DIO——-PATRIA——FAMIGLIA
NUMI TUTELARI DELLA NOSTRA VITA
La capacità intellettiva é quieta, e quand’anche attenta, é disadatta e priva di progettualità, perché popolata di pensieri insignificanti e vacui che sembrano rincorrersi come adolescenti chiassosi assorti nel gioco, in un respiro che si fa ansante e lascia presentire infausti sviluppi.
Sono pensieri che affollano e sequestrano le nostre menti dove si sono consumati, fino ad esaurimento, i principi etici e di filosofia morale che hanno preannunciato il “suicidio innaturale” di valori, di criteri e precetti di comportamento, attraverso i quali il mondo occidentale e cristiano aveva vissuto un fondamento di vita secolare, fino ad un recente passato ma senza intravedere ancora che cosa ne sarebbe stato della loro presenza e fine imminente.
L’uomo si incammina verso il suo tempo, la sua modernità e si mescola tra gente sfuggente, assorbita e rapita “dal furore della vita”, nei quali i pensieri si fanno realtà e diventano, protagonisti indistinti del loro domani, proiettati , come sono, verso mete spesso fallaci.
Sono pensieri da dibattere che concernono le nostre esistenze e i principi morali che hanno supportato il peso del mondo individuale e sociale, affossati così repentinamente di una “morte innaturale”, che ha lasciato in eredità dei protagonisti, dei quali non s’intravvedeva ancora, e chissà per quanto tempo, una qualche decisione di merito.
VORREI parlare di Dio perché, evocarlo, significa affermare con certezza la sua presenza e praticare un religioso atteggiamento spirituale di riverenza e dipendenza verso il divino, poiché Dio è l’essere supremo e il creatore dell’universo, e perché Egli è la perfezione espressa nel mistero della Trinità.
VORREI invocare la Patria perché vuole dire partecipare al destino del Paese in cui si è nati, ritrovarsi nella comunità e nutrire per essa un affetto profondo. Il concetto di Patria è, nel suo significato etimologico, “la terra dei Padri” e chiama a raccolta i suoi figli che si sentono legati da quel vincolo di appartenenza e da una solidarietà infinita, sia per nascita, sia per ragioni storiche-culturali.
VORREI chiamare in causa la famiglia per riconoscerci nella nostra infanzia, negli affetti più cari, nel riproporci le nascite e le morti, poiché la famiglia è il focolare domestico dove costruire, non solo quella vita intima e naturale, ma anche plasmare “l’essenza” della persone.
DIO, PATRIA, FAMIGLIA sono le pietre miliari di valori irrinunciabili ed eterni che ci hanno lasciato tracce di un glorioso passato ma anche un vuoto incolmato della loro grandezza, al di là del profilo storico, politico o sociologico.
È necessario comprendere non solo gli imperscrutabili meccanismi che hanno sorretto le loro secolari dottrine, ma anche “la molla” che ne ha decretato il loro subitaneo tramonto. Tutto ciò che ha avuto ragione di essere nel triplice rapporto, si è consumato in aspri e prolungati contrasti di opinioni, di latenti impulsi e di opposti desideri che si escludevano a vicenda; ma la vera realtà era quel rapporto privilegiato con Dio, Patria e Famiglia che erano la nostra esistenza nel mondo, perché in essi era confluito il corso di tutta l’umanità, il vincolo sentimentale e morale con la vita e il timore della morte, il nostro passare nel tempo, il parlare soli e con noi stessi, eppoi, con gli altri e con quella piccola cellula che è la famiglia nella quale è riposta l’aleatorietà della vita con le sue verità e menzogne.
È importante parlare di ciò che è accaduto senza dissotterrare, per questo, l’ascia di guerra, nonostante ci siano state responsabilità da contrastare per riconsegnare il destino di una vita ai suoi primordi, alle origini, attraverso l’evoluzione umana e la potenza divina.
Gli uomini attuali sostengono argomentazioni, secondo le quali NON tutto deve passare volutamente per intercessione di Dio, ma nessuno di loro, fino ad oggi, ha saputo replicare, con ovvietà, al mistero della nascita della vita e della morte dell’uomo in rapporto al luogo e alla durata della vita stessa, nei quali il proprio “SÉ” si era confrontato con i suoi caratteri ereditari e con quelli di coloro con i quali aveva convissuto e con la fatalistica domanda: “se (il) tutto finirà, che cosa ci sarà dopo di “lui”? forse ci sarà il vuoto primordiale, il silenzio profondo del tempo interminabile?…….
Ci saranno anche coloro che troveranno il modo di criticare con sarcasmo i vetusti pregiudizi, non rendendosi conto di averne creati altrettanti, un po’ più attuali e pensando di sfuggire, così, alle loro paure ancestrali, alle loro vite appartate e immaginarie, alle loro grettezze e povertà morali.
L’uomo ha inteso superare, pertanto, i vecchi pregiudizi con altri in nome di un modernismo che non avrebbe dovuto disconoscere le stesse origini e ritenerli superati, cosicché essi non sono stati affrontati bensì, solamente evitati in nome di un orientamento culturale che tendeva a presentare ogni attività e manifestazione in un contesto storico nel quale si erano formate e sviluppate e dove avevano liberato le ombre notturne della nostra vita, trascinando l’uomo in uno stato di profonda inquietudine.
Non è facile varcare l’ovvietà che ci impedisce di pensare a Dio, Patria e Famiglia, nonostante nuove affermazioni e opposte finalità: prima esse stabilivano un ossequioso ordinamento dei pregiudizi, ora, per converso, servono a contrastarle volutamente e affidarle alle tradizioni divenute sclerotiche.
È difficile rianimare un corpo inerme, ma sarà utile riflettere, perché ciò che è accaduto nella vicenda, “NON PUÒ NON ESSERE, NÉ ESSERE ALTRIMENTI DA CIÒ CHE È STATO”.
Ascona, 15 ottobre 2012 Giancarlo Fabbri
Membro della società teosofica svizzera