LE SCOPERTE SCIENTIFICHE

E I MIRACOLI DEI SANTI

Sarebbe una leggenda esaltànte il poter coniugàre scienza e religione.

E, se fossi io il predestinato, sarei avviato a una divina immortalità; proprio quella in cui illustri fisici e matematici, come Eugene Wigner o Werner Heisenberg, tanto per citarne alcuni, si erano adoperati e avevano posto le fondamenta delle simmetrie nella meccanica quantistica.

Ma, né la matematica né la scienza mai potranno scoprire Dio perché, se fosse

la scienza a scoprirlo, non potrebbe essere fatto che di scienza; se fosse la matematica ad arrivare al “teorema di Dio”, il creatore del mondo non potrebbe che esser fatto di sola matematica.

La cosa sarebbe comunque riduttiva e colui che crede, vuole che Dio rappresenta il tutto e non una sola parte del tutto.

Il fascino della nostra vita è in stretto rapporto fra cose, fatti e persone diverse in ambito trascendentale e in quello immanentistico.

Nella sfera immanentistica esistono fenomeni che possono venire osservati e studiati attraverso la matematica (o conoscenza diretta) e che sono definiti “scoperte scientifiche”.

Ma non essendo ipotizzabile che esse si consumano del tutto in ciò che esiste nell’immanente, esistono dei fenomeni non ricreabili che avvengono una volta sola e non possono venire spiegati da forme matematiche.

Essi sono i miracoli e la loro sfera è quella trascendentale in cui avvengono i miracoli dei Santi.

Pertanto, il pensare solo lontanamente che attraverso i metodi scientifici possano accadere i miracoli, sarebbe a dir poco utopìstico e significherebbe illudersi di potere scoprire “l’esistenza scientifica di Dio”.

Se fosse possibile arrivare a capire in modo “logico” i miracoli, la stessa cosa

dovrebbe essere possibile e arrivare ad affermare “il teorema di Dio”.

L’attrattiva della nostra vita è in stretto rapporto tra la sfera trascendentale e la sfera immanentistica e stà nella capacità di affascinarci.

L’origine dei miracoli possono avvenire solo nella sfera trascendentale e a fare i miracoli non possono essere che i Santi, nel mentre gli scienziati si occupano della nostra vita immanentistica.

Le due sfere si diversificano: se nella sfera immanente esistono sette componenti di cui uno è il tempo, in quello trascendente non possono esservi i medesimi gruppi specifici e quindi niente tempo.

Quello che viene studiato nei vari laboratori, secondo cui le due sfere sarebbero identiche, non corrisponde a verità; allorquando il sole tra cinque milioni d’anni, cesserà la sua attività, la sfera trascendentale dell’uomo rimarrà la stessa, perché non esiste il fattore tempo.

Difatti, a rigor di logica, se le sfere fossero identiche, non potrebbero esistere i miracoli ma soltanto le scoperte scientifiche; nel qual caso, l’immanente e il trascendente sarebbero la stessa cosa.

Questa è la pretenziosità degli atei che trattano l’esistenza del trascendente dimenticando che i miracoli sono la testimonianza inconfutabile che la vita umana non si esaurisce nell’immanente.

Le scoperte della scienza testimoniano che gli uomini non sono di un disordine caotico; se è vero che c’è una logica, deve esserci un creatore: “Dio”.

L’origine dei miracoli possono avvenire solamente nella sfera trascendentale e a fare i miracoli non possono essere che i Santi, mentre gli scienziati si occupano della conoscenza nella immanentistica.

La scienza nasce nell’immanente ma conduce l’uomo verso il trascendente, trascinata da una intelligenza al di sopra della nostra.

Nessuno poteva immaginare quale è la complessità della natura in cui l’uomo vive: lo spazio e il tempo.

Se lo spazio è reale, il tempo deve essere immaginario.

Non è facile entrare nei misteri dell’universo, ma un gigante della scienza come Eugene Wigner amava dire che “il più grande dei miracoli è che esiste la scienza”.

Ascona, marzo 2017                      Fabbri Giancarlo

“membro della società teosofica svizzera”

 

 

A mia nipote Yasmeen

 

IRRIMEDIABILE DANNO MORALE

E MATERIALE O SOPRAVVIVÈNZA

 

C’era un tempo non troppo lontano in cui la comunità Cristiana celebrava l’avvento del Natale di un bambino tanto attèso; era la divina consacrazione della famiglia e l’esaltazione del focolare domestico che si riconducevano a una capanna di legno e di paglia nella quale , sotto un cielo trapunto di stelle nel buio della notte: era tutto un creato di umana contemplazione, pervàsa di religiosità, di comprensione e generosità, mentre la nascita del bambino aveva portato in sé una coscienza di pace, di certezza e solidarietà in quanto manifestazione del figlio di Dio fattosi uomo tra gli uomini, le cui prodigiose vicende avrebbero mutàto il corso di venti Secoli di storia vòlti al progresso, ed all’emancipazione dell’uomo e all’affermarsi della religione Giudaica-Cristiana che lo avrebbe proiettato al centro dell’universo.

La ricorrenza del S. Natale era un nostro rinnovarci con più slancio e vigore per un avvenimento che aveva scosso le nostre esistenze e confuso le coscienze rendendoci consapevoli della nostra presenza spirituale, diventata intelligibile, perché illuminata dallo Spirito Santo di un divino amore attraverso “i battiti del tempo”.

Purtròppo in epoca recente, la comunità Cristiana vive un periodo di grande accortezza e diffusa timidezza nel manifestare i propri sentimenti religiosi alla vigilia della festa più significativa della Cristianità.

Sembra sia venuta meno quella consapevolezza di valori basilari e progetti normativi, civili e morali della nostra millenaria civiltà, cedèndo a una forma buonista e perbenìsta, a una tolleranza e dissoluzione sul piano dei costumi che si riflettono su quello religioso in modo circospetto e pàvido, a tal punto da non sapere o potere più manifestare ogni nostro ulteriore sentimento.

È il declìno dell’Europa Cristiana con un tracollo demografico autòctono e una migrazione fuori di ogni controllo, come a sottolineare la necessità di un riequilibrio. Se ciò accadesse, è perché non troviamo più quel sentimento di amore spirituale verso il nostro prossimo, tanto da detestarci e rinnegare il nostro futuro e quello dei nostri figli, che sono l’espressione concreta del nostro retàggio civile e morale nel quale si riconoscono “diritti e libertà”, ma non le volontarie rinunce e gli obblighi morali.

Gli storiografi affermano (come al solito) una evoluzione e la fine della nostra civiltà così come lo è stato degli antichi imperi a motìvo di una “vocazione suicìda” di chi ci

 

governa e la supìna passività di una popolazione inerme, non a causa di un dispotìsmo o autorità assoluta bensì, a causa di una arrogante violenza straniera.

Ciò si manifesta allor’quando esiste una denatalita autòctona, con i giovani più qualificati che emigrano e l’accoglienza di migranti poco acculturàti, di sesso maschile, di religione musulmana e poco propensi a una fattiva integrazione per cui si delinea un’acquiescenza della nostra popolazione a una futura islamizzazione oscurantista.

Se vogliamo la sopravvivenza della nostra civiltà Cristiana ed Europea, dovremo fare in modo di custodirla e proteggerla per i valori in essa custoditi, che elevano a grande dignità la sacralità della vita e la libertà dei valori condivisi.

Dovremo, altresì, imparare a volerci bene come in passato, a difendere i nostri interessi, a riaffermare le priorità nelle risorse umane e a sentirci più fieri della nostra dignità di vita.

Solo allora potremo riamarci e realizzare il bene comune, altrimenti arriveremo a odiarci e vivremo sotto una ìbrida dittatura di un islamismo retrìvo che limita le libertà fondamentali delle persone.

Ascona, dicembre 2016

Giancarlo Fabbri, Membro della Società Teosofica Svizzera