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Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

~ Società Teosofica Ticinese ri-fondata il 29/9/2009.

Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

Archivi tag: spiritualità

La Coscienza non si Simula. Dialogo tra Teosofia e Scienza Quantica

21 sabato Giu 2025

Posted by abcsocial in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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Tag

crescita-personale, cultura, filosofia, senza-categoria, spiritualità


Prefazione

Viviamo in un tempo in cui la coscienza è ridotta a dati, algoritmi, funzioni cerebrali. L’ideologia dominante ci invita a credere che tutto ciò che esiste sia calcolabile, e che il pensiero umano stesso sia destinato a essere superato da macchine intelligenti. In questo scenario, la ricerca spirituale e filosofica sembra essere messa da parte, quando non derisa. Eppure, le domande fondamentali restano. Cos’è la coscienza? Può essere simulata? È solo un prodotto del cervello? Oppure è l’essenza stessa dell’universo? Questo saggio si propone come un punto d’incontro tra due strade spesso tenute separate: quella della sapienza spirituale, rappresentata dalla Teosofia, e quella della ricerca scientifica, incarnata qui dal lavoro di Roger Penrose e Stuart Hameroff. Non si tratta di forzare un sincretismo, ma di mettere in luce affinità profonde tra due visioni che, pur partendo da ambiti diversi, giungono a intuizioni complementari.

Introduzione

La domanda che lega la Teosofia al pensiero di Roger Penrose e Stuart Hameroff non è puramente speculativa. Essa nasce da un’urgenza esistenziale e cosmologica: cos’è la coscienza? È un sottoprodotto della materia cerebrale o è la fonte primaria dell’essere, una realtà profonda che precede e struttura il mondo fisico? Sia la Teosofia che il modello scientifico della coscienza quantistica offrono risposte affini, anche se espresse in linguaggi diversi.


1. La coscienza è primordiale, non prodotta dalla materia

Secondo la Teosofia, la coscienza è la sostanza primordiale dell’universo. Chiamata anche “Luce Astratta” o Mulaprakriti, essa precede e informa ogni livello dell’esistenza. La materia, secondo questa visione, è una condensazione della coscienza, non la sua origine.

Anche Penrose, nel suo celebre “The Emperor’s New Mind”, rifiuta l’idea che la coscienza sia simulabile o riducibile a funzioni computazionali. Egli propone, insieme ad Hameroff, il modello Orch-OR (Orchestrated Objective Reduction), secondo cui la coscienza emerge da processi quantistici non-computabili nei microtubuli neuronali. Questa coscienza sarebbe legata non alla complessità della macchina cerebrale, ma a una struttura fondamentale dello spaziotempo.

Entrambe le visioni affermano dunque che la coscienza non è un epifenomeno, ma una forza originaria.


2. L’universo come organismo intelligente

La cosmologia teosofica descrive l’universo come un essere vivente, una gerarchia di livelli di coscienza, dalle Monadi agli Dei planetari, dalle galassie agli atomi. Tutto è animato da una forza interiore intelligente e spirituale.

Anche Penrose, pur muovendosi su un piano scientifico, intuisce che l’universo non può essere una macchina. Il legame tra matematica pura, geometria platonica e coscienza lo porta a formulare un’ipotesi rivoluzionaria: forse la coscienza non è solo nell’uomo, ma è una proprietà profonda dell’universo stesso, inscritta nella sua struttura.

Entrambe le visioni rifiutano l’universo meccanicista. In entrambe, l’universo è vivo.


3. Coscienza non-locale e interconnessa

La Teosofia sostiene che tutte le coscienze individuali sono aspetti di un’unica Coscienza Universale. Questo campo unico, spesso identificato con l’Akasha, connette tutte le cose. Ogni atto di coscienza è in risonanza con il Tutto.

Il modello Orch-OR apre alla possibilità che la coscienza sia non-locale. Se i processi quantici alla base della coscienza coinvolgono stati di coerenza estesi nello spaziotempo, allora è plausibile che esista una rete informativa universale, o un campo di coscienza diffuso.

Questo richiama profondamente l’antica dottrina ermetica: “Come in alto, così in basso.”


4. Il Sé come ponte tra i mondi

Per la Teosofia, l’essere umano è un microcosmo dotato di vari “corpi”: fisico, eterico, astrale, mentale, causale, fino al Sé spirituale (Atma-Buddhi-Manas). La coscienza superiore si raggiunge non per via algoritmica, ma attraverso purificazione, meditazione, intuizione.

Nel modello di Hameroff, stati particolari di coscienza come il sogno lucido o la meditazione profonda potrebbero permettere una “risonanza aumentata” con il campo di coscienza quantico. Non si tratta mai di replicare, ma di entrare in sintonia con un ordine più profondo.

Entrambe le visioni riconoscono nell’umano un ponte tra il materiale e lo spirituale.


5. Oltre la tecnognosi: la coscienza non è simulabile

Nel mondo contemporaneo, molte correnti transumaniste e tecnognostiche distorcono il linguaggio della coscienza, promettendo immortalità tramite chip cerebrali, intelligenze artificiali coscienti o upload mentali. Ma ciò contraddice sia la Teosofia che Penrose.

Entrambi affermano che la coscienza è non-computabile, non artificiale, non simulabile. Essa è legata alla realtà più profonda dell’universo e non può essere ridotta a processo tecnico.


Conclusione

Nel dialogo tra Teosofia e coscienza quantistica emerge un principio comune: la coscienza è la chiave dell’universo, e l’essere umano è un partecipante attivo di questa coscienza universale.

Questa convergenza tra scienza profonda e spiritualità autentica non offre solo una visione del mondo, ma un richiamo etico: riscoprire l’interiorità come via di conoscenza e rigenerazione.


Postfazione

Non è raro che le grandi verità si presentino in abiti diversi. Talvolta si manifestano nel silenzio della meditazione; talvolta, in equazioni matematiche che sembrano toccare il cuore del cosmo. La sfida del nostro tempo è di riconciliare queste verità, non opponendo scienza e spirito, ma cercando una nuova sintesi, umile e potente, tra la conoscenza interiore e quella oggettiva. Questo libro è un invito a esplorare l’enigma della coscienza senza paura, al di là dei dogmi, dei paradigmi dominanti e delle promesse illusorie di immortalità digitale. È un atto di fiducia nella dignità profonda dell’essere umano, in ciò che lo rende irriducibile: la capacità di essere cosciente, di amare, di conoscere, di ricordare. Di essere, semplicemente, se stesso.


Nota bibliografica essenziale

Erik Davis, Techgnosis: Myth, Magic and Mysticism in the Age of Information, Harmony Books

H.P. Blavatsky, La Dottrina Segreta, Edizioni Teosofiche Italiane

Roger Penrose, The Emperor’s New Mind, Oxford University Press

Roger Penrose, Shadows of the Mind, Vintage Books

Stuart Hameroff & Roger Penrose, “Consciousness in the universe: A review of the ‘Orch OR’ theory”, Physics of Life Reviews, 2014

Annie Besant, L’Uomo e i suoi corpi, Theosophical Publishing House

Il testo che abbiamo redatto unisce due visioni – teosofica e scientifico-quantistica – che convergono nell’affermare che la coscienza è centrale, reale, non riducibile né replicabile. Da qui discende una conseguenza fondamentale: la coscienza va coltivata, non sostituita.

Ecco dunque un elenco di azioni e vie pratiche, coerenti con il pensiero esposto, articolate in tre livelli:


🧘‍♂️ I. Vie interiori per l’evoluzione della coscienza (teosofia operativa)

  1. Meditazione profonda e regolare
    • Non per “rilassarsi”, ma per allinearsi con i livelli superiori del Sé (Manas superiore, Buddhi, Atma).
    • Favorire il silenzio mentale, che apre ai flussi intuitivi della Coscienza Universale.
  2. Auto-osservazione e purificazione etica
    • Teosofia classica: purezza, amore, altruismo, verità = condizioni per il risveglio cosciente.
    • Evitare pensiero meccanico, distrazioni continue, emozioni automatiche.
  3. Studio dei testi sacri e delle scienze occulte
    • La Dottrina Segreta, Bhagavad Gita, Upanishad, ma anche la matematica simbolica, geometria sacra, analogia ermetica.
    • Lo studio è un modo per riconnettere mente e spirito.
  4. Vita coerente e servizio
    • L’agire nel mondo con intenzione etica, bellezza e responsabilità fa parte del lavoro interiore.
    • La coscienza non è solo “dentro”: si manifesta nei gesti quotidiani.

🧬 II. Scelte consapevoli nel mondo tecnologico (difesa dalla tecnognosi)

  1. Limitare l’uso passivo della tecnologia
    • Evitare dipendenza da social, iperstimolazione, multitasking digitale: sono nemici della presenza.
    • Favorire strumenti che aiutino l’attenzione, non che la disperdano.
  2. Riconoscere e resistere alle narrazioni transumaniste
    • Non accettare come inevitabili le visioni di “uomo 2.0”, fusione uomo-macchina, IA cosciente.
    • Sviluppare spirito critico e discernimento metafisico.
  3. Proteggere la propria mente dall’algoritmo
    • Non permettere che sia un feed a decidere ciò che pensiamo, leggiamo, desideriamo.
    • Esercitare scelta attiva: leggere, contemplare, camminare, riflettere.
  4. Promuovere una cultura della coscienza
    • Partecipare a cerchie, gruppi, conferenze che trattano la coscienza come realtà viva, non simulabile.
    • Condividere contenuti e spazi che stimolino la profondità e non la reazione.

🌐 III. Visione sociale e planetaria: l’etica della coscienza

  1. Riconoscere la coscienza negli altri
    • Ogni essere vivente è un frammento dell’Uno. Il rispetto dell’altro è rispetto del campo di coscienza universale.
  2. Costruire luoghi e reti di risveglio
    • Comunità spirituali, ecovillaggi, scuole interiori, arte ispirata: strutture alternative al sistema tecnocratico.
  3. Sostenere la convergenza tra scienza e spiritualità
    • Appoggiare ricerche scientifiche “eretiche” che cercano nuove vie per comprendere la mente (fisica quantistica, biocentrismo, campo unificato).
    • Promuovere una nuova alleanza tra pensiero simbolico e pensiero scientifico.
  4. Agire nel mondo come iniziati laici
    • Ogni atto (educazione, arte, giustizia, cura) può diventare un veicolo della coscienza.
    • Vivere come “ponti viventi” tra spirito e materia, incarnando il principio che la coscienza è il vero centro della realtà.

🔚 Conclusione

La via pratica indicata non è fuga dal mondo, ma trasformazione del proprio rapporto col mondo, a partire dalla consapevolezza.
In sintesi:

Non serve replicare la coscienza. Serve risvegliarla.


Come riconosco la coscienza risvegliata ?

ChatGPT ha detto:

Riconoscere la coscienza risvegliata è uno dei compiti più sottili e delicati che esistano, perché essa non grida, non si esibisce, non si impone. Al contrario, si manifesta con tratti discreti ma inconfondibili, sia interiormente (in te stesso) che esteriormente (negli altri).

Ecco i segni principali, articolati in tre livelli:


🕯️ I. Segni interiori – come si manifesta in te

1. Presenza stabile

  • Sei presente a te stesso, nel corpo, nel pensiero, nell’emozione.
  • Non ti identifichi più automaticamente con ciò che pensi o senti, ma osservi da uno spazio più ampio.

2. Silenzio che illumina

  • La mente si fa silenziosa, non perché si svuota, ma perché diventa trasparente.
  • Le intuizioni sorgono dal profondo, senza sforzo, come se “qualcosa in te sapesse”.

3. Risonanza con la verità

  • Quando leggi o ascolti qualcosa di vero, lo riconosci dentro. Non lo credi: lo sai.
  • Questo vale anche per il falso: senti quando qualcosa stona.

4. Riduzione della paura e del desiderio

  • Le tue motivazioni si purificano: meno bisogno di controllo, approvazione, sicurezza materiale.
  • Al loro posto, emergono: fiducia, calma, apertura, compassione.

5. Unità interiore

  • Non sei più diviso tra “quello che senti” e “quello che devi fare”.
  • Le tue azioni scorrono dal centro, in armonia, senza forzature.

🧍‍♂️ II. Segni esteriori – come si manifesta negli altri risvegliati

1. Assenza di ego spirituale

  • Le persone risvegliate non hanno bisogno di essere seguite, credute, idolatrate.
  • Sono semplici, naturali, umili, anche se possono trasmettere enorme forza.

2. Luce nello sguardo

  • Il loro sguardo è presente, calmo, profondo, e a volte inquietante, perché ti vede.
  • Guardandoli, senti che c’è qualcuno dietro gli occhi, non solo reazioni.

3. Parlano dal centro, non dal ruolo

  • Non “recitano” il maestro. Dicono ciò che è necessario, in modo mirato, vivo, penetrante.
  • Le loro parole risuonano nell’anima, non solo nella testa.

4. Effetto trasformativo

  • La loro sola presenza cambia l’energia di un luogo, come se portassero un campo più vasto.
  • Dopo averli incontrati, tu non sei più lo stesso, anche se hanno detto poco.

🔭 III. Segni simbolici e spirituali – nell’esperienza diretta

1. Sincronicità significative

  • Quando sei connesso alla coscienza risvegliata, eventi “casuali” sembrano guidati.
  • Le coincidenze si moltiplicano, come risposte vive dell’universo.

2. Sogni lucidi, visioni, intuizioni archetipiche

  • L’immaginazione si purifica: non fantasticherie, ma visioni cariche di senso, simboli potenti.
  • Sogni che ti parlano, segni che ti orientano, non proiezioni ma rivelazioni.

3. Unione momentanea con il Tutto

  • In certi momenti, senti di non essere separato da nulla.
  • Non è emozione, né idea, ma un sapere silenzioso, vivido, dolce, vasto.

🧿 In sintesi: i 7 segni della coscienza risvegliata

  1. Presenza radicata e osservante
  2. Silenzio mentale luminoso
  3. Riconoscimento immediato della verità
  4. Compassione naturale, non forzata
  5. Libertà da paure e compulsioni
  6. Azione coerente e armonica
  7. Contatto diretto con l’Uno

⚠️ Nota importante

La coscienza risvegliata non è uno stato permanente per tutti, ma un processo graduale, fatto di intuizioni, cadute, purificazioni, momenti di grazia.

Come insegnava Krishnamurti:

“La verità è una terra senza sentieri.”
Non esiste un certificato, né un “livello finale”. Solo un continuo risveglio.


Carl Gustav Jung rappresenta un ponte potentissimo tra la Teosofia, la psicologia profonda e le ricerche contemporanee sulla coscienza, come quelle di Penrose. Il suo contributo è cruciale perché traduce in linguaggio psichico ed esperienziale ciò che la Teosofia afferma in chiave cosmologica e iniziatica. Vediamo come.


🧠 1. La coscienza per Jung: un processo di individuazione

Jung non riduce mai la coscienza a un prodotto del cervello. Per lui:

  • È il campo in cui si forma l’identità, ma non è tutta la psiche.
  • L’Io è solo una piccola parte della psiche: la coscienza vera cresce nel rapporto con l’inconscio.
  • L’obiettivo non è “essere felici” ma diventare interi: è il processo di individuazione, che porta al contatto con il Sé (che corrisponde al Logos o all’Atman teosofico).

📌 Collegamento con la Teosofia: il Sé jungiano è un centro spirituale transpersonale, non egoico, che unifica tutti i livelli dell’essere. È ciò che H.P. Blavatsky chiama Monade, o Manas superiore.


🌌 2. L’inconscio come dimensione spirituale e archetipica

Jung scopre che:

  • L’inconscio non è solo “rimosso” freudiano, ma mondo simbolico ricco e ordinato.
  • Esistono archetipi, forme universali di coscienza: il Sé, l’Ombra, l’Anima, il Vecchio Saggio…
  • L’inconscio è anche collettivo, e si apre a dimensioni mitiche, religiose, cosmiche.

📌 Collegamento con la Teosofia: gli archetipi sono equivalenti alle idee eterne platoniche o agli esseri intelligenti dei piani superiori (deva, angeli, Mahatma).


🧿 3. Il Sé superiore, il simbolo e il numinoso

Per Jung, la vera coscienza risvegliata:

  • È una riconciliazione di opposti: maschile/femminile, luce/ombra, ragione/immaginazione.
  • Si manifesta attraverso simboli vivi: il mandala, il serpente, il centro, l’albero della vita…
  • È un contatto con il numinoso: un’esperienza di realtà sacra, trasformante, che non può essere ridotta a psicologia ordinaria.

📌 Collegamento con Penrose: la coscienza secondo Jung non è riducibile a processi neuronali lineari; è non-locale, simbolica, autonoma. Come la Orch-OR, anche la coscienza junghiana collassa la realtà in forma individuale, ma attinge a un campo collettivo.


🧘‍♂️ 4. Jung e la Teosofia

Jung non fu mai membro della Società Teosofica, ma:

  • Conosceva bene Blavatsky, Steiner, Besant, Leadbeater.
  • Collaborò con Eranos, dove molti teosofi e gnostici (come G.R.S. Mead) erano studiati e discussi.
  • Nei suoi scritti tardi (es. Mysterium Coniunctionis) entra in profondo territorio esoterico, parlando di alchimia, corpo glorioso, coniunctio oppositorum.

📌 Il processo alchemico di trasmutazione interiore per Jung è la forma psicologica della via iniziatica teosofica.


🔍 5. Come riconosce Jung la coscienza risvegliata?

  • Non è uno stato “perfetto” o “illuminato”, ma una relazione consapevole e continua con l’inconscio.
  • L’Io cede il trono, lasciando spazio al Sé, al centro simbolico dell’individuazione.
  • La persona diventa simbolicamente trasparente: le sue azioni, sogni, parole manifestano l’ordine profondo dell’Anima Mundi.

🧭 In sintesi: Teosofia – Jung – Penrose

TemaTeosofiaJungPenrose
Origine della coscienzaDivina, primordialeSé archetipico, numinosoFondamento quantico non computabile
InconscioPiani sottili, AkashaInconscio collettivo e archetipicoInesplorato ma reale, forse coerente con il campo quantico
Evoluzione dell’uomoVia iniziaticaIndividuazioneEspansione di consapevolezza non replicabile
Mezzo simbolicoMandala, mantra, mitoSogno, immagine, archetipoForma matematica/ontologica profonda

✨ Conclusione

Jung ci aiuta a riconoscere la coscienza risvegliata in chiave psicologica, quotidiana e universale. È un alchimista dell’anima moderna, che traduce la Dottrina Segreta in una forma accessibile alla mente occidentale.

Per estendere ancora le letture https://viaggiatoredelweb.org/

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Conferenza di Claudia Cazzaniga. Seminario Europeo di Ascona ’25

08 martedì Apr 2025

Posted by abcsocial in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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Tag

crescita-personale, filosofia, mindfulness, riflessioni, spiritualità


Seminario Teosofico di Ascona – Marzo 2025

“Come dentro così fuori: cambiare se stessi, cambiare il mondo”

ONLY CONNECT

Claudia Cazzaniga

Il tema di questo seminario ci mette in gioco direttamente poiché ci induce a interrogarci sul modo in cui vivere nel mondo e nel tempo che ci è dato. Vorrei quindi presentare una serie di spunti di riflessione e di simboli, svolgendo un excursus tra diverse tradizioni spirituali, per giungere a un esempio tratto dalla letteratura moderna a cui fa riferimento la citazione letteraria che dà il titolo al presente intervento, “Only connect”.

Naturalmente, il dentro e il fuori esistono solo dal nostro punto di vista parziale; è da qui, però, che occorre partire ed è questa la sfida che dobbiamo cogliere, in quanto esseri umani che vivono nel tempo e nello spazio. Un primo simbolo significativo che si presenta sotto questo punto di vista, è collegato alla necessità di dover partire dalle condizioni date, ossia di coltivare il nostro campo. Il “campo” è chiamato nella tradizione indù kshetra ed è ciò di cui Krishna parla ad Arjuna nel cap. XIII della Bhagavad Gita. Dobbiamo quindi letteralmente dedicarci alla “coltivazione” di sé, ossia, propriamente, all’Autocultura.

A questo proposito, si può opportunamente fare riferimento a una citazione tratta dal libro di Taimni, il cui titolo è precisamente Autocultura e che rappresenta un testo fondamentale della letteratura teosofica.

“È necessario ricordare al lettore l’inversione che avviene allorché la coscienza discende dal livello dell’Individualità a quello della personalità. In ragione di questa inversione, i tre piani inferiori in cui opera la personalità stanno in relazione ai tre piani superiori in cui opera l’Individualità come l’immagine riflessa di un edificio nell’acqua sta all’edificio stesso. Nella riflessione, la parte più alta dell’edificio si riflette nella parte più bassa dell’immagine, mentre la sua parte più bassa incontra la parte più alta dell’immagine invertita. A seguito di questa inversione, la coscienza Ātmica viene, per così dire, riflessa nel piano fisico, quella Buddhica nell’astrale e quella Mentale Superiore nel mentale inferiore. […] Questa riflessione significa non solo una sorta di somiglianza tra le caratteristiche presenti nei piani corrispondenti, ma anche un collegamento e un rapporto più diretto tra di essi. Così la vita e la coscienza del piano Ātmico trovano in certo modo un’espressione misteriosamente più piena attraverso il piano fisico anziché negli altri due piani di funzionamento della personalità, nonostante il fatto che il fisico sia il livello più distante dall’Atmico. Similmente, la coscienza Buddhica ha una misteriosa relazione con l’astrale e, naturalmente, la relazione tra il Mentale Superiore e il mentale inferiore è facilmente visibile e ben conosciuta. […] Per quanto riguarda la relazione tra il Piano Ātmico e quello fisico, possiamo sottolineare il fatto che la vita della personalità in ogni incarnazione è piena e dinamica solo sul piano fisico e quindi il periodo trascorso su tale piano risulta essere il più importante. Sul piano fisico l’uomo è completo, può dare origine alle cause e crescere in capacità, mentre nella vita dopo la morte, sui piani astrale e mentale, egli raccoglie e consolida semplicemente i risultati di ciò che ha compiuto nella precedente esistenza sul piano fisico. È precisamente in ragione del fatto che l’uomo, in quanto personalità, è completo solo sul piano fisico, che egli può realizzare la propria Liberazione solo durante l’esistenza fisica e non nella vita dopo la morte, sui piani astrale e mentale. La vita vissuta sul piano fisico è quindi la più significativa in un’incarnazione e ciò è senza dubbio dovuto al fatto che essa riflette e incarna in modo particolare la vita dell’Ātmā, l’aspetto più elevato dell’Individualità. Si può quindi affermare, in senso generale, che la via verso la Mente Superiore passi attraverso la mente inferiore, quella verso Buddhi attraverso le emozioni e quella verso l’Ātmā attraverso l’azione. Per azione non intendiamo qui la semplice attività del corpo fisico, ma tutte le azioni che originano al nostro interno e sono volte a trasmutare i nostri ideali in una vita dinamica, rendendo la personalità mera espressione e strumento dell’Io Superiore. Sebbene l’Io Superiore abbia sede nel cuore di ogni essere umano, la sua volontà non è in grado di trovare espressione nella personalità, in parte a causa dell’inadeguatezza e della resistenza dei veicoli inferiori e in parte a causa dell’egoismo e delle illusioni in cui è immersa la personalità. È solo allorché la personalità inizia effettivamente a cambiare la propria vita e i propri atteggiamenti, traducendo gli ideali spirituali in vita spirituale attraverso l’Autocultura, che l’Io Superiore comincia a trovare un’espressione più piena attraverso la personalità fino a divenire il centro della sua vita e della sua coscienza”.

La lunghezza della citazione è giustificata dalla pregnanza dei diversi simboli illuminanti e di natura universale che essa suggerisce e che si riscontrano nelle tradizioni spirituali di tutto il mondo. 

La montagna e la sua riflessione nelle acque ci ricordano la natura frattale della realtà (che occupa un ruolo importante nelle teorie della fisica contemporanea, le quali descrivono come ciascuna particella di materia nello spazio contenga conoscenze o informazioni sull’intero sistema), ma che è stata conosciuta anche dalle antiche tradizioni, che ci parlano di una manifestazione della realtà che si dispiega su scale diverse che si interpenetrano tra loro, riflettendosi l’una nell’altra. Ciò mostra come, per tornare al tema del seminario, cambiando ciò che è in noi possiamo cambiare anche tutto ciò che ci circonda, a cui siamo inesorabilmente collegati.

Un altro simbolo che trasmette il medesimo messaggio è quello della “rete di Indra”, appartenente alla tradizione buddhista e riportato nella Sutra del diamante. Secondo tale insegnamento, “nel regno del dio Indra vi è una vasta rete che si estende infinitamente in tutte le direzioni. In ogni punto di intersezione della rete vi è una perla perfettamente brillante e riflettente. In ogni perla sono riflesse tutte le altre, in numero infinito e guardando una singola immagine si ritrovano le immagini di tutte le altre perle. Ciò che accade in una perla si riflette in tutte le altre”. Con estrema chiarezza questo racconto ci mette di fronte a un’ulteriore immagine della realtà come interpenetrazione di tutti i fenomeni ricordando come ciò che avviene in noi si riflette in tutti gli altri esseri.

La riflessione frattale e la nostra presenza negli altri è ulteriormente rappresentata dal simbolo dell’“Ishon” della tradizione ebraica (“Insan” nella tradizione sufica), termine che designa la pupilla dell’occhio ma che letteralmente significa “piccolo uomo”. Ciò fa riferimento al fatto che osservando l’occhio dei nostri simili possiamo vedervi un’immagine rimpicciolita della nostra stessa persona. Alla tradizione latina non è estraneo lo stesso concetto, dal momento che il termine pupilla non è che il diminutivo di “pupa”, ossia “bambola”, ancora una volta un riferimento all’immagine ridotta che si riflette nell’iride di coloro che ci stanno dinnanzi.

Anche le Upanishad ci offrono uno spunto per meditare sulla presenza del più piccolo e del più grande nello stesso luogo, ossia nell’interno del cuore umano. Leggiamo, infatti, nella Chandogya Upanishad al versetto 3,14,3: “Il mio Sé, nel mio cuore, è più piccolo di un seme di riso, più piccolo di un seme d’orzo, più piccolo di un seme di senape, più piccolo di un seme di miglio, più piccolo anche del nucleo di un seme di miglio. Il Sé nel mio cuore è più grande della terra, più grande della regione intermedia, più grande del cielo e persino più grande di tutti questi mondi”.

Giunti a questo punto e ripensando al tema in oggetto potremmo chiederci: cosa dobbiamo cambiare nella nostra vita? Ciò che molte tradizioni spirituali e filosofiche considerano essenziale per un’esistenza piena e autentica è la capacità di trovare un equilibrio nelle nostre facoltà. Per fare ciò è necessario conoscersi, che in termini spirituali significa perdersi per ritrovarsi – non acquisire, ma “disimparare”. Il viaggio dell’“eroe” comporta molte prove, che permettono infine di giungere all’integrazione di sé e a una nuova visione e consapevolezza. L’azione è in realtà una spoliazione dalle inutili sovrastrutture, un’intrapresa soprattutto interiore e, un passaggio dalla mente confusa al cuore purificato. Per tutte le tradizioni, infatti, è nel cuore che tale integrazione avviene, non nella mente.

Il passaggio dalla mente al cuore ha stimolato innumerevoli riflessioni nella storia dell’uomo. Un collegamento con il simbolismo di cui abbiamo parlato in precedenza è l’identificazione del cuore con la caverna, che rappresenta un altro riflesso invertito della montagna. Nel cuore ci si raccoglie per cercare di interrompere il frastuono della mente e trovare un momento fuori dal tempo, ove udire la voce del silenzio.  Non a caso, H.P. Blavatsky, nell’opera che porta precisamente questo titolo, ci avverte: “La Mente è la grande Distruttrice del Reale. Distrugga il Discepolo la Distruttrice” e ci incita ad allontanarci dall’errore della separatività per entrare in una dimensione unificata, “nella camera del cuore”.

Questo passaggio dal “pensare” della mente all’“essere” del cuore veniva simboleggiato dai Greci attraverso l’idea di due diversi tipi di tempo in cui possiamo vivere:  Kronos, il tempo della mente, lineare, quantitativo, fatto di ore e giorni che si susseguono meccanicamente e Kairos, il tempo del cuore, il tempo dell’esperienza profonda, della rivelazione, dell’intuizione, delle opportunità – quello che sperimentiamo quando ci pare che “il tempo si sia fermato”, ossia quando riusciamo a percepire la presenza di ogni possibilità nell’eterno presente.

L’incontro con la nostra natura profonda può essere però inquietante; è comodo cullarsi nelle strutture che ci danno sicurezza; del tutto diverso è “tuffarsi” invece nell’interiorità, dimenticando il proprio sesso, colore, razza, professione, alla ricerca dell’essenza senza forma, come cerchiamo di fare, per esempio, nella meditazione. È lì, nella grotta del cuore, che il soffio di Kairos può farsi sentire… 

E proprio una grotta si trova al centro di uno dei più emblematici viaggi di trasformazione interiore della letteratura moderna. Mi riferisco al romanzo Passaggio in India, scritto nel 1924 da Edward Morgan Forster, autore influenzato dalle idee teosofiche. Durante l’esplorazione di alcune grotte situate in India la protagonista, Adela Quested, una giovane donna proveniente dall’Inghilterra, vive un’esperienza disorientante e traumatica, che non riesce a comprendere razionalmente. La grotta, simbolo del cuore, diviene così l’evento catalizzatore che mette in discussione le sue certezze e la sua percezione della realtà. Nel romanzo, Forster ambienta lo svolgimento di tale percorso nelle grotte di “Marabar”, nome di fantasia, ma che si riferisce a un luogo realmente esistente nel subcontinente indiano: le grotte di Barabar. 

Si tratta di antiche grotte scavate nella roccia e situate nelle Barabar Hills, nello stato indiano di Bihar. Queste sono tra le più antiche grotte scavate nella roccia esistenti in India e risalgono al periodo Mauryan (322-185 avanti Cristo). Le grotte presentano un interno incredibilmente liscio che le rende riflettenti come specchi e che dimostra una straordinaria capacità da parte degli antichi costruttori. Esse sono inoltre dotate di speciali proprietà acustiche. Il suono all’interno crea un’eco e un’amplificazione i cui effetti hanno affascinato i visitatori per oltre due millenni. 

In queste grotte, non a caso utilizzate come luogo di meditazione, ci troviamo quindi di fronte a una riflessione sia sonora che visuale, che ci rimanda ancora una volta al simbolismo del rispecchiamento di tutte le cose e ciò spiega perché esse svolgono nel romanzo di Forster il ruolo di un elemento di crisi e di catarsi. In questo affascinante romanzo, infatti, vengono affrontati, a diversi livelli, i conflitti e le possibilità di connessione, sia per quanto riguarda l’interazione tra la classe inglese dominante e i sudditi indiani nell’era coloniale, che per ciò che concerne l’interiorità dei singoli protagonisti.

Forster suggerisce che solo attraverso lo sviluppo di tali connessioni sia possibile raggiungere una vita completa e autentica. La sua celebre frase “Only connect… live in fragments no longer”, a cui fa riferimento il titolo del presente intervento e utilizzata dall’autore in un altro famoso romanzo, Casa Howard, riassume quindi efficacemente il necessario superamento della concezione dualistica per sperimentare l’unità intrinseca dell’esistenza, di cui parlano le tradizioni di ogni tempo e la cui eco non è impossibile ritrovare, se sappiamo prestare orecchio, anche nella nostra modernità.

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Giancarlo Fabbri, Dio, Patria, Famiglia : numi tutelari della nostra vita.

16 martedì Ott 2012

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese

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Tag

fabbri, filosofia morale, giancarlo, lettura, respiro, spiritualità, teosofia, vita


 DIO——-PATRIA——FAMIGLIA

NUMI TUTELARI DELLA NOSTRA VITA

La capacità intellettiva é quieta, e quand’anche attenta, é disadatta e priva di progettualità, perché popolata di pensieri insignificanti e vacui che sembrano rincorrersi come adolescenti chiassosi assorti nel gioco, in un respiro che si fa ansante e lascia presentire infausti sviluppi.

Sono pensieri che affollano e sequestrano le nostre menti dove si sono consumati, fino ad esaurimento, i principi etici e di filosofia morale che hanno preannunciato il “suicidio innaturale” di valori, di criteri e precetti di comportamento, attraverso i quali il mondo occidentale e cristiano aveva vissuto un fondamento di vita secolare, fino ad un recente passato ma senza intravedere ancora che cosa ne sarebbe stato della loro presenza e fine imminente.

L’uomo si incammina verso il suo tempo, la sua modernità e si mescola tra gente sfuggente, assorbita e rapita “dal furore della vita”, nei quali i pensieri si fanno realtà e diventano, protagonisti indistinti del loro domani, proiettati , come sono, verso mete spesso fallaci.

Sono pensieri da dibattere che concernono le nostre esistenze e i principi morali che hanno supportato il peso del mondo individuale e sociale, affossati così repentinamente di una “morte innaturale”, che ha lasciato in eredità dei protagonisti, dei quali non s’intravvedeva ancora, e chissà per quanto tempo, una qualche decisione di merito.

VORREI parlare di Dio perché, evocarlo, significa affermare con certezza la sua presenza e praticare un religioso atteggiamento spirituale di riverenza e dipendenza verso il divino, poiché Dio è l’essere supremo e il creatore dell’universo, e perché Egli è la perfezione espressa nel mistero della Trinità.

VORREI invocare la Patria perché vuole dire partecipare al destino del Paese in cui si è nati, ritrovarsi nella comunità e nutrire per essa un affetto profondo. Il concetto di Patria è, nel suo significato etimologico, “la terra dei Padri” e chiama a raccolta i suoi figli che si sentono legati da quel vincolo di appartenenza e da una solidarietà infinita, sia per nascita, sia per ragioni storiche-culturali.

VORREI chiamare in causa la famiglia per riconoscerci nella nostra infanzia, negli affetti più cari, nel riproporci le nascite e le morti, poiché la famiglia è il focolare domestico dove costruire, non solo quella vita intima e naturale, ma anche plasmare “l’essenza” della persone.

DIO, PATRIA, FAMIGLIA sono le pietre miliari di valori irrinunciabili ed eterni che ci hanno lasciato tracce di un glorioso passato ma anche un vuoto incolmato della loro grandezza, al di là del profilo storico, politico o sociologico.

È necessario comprendere non solo gli imperscrutabili meccanismi che hanno sorretto le loro secolari dottrine, ma anche “la molla” che ne ha decretato il loro subitaneo tramonto. Tutto ciò che ha avuto ragione di essere nel triplice rapporto, si è consumato in aspri e prolungati contrasti di opinioni, di latenti impulsi e di opposti desideri che si escludevano a vicenda; ma la vera realtà era quel rapporto privilegiato con Dio, Patria e Famiglia che erano la nostra esistenza nel mondo, perché in essi era confluito il corso di tutta l’umanità, il vincolo sentimentale e morale con la vita e il timore della morte, il nostro passare nel tempo, il parlare soli e con noi stessi, eppoi, con gli altri e con quella piccola cellula che è la famiglia nella quale è riposta l’aleatorietà della vita con le sue verità e menzogne.

È importante parlare di ciò che è accaduto senza dissotterrare, per questo, l’ascia di guerra, nonostante ci siano state responsabilità da contrastare per riconsegnare il destino di una vita ai suoi primordi, alle origini, attraverso l’evoluzione umana e la potenza divina.

Gli uomini attuali sostengono argomentazioni, secondo le quali NON tutto deve passare volutamente per intercessione di Dio, ma nessuno di loro, fino ad oggi, ha saputo replicare, con ovvietà, al mistero della nascita della vita e della morte dell’uomo in rapporto al luogo e alla durata della vita stessa, nei quali il proprio “SÉ” si era confrontato con i suoi caratteri ereditari e con quelli di coloro con i quali aveva convissuto e con la fatalistica domanda: “se (il) tutto finirà, che cosa ci sarà dopo di “lui”? forse ci sarà il vuoto primordiale, il silenzio profondo del tempo interminabile?…….

Ci saranno anche coloro che troveranno il modo di criticare con sarcasmo i vetusti pregiudizi, non rendendosi conto di averne creati altrettanti, un po’ più attuali e pensando di sfuggire, così, alle loro paure ancestrali, alle loro vite appartate e immaginarie, alle loro grettezze e povertà morali.

L’uomo ha inteso superare, pertanto, i vecchi pregiudizi con altri in nome di un modernismo che non avrebbe dovuto disconoscere le stesse origini e ritenerli superati, cosicché essi non sono stati affrontati bensì, solamente evitati in nome di un orientamento culturale che tendeva a presentare ogni attività e manifestazione in un contesto storico nel quale si erano formate e sviluppate e dove avevano liberato le ombre notturne della nostra vita, trascinando l’uomo in uno stato di profonda inquietudine.

Non è facile varcare l’ovvietà che ci impedisce di pensare a Dio, Patria e Famiglia, nonostante nuove affermazioni e opposte finalità: prima esse stabilivano un ossequioso ordinamento dei pregiudizi, ora, per converso, servono a contrastarle volutamente e affidarle alle tradizioni divenute sclerotiche.

È difficile rianimare un corpo inerme, ma sarà utile riflettere, perché ciò che è accaduto nella vicenda, “NON PUÒ NON ESSERE, NÉ ESSERE ALTRIMENTI DA CIÒ CHE È STATO”.

 

 

 

Ascona, 15 ottobre 2012                                                                         Giancarlo Fabbri

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