanze esterne: “Muri di pietra non fanno una prigione, e neppure sbarre di ferro una gabbia”.(3)

Ognuno di noi cerca la pace. Come possiamo incoraggiarla? Come la guerra ha origine nella mente degli uomini, così la pace.

Possiamo essere consapevoli, in teoria, del potere del pensiero e della necessità di pace interiore.

Ma come può avvenire in noi? Può richiedere molta ricerca spirituale come essere ottenuta in un momento. Il primo passo potrebbe consistere nel diventare consapevoli dei nostri conflitti interiori, di farseli amici ma guardandoli oggettivamente. Allora possono scomparire.

Krishnaji disse, riguardo l’origine del conflitto: “Dove c’è divisione, là ci deve essere lotta. Questa è la legge!”.(4).

Divisione, in questo caso, significa divisione psicologica e cioè lo stare a parte come individuo o gruppo, da altri individui o gruppi. Se non ci fosse conflitto, non ci sarebbe una tale divisione che ci separa dagli altri, nei nostri cuori.

Questo non esclude la diversità. Siamo tutti differenti gli uni dagli altri superficialmente: fisicamente e psicologicamente; ma dentro, spiritualmente, siamo indivisibili.

Non possiamo separarci da nessuno interiormente. “Non ti vantare del fatto che tu possa stare lontano dall’uomo malvagio o dallo stolto. Loro sono te stesso”. (5).

Cosa accade nelle relazioni umane quando c’è  lotta? Se la tua relazione con l’altro è superficiale, per esempio, dipendente da un piacere fisico o emotivo o da un accordo mentale, e siamo convinti di essere separati e differenti dagli altri o forse migliori e più interessanti di loro, allora il conflitto sarà possibile in un qualsiasi momento.

Se invece la nostra  relazione con gli altri è ad un livello più profondo, in cui ”gli spiriti si interscambiano attraverso il velo di materia”, allora ci sentiamo più vicini agli altri, vediamo le loro manchevolezze come se questi fossero noi stessi, e proviamo simpatia e comprensione anche se non sempre riusciamo ad essere in accordo con loro.

Una reale pace interiore si raggiunge quando la lotta dentro di noi finisce, perché quest’ultima, che è ad un livello superficiale, ci impedisce di sentire  quella pace che è sempre dentro di noi nel profondo.

Eppure non è una pace passiva ma forza, amore e gioia. Pace interiore, forza, amore e gioia, irradiano le nostre menti, i nostri sentimenti, e persino i nostri corpi e creano qualcosa di costruttivo e cooperativo con gli altri.

Ed ecco che la pace che esprime la comprensione può illuminare le nostre vite e, dal momento che noi tutti condividiamo la stessa vita, e siamo la stessa vita, si può diffondere e piantare il seme della pace esteriore – l’assenza di guerra e di violenza.

La Prima Nobile Verità proclamata dal Buddha parla di dolore, di sofferenza. E non è la violenza dolore? Non comporta sofferenza?

La Seconda Nobile Verità tratta delle cause del dolore. E non è la causa della violenza qui, sulla soglia di casa, qui nei nostri cuori? E così anche la fine del dolore – la Terza Nobile Verità, consiste in una trasformazione nei nostri cuori, nella vita quotidiana.

Allora il Nobile Ottuplice Sentiero – la Quarta Nobile Verità – rivelerà dinanzi a noi, poiché avremo fatto il primo gradino, la giusta percezione delle cose, che include la causa interiore della miseria umana, della violenza, e la conoscenza del fatto che la pace inizia nella mente, ossia nella nostra mente, che è più vicina a quella degli altri di quanto si possa immaginare.

Come possiamo realizzarlo? Come avvicineremo gli altri – siano essi esseri umani, animali, la natura in generale o il Divino, il Sacro – in una relazione vera e profonda?

Allontanandoci da noi stessi, dalla nostra boria e dall’egoismo, non desiderando più di essere qualcosa. Solo allora ci sarà una stanza nei nostri cuori per gli altri.

Questo causerà la vera pace in noi e nel mondo. Il mistico tedesco, Johannes Tauler, se ne rese conto quando scrisse i seguenti versi: (6).

Vera Pace.

“In verità, abbiamo sempre desiderato ardentemente di essere qualcosa, di essere più degli altri. Da ciò tutte le lotte e le fatiche – per essere grandi, ricchi, superiori, potenti. 

Ognuno di noi costantemente anela ad essere o a sembrare d’essere qualcosa.

Tutta la nostra miseria nasce solamente dal desiderio di essere qualcosa.

La gioia dell’essere nulla condurrebbe – in tutti i sentieri della vita, ovunque, in tutte le persone – alla completa, vera, fondamentale ed eterna pace. Sarebbe il più felice, tranquillo, e nobile stato che questo” mondo ha da offrire. Ma nessuno ne è interessato, ricco o povero, giovane o vecchio.

 

 

Tratto da:“The Theosophist” (Febbraio 2000)

 

Mary Anderson è Vicepresidente della Società Teosofica.

 

Traduzione di Fabrizio Ferretti.

 

Note e riferimenti bibliografici.

 

  1. The Book of Life, June 22
  2. Gv 14,27
  3. To Althea from Prison, Richard Lovelace
  4. The Structure of our Being, p. 12
  5. Light on the Path, 1,5
  6. Da  Geh den inneren Weg di Willigis Jager.

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Digressione

… auguri di buon Natale

23 venerdì Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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Marco Boccadoro Ordine, Libertà, Amore

20 martedì Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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Marco Boccadoro

Ordine, Libertà, Amore

In questa stagione, la Natura si risveglia, obbedendo ad un immutabile rito, e basta guardarci attorno per stupirci, come ogni anno, della potenza del grande progetto che regge il Tutto. C’è Dio nella bellezza di questo ordine che tutto pervade.

Infatti un ordine assoluto regge i mondi, l’universo è in equilibrio tra forze potentissime, le galassie, le stelle, i mondi esistono in armonia con il progetto del Grande Architetto. Osservando come dai germogli di una pianta nascano e si sviluppino, di nuovo come ogni anno, fiori meravigliosi, di come l’Unità della Vita tutto pervada, solo uno stolto può evitare di rivolgere almeno un pensiero a Dio.
Anche Plotino dice:[1]
“Quanto sia assurdo e degno di un uomo incapace di comprendere e di guardare, l’attribuire al meccanicismo e al caso l’esistenza e la formazione dell’universo, è chiaro anche prima di ogni ragionamento…. La Natura dell’Intelligenza e dell’Essere costituisce il mondo vero e primo, che non esce fuori di sé stesso, e non perde la sua forza per divisione, né diventa incompleto in nessuna delle sue parti, poiché ciascuna di esse non è separata dal Tutto, ma ogni sua vita ed intelligenza vive ed intende insieme in una unità, così che ogni parte diventa un tutto ed è unita in sé stessa senza essere separata da un’altra”.
Ci si può chiedere, alla luce dei disastri provocati dalla Scienza dagli apprendisti stregoni che giocano ad essere Dio, quanto la libertà di agire degli individui porti scompiglio nell’ordine Naturale.
E’ sotto gli occhi di tutti quali effetti possa provocare la manipolazione dell’atomo, e in generale, il vezzo della scienza occidentale di ridurre il mondo ad alcune semplici leggi che ci illudiamo di dominare. Ciò può essere tranquillizzante e ci permette di prendere buoni voti a scuola, alle lezioni di fisica. Il mondo diventa simile ad un paesaggio in miniatura per trenini elettrici di cui noi siamo le divinità.
Ma la realtà è molto più complessa di così.
Un anno fa, in questa sede, terminavo la mia conferenza così:
C’è molto Male nel mondo, e come la maggior parte del Male è provocata dall’Uomo, la soluzione è nell’Uomo.
Come è scritto nella lettera numero 10 dei Mahatma ad A. P. Sinnett:
“… Il vero male proviene dall’intelligenza umana e la sua origine è provocata solo dall’uomo razionale che si allontana dalla Natura…L’ambizione, il desiderio di procurare la felicità e gli agi a coloro che amiamo, ottenendo onori e ricchezze, sono sentimenti naturali e degni di lode, ma quando trasformano l’uomo in un ambizioso e crudele tiranno provocano inenarrabili sofferenze in coloro che lo circondano, nelle nazioni e negli individui….
Non si deve quindi disprezzare la Natura né un’immaginaria Divinità, ma la natura umana resa abbietta dall’egoismo.”[2]
Come ben sappiamo, ogni cosa è in costante movimento e tutti gli esseri sono collegati da una serie infinita di azioni e reazioni: il karma, la legge di causa effetto.

Scrive magistralmente Edoardo Bratina nell’introduzione al Karma della Signora Besant [3]:
“Non è l’onda che sommerge l’uomo, ma l’azione personale del naufrago che si sottopone all’azione impersonale della legge che governa il moto del mare. Il karma non crea nulla né mira a qualcosa. E’ l’uomo che progetta e crea le cause e la legge karmica equilibra gli effetti…
Il karma non cerca mai di distruggere la libertà intellettuale e individuale, come il Dio inventato dai monoteisti.”
Parafrasando Bratina non è colpa del terremoto e dello Tsunami se la radioattività sta avvelenando il Giappone.
E qui arriviamo al problema della libertà individuale. In questo ordine globale, può esistere la libertà ? Il libero arbitrio? Siamo liberi? O siamo soggiogati dal karma e quindi tanto vale lasciarci trasportare dalla corrente?
La risposta teosofica è semplice: poiché generiamo continuamente nuovo karma, siamo liberi di
tendere al Male o al Bene, anche solo con il pensiero, influenzando così il destino nostro e dei nostri simili per il futuro. Ed inoltre, se non ci fosse il libero arbitrio, non vi sarebbe neppure più il concetto di Bene e di Male, di premio o di castigo, ed un’universale Ingiustizia dominerebbe l’Universo.
Siamo quindi liberi, ma la virtù deve limitare il libero arbitrio. Ognuno di noi è soggetto al grande progetto evolutivo e deve “guadagnarsi la salvezza”, nelle parole di Buddha.

Infine, l’ Amore.

Gesù dice: questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. [4]
E nel Levitico sta scritto: Ama il prossimo tuo come te stesso [5]
L’Amore è il grande messaggio cristiano, e di tutte le grandi religioni. La Teosofia amplifica ulteriormente il messaggio cristiano.

Krishnamurti, [6] scrive:

“Di tutti i requisiti, il più importante è l’Amore, poiché se esso è sufficientemente sviluppato in un uomo, l’obbliga ad acquistare tutti gli altri che senza di esso non sarebbero mai sufficienti.
…effettivamente è la volontà di essere uno con Dio, non perché tu possa agire con Lui e come Lui. Siccome egli è amore, se vuoi divenire uno come Lui, tu pure devi essere pieno di perfetto disinteresse e di amore.
…
Nella vita giornaliera questo implica due cose:
primo, che tu abbia cura di non nuocere ad alcun essere vivente; secondo, che tu sia costantemente in guardia per non lasciarti sfuggire le occasioni di recare aiuto.
…
Il sapere che rende capaci di aiutare, la volontà che dirige quel sapere, l’amore che ispira quella volontà sono i tre aspetti del Logos”

Ma cos’è l’Amore?

Ancora Krishnamurti dice che, l’Amore essendo ignoto, è opportuno giungervi scartando il noto, cioè per negazione [7]:
“
• non è possesso, poiché dal possesso nascono la gelosia, la paura, i conflitti
• non è sentimento: il sentimentalismo e l’emozione sono pure sensazioni
• essere colmi di emozione non è amore
• attenzione all’egoismo che ne può derivare e che porta alla separatività.
• Chi prega non conosce l’amore, se persegue un fine, un risultato attraverso la devozione
…
• non c’è amore se non c’è rispetto
Quando tutto è giunto a termine, nasce l’amore.”

Cioè quando la possessività, la separatività, le emozioni, i sentimentalismi, le emozioni, l’invidia, l’avidità, il freddo calcolo le cose della mente non riempiono più il nostro cuore, allora vi è amore.
Citando a questo proposito la Signora Blavatsky :

“Sopra tutto impara a distinguere la scienza del cervello dalla Sapienza dell’Anima, la dottrina dell’Occhio da quella del Cuore.”

E solo l’amore può cancellare la presente insania e follia nel mondo.

Grazie per l’attenzione.

Marco Boccadoro

Bibliografia:

[1] Plotino, Enneadi, III,2
[2] Lettere dei Mahatma ad A.P. Sinnett, trascritte da A.T. Barker, Adyar Edizioni
[3] A. Besant, Karma, ETI, p.14
[4] Giovanni, 15,17
[5] Levitico, 19,18 anche 19,34
[6] J. Krishnamurti, Ai piedi del Maestro, ETI
[7] J. Krishnamurti, La prima ed ultima libertà, Ubaldini Ed. Roma, p. 181 e segg.
[8] H.P.Blavatsky (traduzione), La Voce del Silenzio, Edizioni teosofiche italiane, ISBN 88-86829-66-3, 2002

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Le Vie Della Mente Superiore – Psicologia Moderna – Ispirazione – Idealismo, Giancarlo Fabbri

20 martedì Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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Quando l’uomo attribuisce una minore importanza alla sua immagine al centro del mondo, egli riconduce la propria coscienza, in maniera trascendentale, verso il mondo del reale dal quale, essa viene proiettata verso l’esterno.

L’immagine è, infatti, una idealizzazione di ciò che noi siamo e, se vogliamo che essa non resti unicamente una sterile proiezione, è necessario focalizzarla per poterla trasferire nella nostra coscienza e, da questa, nel mondo del reale. È una introspezione nella quale la coscienza viene sollecitata da “un qualcosa di seducente” che le consente di sperimentare la conoscenza reale nella sua essenza.

Sperimentando il mondo reale, l’uomo non percepisce un fatto sensoriale bensì, una esplosione di gioia, una luce splendente di una affascinante bellezza e si meraviglia di non avere saputo immaginare, prima di allora, l’esistenza di un mondo diverso e più bello del suo, nonostante si rimetta in gioco con la solita dimestichezza e lo stesso stato mentale.

Da questo momento, egli è consapevole di un altro mondo, migliore, e il suo problema assume una valenza e ragione di essere nella realtà interiore anziché in quella della quotidianità.
Nel nostro mondo la materia è separata dallo spirito ma, nel mondo reale, materia e spirito, sono una sola cosa nella coscienza e nella mente e in tutte le cose create ed esistenti, dalla più infinitesimale, che è l’atomo, alla più grande, che è Dio manifestazione di Vita.

La coesistenza tra spirito e materia fa sì che ogni manifestazione della mente prevalga e crei in noi una sensazione spirituale dell’immagine. In caso contrario, la sensazione sarebbe solamente di una immagine formale. Ad ogni modo, qualsiasi manifestazione riveste lo stesso significato che è poi quello della mente divina.

L’uomo si pone il problema della sua esistenza e sviluppo nel tempo del mondo visibile nel quale darà una risposta all’inizio e alla fine del ciclo evolutivo poiché nel mondo del reale il problema esistenziale si estinguerà. Tutto ciò che si manifesta come reale nel mondo è superiore a qualsiasi soluzione della stessa mente mentre il concetto di spazio verrebbe annullato allorquando l’uomo penserà ai tanti e diversi esseri viventi, separati e lontani e, nell’esperimentare del reale, scoprirà che tutti questi esseri si trovano già dentro di noi e l’umanità intera sarà formata da esseri diversi e assemblati e costituirà una sola unità perché, è già unita a Dio.

L’uomo non conosce abbastanza bene la sua mente e, quando cerca di comprenderla meglio, ha un comportamento contrastante perché gli è difficile persuadersi che possa esistere un mondo coscienziale più veritiero della sua stessa immagine.

Egli osserva e scruta inizialmente ciò che è distante, lontano, prima di venire a contatto con quello che lo circonda con meraviglia e stupore.

Una nuova psicologia indaga sulla attività nascosta della coscienza che l’uomo non conosce ancora. Essa spalanca nuovi orizzonti sul frazionamento della mente in rapporto all’intelletto, suo unico mezzo mediatico, e la formazione della stessa mente. L’uomo è portato a pensare a qualcosa o a qualcuno nonostante non sappia affermarne la ragione poiché, se osserva non pensa, e viceversa, e gli sarà necessario ripartire dalla coscienza per poter osservare e pensare contemporaneamente.

Il pensiero in sé non è determinante perché, se ci lasciamo catturare dai pensieri, costruiamo delle immagini dove ci muoviamo e viviamo modi e atteggiamenti imprevedibili, talvolta inesistenti e intense dispute emotive. Diventiamo dei personaggi importanti, epici , eroici dei quali non sappiamo dare una pronta risposta esauriente che svanisce come d’incanto perché è molto probabile che noi non abbiamo affatto pensato bensì solamente sognato ad occhi aperti.

Questi sono sogni che vorremmo diventassero le nostre aspirazioni quotidiane supportate da immaginazioni e forme viventi di pensiero.

Quando l’intelletto è tranquillo e non si concentra su un qualcosa di particolare, la nostra mente trova soluzioni ai problemi con chiara consapevolezza della mente superiore che si manifesta improvvisamente nei comportamenti e nelle decisioni segrete dell’intelletto.

Dalla mente superiore arrivano allora delle grandi intuizioni che si manifestano nell’intelletto con grandi scoperte scientifiche, artistiche filosofiche nelle quali la mente sperimenta la verità attraverso la visione dell’intelletto.

C’è una correlazione tra mente e intelletto dove, la mente è la creatività e l’intelletto il suo mezzo creativo di comprensione. L’uomo desidera sapere molto di più del mondo reale ma il suo desiderio è fiacco e ben poca cosa. Egli vorrebbe conoscere di più ma, nello stesso tempo, gli manca lo stimolo necessario. Poche persone desiderano sapere la verità perché, in cuor loro, non sono mai state così contente di non conoscerla.

Attraverso la concentrazione e la meditazione l’uomo, da una parte, calma l’intelletto e lo rende servitore della mente superiore; per contro, con lo studio, fa in modo che il pensatore si serva dell’intelletto per dare una percezione alla visione avuta con la mente.

Nel mondo reale le grandi scuole scientifiche, artistiche e filosofiche sono delle realtà viventi di architetti del pensiero che esistono ed esperimentano maggiori conoscenze di quanto procurano le letture. Per arrivare a una più vasta cultura è necessario il contatto dello spirito santo di Dio nel mondo reale e la verifica di una realtà vivente nel pensiero dell’uomo. Però il pensatore resta il creatore e il costruttore che trasforma, con la sua visione, l’intelletto da una forma amorfa a una struttura estetica.

Ancora una volta è il trionfo dello spirito santo nel nostro mondo che è, poi, il mondo della mente divina dove l’uomo si cimenta nella verità vivente e partecipa al sapere, alla conoscenza e all’arte nei secoli a venire. L’uomo trae ispirazione dallo spirito santo che lo sprona a creare di più con la sua potenza creativa.

Un artista verrà ispirato dal “bello” delle sue opere, il filosofo avrà una chiara visione della verità dove saprà comprenderne la sua essenza per aiutare l’umanità alla scoperta della vita.

Lo scienziato verrà ispirato dalla intuizione e scoprirà la forza della natura nei suoi esperimenti. Il filosofo sosterrà con ardore l’amore verso i suoi simili per migliorarne le loro condizioni di vita mentre il profeta farà risplendere la luce di Dio nel mondo. Tutto ciò che l’uomo afferma viene nobilitato dal contatto con lo spirito santo che rende l’uomo superiore a se stesso e lo fa un Dio.

La moderna psicologia, che non si occupa sempre dell’ispirazione, dovrà aiutare scienza, arte e filosofia a conoscere l’attività della mente e lo stato coscienziale, vale a dire, il contatto del mondo reale con l’aspirazione che rende l’uomo un creatore divino.

L’immagine di cose separate nel nostro mondo, che noi definiamo “cose esistenti nel presente”, non appaiono nel mondo del reale perché il presente non ha una dimensione. Ciò che è reale è quello di essere più reale dell’uomo stesso e capace di contenere il passato e il futuro. L’ispirazione del mondo reale percepisce lo sviluppo delle cose e le rende ciò che diverranno.

Quando un artista crea un’opera d’arte in una visione di “bello”, egli sperimenta la realtà dell’opera come esistesse nel mondo reale e elaborerà in esso la sua visione della verità. L’arte però non è solo una combinazione di suoni e di modelli bensì; un organismo vivente attraverso il quale l’uomo opera nel mondo della mente.

L’ispirazione, affine all’entusiasmo, rende una persona “divinamente ispirata” e la sua presenza crea un Idealismo del quale l’uomo ne ha dato un significato improprio poiché egli non possiede gli ideali ma ne è posseduto. Quando l’uomo contatta l’ideale di una cosa nel mondo reale, egli ne è posseduto e non può fare altro che dedicarsi a lui.

L’uomo che sacrifica sé stesso e ciò che possiede per un ideale, realizza qualcosa di quel potere idealistico che lo pone al centro della sua vita e nel mondo della mente divina, sua unica realtà. L’essenza divina è quella della teosofia e un teosofo diventa un idealista.

Il vero idealismo è un processo di percezione e di senso pratico. L’idealista ha la testa in cielo e i piedi in terra e potrà aiutare i suoi simili a realizzare quello che gli ha sperimentato e realizzato per se stesso.

Ispirazione, entusiasmo, idealismo sono i valori più grandi dello spirito santo con i quali tutta l’umanità realizzerà il mondo della mente divina e del reale. La mente dell’uomo si aprirà ai doni dello spirito, come alito di vita, riconoscendone una meravigliosa realtà e una dovuta riconoscenza dell’uomo in questo mondo.

Il contatto con lo spirito santo che è il fuoco della creazione e la mente divina proiettano l’uomo dalla oscurità del nostro mondo alla luce splendente del reale. Nel contatto con lo spirito, l’uomo risplende di un fuoco paradisiaco che è il potere creatore dell’universo.

L’uomo illuminato dalla manifestazione di Dio creatore e ordinatore del mondo, immerso nella gloria della mente divina, vedrà un creato risplendente della bellezza e amore di Dio.
Egli diventerà cosciente della creazione e dell’eterno mistero dello spirito santo.

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Plotino

18 domenica Dic 2011

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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LO SCOPO UMANO : UNA DIFFICILE “SCALATA”
Fin qui siamo andati , per così dire , in discesa : dall’ Uno al nous , dal nous all’ anima e dall’ anima alla materia ; ma lo scopo dell’ uomo quale é ? Per Plotino lo scopo dell’ uomo é risalire questa scala ; l’ uomo deve effettuare una conversione ( come già diceva Platone nel mito della caverna ) , ossia deve dalla posizione in cui si trova ( il punto più basso ) girarsi e salire fino alla cima : deve partire dalla sua situazione , ossia il piano materiale , passare al ragionamento ( l’ anima ) , al mondo delle idee ( il piano su cui opera il filosofo ) per poi raggiungere l’ Uno , arrivando così a raggiungere un vero e proprio livello di estasi mistica e razionale , in quanto si tratta di un procedimento assolutamente guidato dalla ragione: questo “viaggio” del soggetto è da Plotino paragonato a quello di Ulisse verso Itaca; a suo avviso, Omero deve essere letto in senso allegorico, secondo questo significato profondo. Questo procedimento vuole significare la riduzione all’ unità delle cose , già piuttosto cara a Platone : l’ uomo deve scavare nella propria anima finchè non arriva all’ estasi ; Porfirio ci riferisce che Plotino raggiunse il livello di estasi ( che propriamente significa ” essere fuori di sè ” ) meno di 7 volte nel corso di tutta la sua vita . Da questo punto di vista la funzione dell’ uomo é cosmica in quanto é l’ unico essere vivente in grado di ripercorrere la scala fino all’ Uno e far così tornare l’ intero mondo al suo principio . Ma percorrere la scala non é certo cosa facile e i metodi per farcela sono 3 , a seconda di come si intenda il principio supremo : 1) Se lo intendiamo come Uno , allora dovremo seguire la via conosctiva 2) Se lo intendiamo come Bene , dovremo seguire la via ascetica 3) Se lo intendiamo come Eros dobbiamo seguire la via estetica . La via più ovvia é la prima , quella della conoscenza , percorribile tramite la ” redutio ad unum ” , la riduzione all’ unità ; per seguire la via ascetica si deve invece rinunciare ai beni fisici , che dirigono l’ uomo verso il ” basso ” : di Plotino si ricorda la celebre espressione : ” mi vergogno di avere un corpo ” . Plotino rende ancora più di Platone questo distacco dal corpo , probabilmente anche per via del periodo in cui vive . L’ ultima via , quella estetica , riprende nettamente la ricerca dell’ eros platonico , ossia la ricerca incessante del bello . Spesso Plotino é stato definito ” Plato dimidiatus ” , Platone dimezzato , in quanto in lui manca la politica , che tanto contava per Platone ; però Plotino per quel che riguarda l’ arte ha avuto un’ idea brillante : per lui Platone sbagliava a definirla ” copia di copia ” , in quanto lo scultore non si ispira alla persona fisica , ma all’ idea .

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18 domenica Dic 2011

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