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Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

~ Società Teosofica Ticinese ri-fondata il 29/9/2009.

Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

Archivi del giorno: marzo 16, 2013

Ispirazioni dai piani superiori : Pier Giorgio Parola, Conferenza del 13-11-2012 a Torino

16 sabato Mar 2013

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese, Piergiorgio Parola

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Ispirazioni dai piani superiori
Pier Giorgio Parola
Conferenza del 13-11-2012 a Torino

L’argomento del nostro incontro mira indubbiamente alla fonte di un insegnamento che tutti i teosofisti conoscono: il termine stesso, teosofia (θεός, ‘dio’ e σοφία, ‘sapienza’), indica una sapienza che sta al di là delle normali capacità umane, che proviene dalla divinità.
Si tratta quindi di un concetto che, per quanto tratti di un processo lungo e difficile, dovrebbe essere chiaro per tutti i membri della Società Teosofica, in primis i dirigenti ed i divulgatori, ma penso, tuttavia, che il tema necessiti di qualche precisazione iniziale.
Nel secolo sorso madame Blavatsky ci ha parlato di Maestri che, sul piano dove ora noi siamo, sulla terra, hanno il compito di mantenere viva la conoscenza di una dottrina che, tradizionalmente, è sempre stata trasmessa comunicandola a coloro che ne erano degni. Secondo l’insegnamento di Madame Blavatsky i Maestri sono gli eredi di coloro che, lungo il susseguirsi di lunghissime ere, hanno guidato l’evoluzione dell’umanità. In un periodo in cui gli uomini erano ancora dotati dei due principi superiori, ossia di atmā e buddhi, e dei quattro inferiori, ma non del manas, e quindi non erano realmente “umani”, queste guide erano quei mitici re, eroi fovolosi, che hanno governato gli uomini fino al momento in cui l’umanità potè (dovette) essere dotata, dai manasaputra, della mente, di quella mente che doveva consentire all’umanità, ormai giunta alla fine della propria involuzione nella materia, di proseguire, lungo un sentiero evolutivo, con le proprie forze. Questi adepti iniziarono un graduale ritiro dal governo dell’evoluzione del regno umano, ma tuttavia ci furono generazioni di studiosi, di veggenti, che agirono nell’ambito dei vari popoli e che talvolta si manifestarono come le menti più brillanti di un’epoca, e, sempre restando nell’ombra, furono pronti ad intervenire nel momento del bisogno, bisogno che, secondo due adepti, c’era alla fine del XIX secolo quando, mentre iniziava a soffiare quel vento della tecnologia che doveva travolgere delle istituzioni millenarie, si decise di fondare la Società Teosofica. Allora i Maestri erano considerati degli esseri umani apparentemente normali, seppur dotati di capacità paranormali, degli uomini della nostra ronda e quindi limitati dalle sue regole (un adepto è tale soltanto al livello “incondizionato” della mente superiore), ma che erano tuttavia, quando il caso lo richiedesse, in grado di superare le proprie limitazioni personali e di servire da collegamento con i piani superiori, con quella “compassione” del Bodhisattva che tramite il Manushya, il Buddha umano, governa il nostro universo. Ma, dopo la morte della Contessa, la dottrina che i nuovi leaders della Società Teosofica propagandarono con libri, conferenze e più o meno sottili inviti, presentava i Maestri in modo alquanto diverso, ovvero come degli esseri al di fuori del nostro mondo. Questa credenza, che non trova riscontro negli insegnamenti originari della Blavatsky e delle “Lettere”, venne divulgata da C.W. Leadbeater ed Alice A. Bailey e negli anni 30 e ricevette una precisa sistemazione da Guy Ballard coi suoi Ascended Masters.
Molte discussioni sono state fatte a proposito della storicità dei Maestri e sulla loro stessa esistenza, e negli anni 90 lo storico e teosofo statunitense K. P. Johnson ha cercato di identificarli, dimostrando, con “ragionevole probabilità”, che erano stati degli uomini che vivevano al tempo di M.me Blavatsky in un modo assolutamente normale. Ma il vero problema sta fra la credenza che afferma l’esistenza sulla terra di Maestri alla guida della Società Teosofica e quella che prevede invece dei Maestri ascesi su dei piani superiori a quello terrestre.
Ci sono, qui in terra, dei Maestri alla guida della Società Teosofica? Alcuni lo negano dicendo che tutti i Maestri storici hanno “preso delle iniziazioni” (cosiddette) che li hanno portati a risiedere stabilmente su altri piani; io obietterei che su altri piani avevano già, pur avendo un corpo fisico, possibilità di operarare con i loro mayavi rupa e che, per poter avere definitivamente trasceso il piano fisico, dovrebbero, essendo stati esplicitamente definiti uomini della quinta ronda (il manushi buddha era, qui in terra, un uomo della sesta ronda), avere conseguito, in un breve secolo, il risultato previsto in oltre due miliardi di anni d’evoluzione. Io penso (interpretando gli insegnamenti originari) che, finchè dura la loro vita terrena, i Maestri siano “uomini” a tutti gli effetti. Occorre poi rilevare che, nel frattempo, i Maestri di Madame potrebbero essere morti ed essere subentrati dei nuovi Maestri, dei Maestri che potrebbero guidarci sia rimanendo incogniti che pubblicamente, seppure non ufficialmente (tanto per non rinunciare ad una teosofica sudditanza all’oriente: ad esempio il Dalai Lama. Personaggio quest’ultimo che, pur rimanendo sinceramente un monaco, afferma onestamente la propria normalità, compresi, talvolta, i sogni erotici).
Tralasciando per il momento la questione dei Maestri, vorrei rilevare che, di norma, quando si parla di ispirazione dall’alto, spirituale, a molti viene in mente la figura di un mistico circonfuso di luce, e ad altri l’immagine di una mente limpida come il cristallo che riluce di una beata onnniscienza, quest’ultima immagine appare di solito a coloro che, avendo ormai lasciata la parrocchia, hanno molto (talvolta troppo) letto ed ascoltato (sono cioè più avvezzi a navigare sul mare di una ormai diffusa new age, una cabalo-alchemica, orientalistica, ecc., cultura in cui tutti noi teosofisti di una certa età abbiamo più o meno a lungo soggiornato; un mare in cui hanno sempre nuotato, nuotano e nuoteranno pesci di ogni forma e dimensione, poichè ogni epoca ha avuto la sua new age, con i suoi sogni, le sue diete e tanti approfittatori). Ma queste sono tutte delle belle cose che prevedono qualità che, nella mia quarantennale militanza teosofica, mai ho avuto la fortuna di incontrare (rabbini caduti da cavallo sulla strada di Damasco in un caso o yogin meravigliosi nell’altro). Molto più prosaicamente, per noi teosofisti il problema sta nel fatto che non basta iscriversi alla Società Teosofica per essere “istruiti dalla divinità” e non è sufficiente comperare tanti libri per costruire una pila così alta da raggiungere l’illuminazione.
L’insegnamento tradizionale (quello supportato dalla conformità delle investigazioni di generazioni di adepti) è giunto alla conclusione che al di là del nostro settuplice sistema terreste c’è un’unica realtà, ecc., ecc., il che ci dice “chi siamo”, ma sarebbe anche bello sapere, avere la certezza di sapere, “come dobbiamo comportarci”, una sicurezza che, evidentemente, richiede un’esperienza che trascende la normalità.
La storia della Società Teosofica parla di coloro che queste cose le hanno dette e che ci hanno fornito una dottrina che spiega la struttura del mondo in cui viviamo, ma gli insegnamenti teosofici sono solo pura teoria o sono una scuola di vita? e se sono una lezione morale come dovrebbe interpretare gli insegnamenti di Madame Blavatsky chi volesse metterli in pratica?
Io penso, socraticamente, che la conoscenza, anche solo teorica, sia un buon sistema per non commettere errori, ma di quale conoscenza stiamo parlando?
Quando si mettono in pratica degli insegnamenti si vede che ogni sistema è imperfetto e che, per fortuna, non si può fare applicare agli altri un sistema personale: questo fa si che ognuno deve ottenere personalmente una conoscenza che personale non è. Tradizionalmente nessun “vero” Maestro ha mai supposto di possedere la verità (di poterla comunicare), nessun autentico Maestro ha mai preteso di non dovere confrontare le proprie riflessioni, intuizioni, visioni, con gli altri, pronto a riconsiderare le proprie idee. La gupta vidya, la dottrina segreta tradizionale, è questa e, anche nel nostro piccolo, il sistema è sempre valido: è necessario unirsi ad altri per confrontarsi.
Siamo qui in terra e qui, hic et nunc, dobbiamo (se ne abbiamo voglia) operare; e qui, oltre ad un corpo fisico che ci consente di muoverci, abbiamo solo la mente, e non la mente limpida come il cristallo di quei rari yogin che hanno raggiunto la meta, ma la mente razionale (quasi) che è a disposizione dei normalissimi uomini: una mente, si badi bene, che è il traguardo raggiunto dall’umanità dopo un viaggetto di più di duemila milioni di anni…… un lavoro da niente quindi. Quando si sentono tanti spiritualissimi cultori di discipline esoteriche disprezzare la “mente”, vantando le meraviglie di, mai ben precisati, stati trascendentali, non si deve scordare che l’origine della manifestazione di questo manvantara, il nostro periodo di attività, è stato Mahat, la grande mente, che ha “pensato e voluto” quella luce, akasha, che illumina il cosmo; e la consapevolezza di questo è la futura meta dell’umanità. E’ una meta che deve essere, evidentemente, raggiunta partendo da dove siamo e con gli strumenti di cui disponiamo: una mente legata al desiderio personale. Ad ogni livello, ogni creazione è originata da un progetto (mentale) e dalla volontà di realizzarlo (kama, quel quarto principio che nel caso di una personalità diventa tanha, trsnā, sete di vita); e l’irrinunciabile necessità della razionalità è stata ultimamente affermata anche da Benedetto XVI in un suo discorso a Ratisbona. In epoche lontane gli stati di coscienza di cui l’umanità sta ora vagheggiando erano comuni a tutti, in quanto gli uomini si valevano di guide divine, e se attualmente, nel momento in cui non solo la nostra catena planetaria terrestre, ma l’intero sistema solare sta iniziando la propria marcia di ritorno verso la “casa del Padre”, ci troviamo in un frangente in cui la tensione fra l’involuzione nella materia e l’evoluzione spirituale (entrambi parti paritarie del progetto divino: incarnazione, passione e morte, e resurrezione) è massima, siamo in un momento in cui solo l’uso “personale” di manas, il sacrificio consapevole, può pagare il prezzo del viaggio: solo la sublimazione dei propri desideri. Ogni epoca ha una meta da raggiungere e gli strumenti adatti per farlo, e la socratica razionalità della nostra cultura occidentale (talvolta poco razionale, ma che tanto affascina gli orientali) che, con medioevale pervicacia, la nostra new age (anche teosofica) considera un’ancilla “theosophiae” ha la stessa dignita di ognuno dei (sette) principi (della coscienza) con cui è “coadunita”.
Quindi, prima di parlare ancora dei Maestri, ed, eventualmente, del come mettersi in contatto con loro, occorre affrontare un altro problema: chiarire bene cosa si intende per piani superiori, che l’esperienza dimostra che il rinunciare alla ragione in nome di presunte visioni mistiche di guai ne ha provocati a bizzeffe.
Poeticamente la terza delle “Stanze di Dzyan” ci dice che “Padre-Madre tesse una tela la cui estremità superiore è congiunta allo spirito, la luce della Tenebra Unica, e l’inferiore alla sua estremità oscura, la materia”. HPB è molto chiara quando dice che: “Nel sistema solare (lasciamo stare l’intero kosmos) la materia differenziata esiste in sette differenti condizioni e, poiché prajna, che è la capacità di percepire, ha anch’essa sette aspetti diversi in corrispondenza con i sette stati della materia, devono necessariamente esserci sette stati di coscienza nell’uomo, e le religioni e le filosofie sono organizzate secondo il maggiore o minore sviluppo di questi stati” (The Secret Doctrine, II, 597 nota).
Secondo l’insegnamento teosofico, quindi, gli stati di coscienza dell’uomo sono relativi a questi sette piani di cui quello su cui si trova la nostra terra è il più basso, poi ci sono altri tre piani su cui sono situati gli altri globi della catena terrestre e poi ci sono altri tre piani al di là di quelli della nostra catena, piani che si suole definire spirituali.
Ora se per piani superiori si intendono dei piani spirituali il raggiungimento di questi piani si ha quando si trascende il piano di una mente associata al desiderio personale, se invece si intende solo il superamento della limitazione dovuta ai nostri sensi fisici il discorso cambia e qui sta una delle principali differenze (con inevitabili, comunque mascherate, ripercussioni etiche) tra l’insegnamento blavatskiano e quello di alcuni membri della Società Teosofica che le sono succeduti come maitres de la pensée teosofica, come via da seguire per i teosofisti: c’è infatti una fondamentale differenza tra il desiderio di operare secondo quello che è il progetto divino e la ricerca dei poteri psichici. Tra la possibilità di investigare sul piano astrale e l’illuminazione della bodhi, la sapienza divina. Avere dei poteri (sensi) superiori su dei piani che sono pur sempre intimamente collegati al piano fisico non significa essere spiritualmente più evoluti, il cane che ha un olfatto migliore di quello degli uomini non è per questo più intelligente.
Le investigazioni su altri piani, che sul piano astrale si limitano a quel passivo mondo degli effetti che circonda la nostra terra, possono portare in mondi diversi in cui il sistema delle cause e degli effetti è diverso e quindi, se non si è sviluppato un adeguato stato di coscienza, lo sviluppo delle siddhi può essere pericoloso, come insegna H.P.B. .
Cosa significa quindi essere spiritualmente evoluti? Significa essersi liberati (con una scelta razionale) da ogni influenza della personalità, ossia avere raggiunto quello stato in cui il nostro Sè, quel raggio monadico che dopo un lungo percorso è giunto nel regno umano, può manifestarsi (condizione che a seconda dei casi, e dell’era in cui si verifica, può essere stabile o episodica, come sembra essere stato nel caso dei nostri Maestri): Krishnamurti dice che “finchè c’è l’attività di un sè che progetta non ci si può rendere conto della realtà” ed H.P.B. afferma che “l’Ego spirituale può agire solo se l’ego personale è paralizzato”. Chi giunge a questo livello “opera” con il proprio Ego taijasi ed è in relazione con la propria divinità interiore ed illuminato dalla bodhi, dalla divina sapienza (che non è mai disgiunta dalla compassione: prajna-karuna, “voi stessi siete stati ammaestrati da Dio ad amarvi gli uni gli altri” [1 Tess., 4, 9]), è theos didaktos, istruito dalla divinità come Ammonio Sacca: è teosofo. Per Shankaracharya prajna è la totalità della coscienza, caratterizzata dalla mancanza di discriminazione e per la Mandukya Upanishad è “la coscienza per eccellenza poichè solo in lei c’è la conoscenza del passato e del futuro e di ogni cosa”; ed a proposito del fatto che i Maestri appartennero alle culture più diverse, ci fu chi nel ‘500 disse che “ciascun uomo porta in sé l’intera forma dell’umana condizione” (Montaigne, Essais, III, 2). L’uomo….essendo composto dalle essenze di tutte le gerarchie celesti può riuscire a rendere sè stesso, come tale, superiore, in un certo senso, ad ogni gerarchia o classe, o anche ad una loro associazione.
La distanza che c’è tra noi ed i Maestri è quindi la stessa che c’è, in ognuno di noi, tra l’ego personale e il proprio Ego superiore (alcuni teosofi dicono il proprio Sè superiore, ma a questo punto non esisterebbero più differenziazioni e quindi una differenza tra allievo e maestro) e può quindi essere corta o lunga a seconda dei casi.
In ognuno c’è un luogo detto la “Terra Sacra” (il primo continente), che è definita immortale in quanto è stata la culla del primo uomo e sarà la dimora dell’ultimo divino mortale scelto come sishta per essere il futuro seme dell’umanità. Di questa terra misteriosa e sacra può essere detto molto poco, se non che…… ’la stella polare ha su di lei il suo occhio rilevatore, dall’alba al tramonto di un giorno del GRANDE RESPIRO’ e questa “Terra Sacra è un luogo che ….non ha mai condiviso il destino degli altri continenti, essendo la sola il cui destino è quello di durare dall’inizio alla fine del manvantara per tutte le ronde” (The Secret Doctrine, II , 6). Su questa terra, al centro di sette mari, sta il faro che indica la strada, emettendo la luce che illumina la via “maestra”. Ed ha questo punto risulta chiaro il perchè Suzuki chiama l’illuminazione “la beffa fondamentale”, la ragione sta infatti nel fatto che, una volta ottenutala, si scopre di averla sempre posseduta
Evidentemente i Maestri devono occuparsi dell’evoluzione umana nella sua totalità mentre, ai fini pratici personali, un Maestro è il proprio Ego illuminato dalla bodhi, e raggiungerlo (gnotis eautón) è nelle possibilità degli uomini (se compiono uno sforzo adeguato). Il maestro K.H. (nella lettera n. 45) dice “Guardatevi attorno, amico mio: vedete i tre ‘veleni’ che infuriano nel cuore degli uomini, la rabbia, l’avidità e l’illusione e le cinque cause dell’ignoranza, l’invidia, la collera, l’incertezza, la pigrizia e la miscredenza, che non ci consentono di vedere la luce. Non permettono di liberare un cuore malvagio dall’inquinamento e di sentire la spiritualità che c’è in tutti noi. Non state forse cercando, per accorciare la distanza tra di noi, di liberarvi dalla rete della vita che ha catturato tutti….?”.
Questo non toglie che, nel sapiente progetto che ha indotto la Monade a reincarnarsi, a divenire preda dell’illusione dell’ego, ogni principio sia, a suo tempo, necessario ed abbia pari dignità. La personalità deve essere trascesa pur amandola (com’è stupido, sacrilego, non farlo!). Per risorgere occorre amare la vita, la vita terrena, ma allo stesso tempo essere consapevoli dell’esistenza di una realtà superiore, occorre potere dire: “Padre Mio, se non è possibile che passi oltre di me questo calice … sia fatta la tua volontà” (Matteo XXVI, 42). E qui convergono terra e cielo, riuniti nell’uomo. Se no sarebbe troppo facile, per invertire il cammino occorre una forza (divina) equiparabile a quella primordiale. Nella Dottrina Segreta (II, 81) leggiamo che “nessuna entità, sia angelica che umana, può raggiungere lo stato nirvanico, ovvero l’assoluta purezza, se non dopo eoni di sofferenza e dopo avere conosciuto sia il MALE che il bene, poichè altrimenti quest’ultimo sarebbe incomprensibile”.
Se, come afferma il Maestro K.H., la liberazione dalle cinque cause e dai tre veleni (sovente definiti con nomi diversi) ha sempre, tradizionalmente, portato a trascendere la personalità, alla consapevolezza di far parte di una individualità più ampia, al servizio amorevole dei bisognosi: orbene penso che (senza cercare molto lontano, in paesi esotici o su piani trascendenti ) dei Maestri si possono quotidianamente trovare in quelle persone che quotidianamente, nascoste negli ospedali, negli ospizi, nelle famiglie, per le strade del mondo, ……dimostrano la loro “sapiente compassione”. Sono persone, buoni samaritani con i piedi per terra, a cui il Maestro interiore ha svelato chi è il “prossimo” e come agire, senza altra motivazione che la loro compassione (karunā, carità, …..amore…..). Carità che genera fede e speranza negli uomini.
Ricordando che Krishnamurti avverte che “…se hai intenzione di meditare non sarà meditazione” e che questo va inteso anche come: “…. il desiderio personale di un Maestro porta all’illusione”.

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L’EVOLUZIONE: PROSPETTIVE TEOSOFICHE Pier Giorgio Parola

16 sabato Mar 2013

Posted by ancaroni in Articoli della Rivista Teosofica Ticinese, News, Piergiorgio Parola

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L’EVOLUZIONE: PROSPETTIVE TEOSOFICHE
Pier Giorgio Parola

Quando nel 1875 due Maestri decisero di sostenere la fondazione della Società Teosofica, la divulgazione, avvenuta nel 1859, della teoria evoluzionistica darwiniana ebbe, indubbiamente, il suo peso. Più di trecent’anni dopo che il “Delle Rivoluzioni dei Corpi Celesti” di Copernico aveva cacciato l’uomo dal centro dell’universo fisico, e quasi trecento da quando Giordano Bruno venne mandato “vivus in igne… per usare clemenza senza spargimento di sangue”, l’“Origine delle Specie” di Darwin cacciò i teologi dall’Eden; in pochi secoli l’uomo aveva perso quella centralità e quella diversità rispetto alla struttura dell’universo che, per tanti secoli, si era attribuita. I Maestri, sempre attenti per il bene dell’umanità, erano ben consci dei problemi che potevano presentarsi e K.H. rileva, nella sua prima lettera a Hume, come, fra l’altro, gli scienziati nel novembre 1880 fossero “divisi sulle teorie di Darwin”.
Davanti ad un pubblico che pensava (e pensa) a tutt’altro, iniziava allora quel balletto tra il creazionismo biblico, che tutt’ora alcuni dei cristiani più conservatori mantengono, ed un evoluzionismo di cui talvolta si ignorano le differenziazioni. Diversificazioni che sono state sovente attribuibili al desiderio politico di non alienarsi determinati settori.
Gli anni in cui iniziò a formarsi il moderno movimento teosofico videro quindi M.me Blavatsky confrontarsi con la nuova dottrina. L’argomento “progresso della vita” era di attualità ed HPB conosceva bene il soggetto ed era in grado di individuare quei problemi che ancor’oggi rimangono irrisolti per la scienza e di esprimere chiaramente le differenze tra la propria dottrina ed il sistema darwiniano. Che fosse in grado di farlo lo si può rilevare anche dalla lettera che, dopo la pubblicazione dell’“Iside”, Alfred R. Wallace, uno scienziato le cui osservazioni erano state utilizzate da Darwin per elaborare le proprie teorie, le inviò (gennaio 1878) dicendosi “stupefatto per l’erudizione di questi bei volumi e per l’interesse dei temi che trattano. C’è una quantità di nuove idee che sono di grande valore”.
Invero HPB riconobbe la validità del lavoro di Darwin, pur ritenendolo insufficiente a spiegare le cause che costituiscono il fondamento dell’evoluzione e rilevando l’utilizzo “in luogo di forze creatrici consapevoli…. di forze della natura agenti alla cieca, senza alcun fine…” (S.D., II, 652). “L’occultismo non nega la realtà dell’origine meccanica dell’universo, ma proclama l’assoluta necessità dell’esistenza dei meccanici…” (S.D. I, 594).
Il giudizio di Wallace rimase una rara avis, ma se, evidentemente, non si può chiedere che un insegnamento che si basa su allegorie, astrazioni, accenni ed allusioni sia considerato scientifico, si può pretendere che sia criticato con giuste considerazioni. Questo anche perchè quella stessa ricerca che ha fornito, con i geni omeotici (quelli che controllano la forma corporale), una risposta che un tempo non si poteva pretendere dalla scienza, ha fatto si che attualmente la dottrina teosofica stia ottenendo una certa considerazione da parte di alcuni (più numerosi di quanto comunemente si pensa) scienziati; se non altro alcuni temi, come quello delle estinzioni di massa, su cui Darwin preferì sorvolare, possono essere temi di discussione e confronto.
Le fazioni dei creazionisti e degli evoluzionisti quindi, le cui posizioni sono così mutate nel corso dello scorso secolo, dovrebbero essere pronte a discutere e non a rifiutare tout court, con spocchia, quella “teosofia” che, con le teorie dell’“emanazione” e della “evoluzione”, ha dato risposte che, pur evidentemente discutibili e chiaramente non verificabili con i criteri della scienza, non mancano di una non trascurabile coerenza.
Bisogna innanzi tutto precisare che l’evoluzione di cui parla la “teosofia” ha poco da spartire con quella darwiniana; a parte il fatto che il termine “evoluzione” non è mai stato usato da Darwin (sebbene lo abbia poi fatto il suo editore). L’evoluzione darwiniana infatti, che evidenzia così bene le pecche dei “fissisti”, è figlia del “TRASFORMISMO” di Lamarck ed esclude ogni intervento cosiddetto preternaturale, utilizzando dei criteri esclusivamente “scientifici” ossia materialistici. La dottrina teosofica, in cui il concetto di evoluzione pervade così diffusamente tutto l’insegnamento da influire su ogni tema, afferma che c’è ben altro al di là del piano fisico su cui indaga la scienza. E’ un tema che HPB aveva ben presente: “….non abbiamo nulla contro la parte fisica della teoria dell’evoluzione….quello su cui abbiamo da obiettare è la totale disattenzione per l’altra parte della teoria…. l’evoluzione dello spirito, che si sviluppa in silenzio e si afferma sempre più con il perfezionarsi delle forme” (C.W. II, 185). M.me Blavatsky, in breve, sosteneva la POSSIBILITA’ di applicare un METODO assolutamente scientifico ad una realtà metafisica.
La dottrina teosofica afferma la CICLICA manifestazione di un’unica eterna, immutabile ed inconoscibile realtà e qui occorre notare che, tradizionalmente, il termine evoluzione non ha mai indicato un progresso rettilineo, e che, anche etimologicamente, il termine stesso EVOLUZIONE, dal latino E-VOLV-ERE, significa “FUORI DA,….MUOVERSI IN GIRO”. Si tratta di una manifestazione in cui c’è la fondamentale unità di ogni esistenza, in cui nulla è separato dalla realtà infinita e che è guidata ed animata da una gerarchia cosmica di esseri coscienti, ognuno dei quali ha un compito specifico. In questo universo ogni cosa deve adeguarsi alla LEGGE dell’ETERNO EQUILIBRIO che i Maestri affermano essere l’UNICA e suprema legge su cui si basa ogni cosa. Questa legge comporta che a delle cause corrispondano degli effetti, in un processo, karma, che stabilisce che l’evoluzione naturale sia soggetta ad una legge di periodicità con dei cicli con fasi divergenti, che hanno però un andamento progressivo e non solo ripetitivo.
“La dottrina segreta afferma il progressivo sviluppo di ogni cosa, dei mondi come degli atomi, e che non è concepibile un inizio od una fine di questa stupenda evoluzione. Il nostro ‘universo’ è solo uno degli infiniti universi, tutti ‘figli della necessità’ in quanto anelli della grande catena cosmica degli universi, essendo ognuno in relazione con i suoi predecessori, dei quali è l’effetto, ed essendo la causa dei suoi successori.” (S.D. I, 43).
Evolvere è un impulso eterno che, al di là del tempo, risponde al richiamo del Dharma, di quella legge costituita da tutte le cause, dagli incalcolabili dharma, i piccoli fattori, i piccoli eventi dell’esistenza di ognuno, della sua esperienza soggettiva. Il nostro karma è la combinazione degli atti e dei pensieri di tutti gli esseri, di qualsiasi tipo, che hanno partecipato al precedente manvantara ossia alla corrente di evoluzione da cui deriva la nostra.
Evolvere è un impulso a cui non si può sfuggire, in una eterna sequela Christi c’è la necessità di reincarnarsi per poi risorgere, senza una fine, la teosofia ci dice che non c’è fine e non c’è inizio, non c’è mai stato. Ci sono la fine e l’inizio delle forme particolari (non importa quanto grandi), ma non ci fu un’origine e la vita EVOLVE senza una fine, ciclicamente. Secondo l’insegnamento teosofico l’evoluzione senza inizio nè fine, è un eterno viaggio verso sempre nuove esperienze. Gli esseri più avanzati di un sistema, come la nostra catena planetaria, incominceranno come “elementali” nella prossima manifestazione, al grado più basso dei tre regni che seguono il regno minerale o di una suddivisione conforme. In relazione alle scale musicali, la prima nota di ogni ottava ha lo stesso tono di quella della precedente, ma ad una frequenza maggiore.
Per essere più precisi: “….in natura esiste un triplice schema evoluzionario per la formazione delle tre periodiche upadhi (veicoli)…., l’evoluzione monadica, quella intellettuale e quella fisica. Questi sono gli aspetti definiti o il riflesso sul campo dell’illusione cosmica di atmā, il settimo, l’unica realtà.
1. La monadica è….connessa con la crescita e lo sviluppo della monade in sempre maggiori fasi di attività unitamente a :
2. l’intellettuale rappresentata dai manasadhyani (i deva solari o agnishvatta pitri) i “datori dell’intelligenza e coscienza” all’uomo e:
3. la fisica, rappresentata dai chhaya (forme) dei pitri lunari, intorno ai quali la natura ha costruito l’attuale corpo fisico. Questo corpo serve da veicolo per la “crescita”…. e la trasformazione per mezzo del manas e, a causa dell’accumulo delle esperienze, del finito nell’infinito, del transitorio nell’eterno e assoluto. Ognuno di questi tre sistemi ha le proprie leggi ed è regolato e guidato da differenti gruppi dei più alti dhyani o “Logoi”. Ognuno è rappresentato nella costituzione dell’uomo, il microcosmo del grande macrocosmo, ed è l’unione in lui di queste tre correnti che lo rende l’essere complesso che è attualmente”. (S.D., I, 181-2).
Secondo HPB le tre correnti, quelle degli architetti (dhyani ed eventualmente adepti di grado eccelso), degli operai (gli uomini) e dei materiali da costruzione (elementali e minerali), sono combinate indissolubilmente. Ed il Maestro K.H. (lettera n.9) afferma che “…la massa dei mondi celesti abitati da uomini intelligenti (tra cui il nostro pianeta) può essere paragonata ad una sfera o meglio ad un epicicloide formato da anelli come una catena, a mondi concatenati il cui complesso rappresenta un anello o cerchio immaginario senza fine”.
Ma per chiarire tutto ciò nell’ambito dell’insegnamento teosofico occorre precisare che nei testi che sono considerati canonici ci sono delle notevoli differenze e che se HPB dice che “l’intero cosmo è guidato, controllato ed animato da una serie quasi infinita di gerarchie di esseri senzienti, ognuna con un suo compito, i quali, qualsiasi nome diamo loro, sia che li chiamiamo dhyani ciohan o angeli, sono i ‘messaggeri’, nel senso che sono gli agenti della cosmica legge karmica. I loro gradi di intelligenza e di consapevolezza variano infinitamente e considerarli tutti dei puri spiriti senza alcun legame terrestre è pura fantasia……” (S.D., I, 274-5), ed aggiunge che “invero, come abbiamo appena visto, ogni cosiddetto ‘spirito’ o è un uomo disincarnato o è un futuro uomo. Dall’arcangelo più elevato (dhyani ciohan) fino all’ultimo “costruttore” consapevole (la più bassa classe di entità spirituali) sono tutti uomini, vissuti eoni fà, in altri manvantara, su questa o su un’altra sfera, mentre gli elementali inferiori, semi intelligenti o non intelligenti, sono tutti futuri uomini” (S.D. I, 277), al contrario il sistema di C.W. Leadbeater (Jinarajadasa ecc.) afferma che “gli spiriti della natura costituiscono una evoluzione a parte, a questo livello completamente distinta da quella dell’umanità….noi sappiamo che, dopo che si è ottenuta l’individualità, lo sviluppo dell’umanità ci conduce gradualmente sul ‘sentiero’ e poi avanti verso l’alto fino a divenire degli Adepti dalle possibilità meravigliose” ed inoltre “questa è la nostra linea di sviluppo, ma non dobbiamo fare l’errore di credere che sia l’unica linea…. gli spiriti della natura, ad esempio, non sono mai stati e non saranno mai membri di una umanità come la nostra” (The Hidden Side of Things, I, 116-7). Riguardo al nostro tema ci sono quindi due posizioni antitetiche di cui occorre prendere atto, che non si possono certo ignorare, ma che, almeno a mio parere, non si possono neanche conciliare e quindi, nel prosieguo della nostra chiaccherata, almeno per oggi…., ci limiteremo a considerare il sistema blavatskiano e dei Maestri. Fatta questa precisazione possiamo ancora citare la S.D. che dice che: ”Ogni forma sulla terra ed ogni punto (atomo) nello spazio cercano, operando per l’autoformazione, di seguire il modello posto per loro nell’“HEAVENLY MAN”….. La sua (dell’atomo) involuzione ed evoluzione, la sua crescita ed il suo sviluppo esterni ed interni hanno tutti un medesimo scopo: l’uomo; l’uomo, che su questa terra è la forma massima e definitiva; la MONADE, nella sua totalità assoluta e nel suo stato di risveglio, come culmine della incarnazione divina in terra” (S.D., I, 183).
Il modello creato in corrispondenza alla legge unica, il Dharma, quella legge costituita da tutte le cause, da tutte le registrazioni custodite nell’“Uovo d’Oro” che, ubbidendo alla legge karmica, danno ciclicamente origine alla manifestazione, ad un periodo di progresso, di sristi, dopo un periodo di riposo, di pralaya, è un paradigma che si riflette in ogni forma del cosmo, in ognuna delle conformazioni che veicolano quel processo interiore che costituisce il perché dell’esistenza. Ogni progresso esteriore, ogni evoluzione è aderenza al “progetto”.
Il primo volume del “La Dottrina Segreta” è dedicato all’esame degli eventi legati alla manifestazione dell’universo ed in particolare della nostra terra in quanto connessi con la nostra evoluzione; e spiega come il graduale, progressivo, realizzarsi dei corpi fisici, di cui si occupa l’attuale scienza, è avvenuto lungo cicli regolari e costanti, secondo una legge infallibile che prevede una ciclica alterna evoluzione.
“La Dottrina Segreta” dice che: “Per l’azione della sapienza manifestata, o Mahat, rappresentata dagli innumerevoli centri di energia spirituale nel cosmo che sono il riflesso della mente universale, che è l’ideazione cosmica con la forza intellettuale che accompagna questa ideazione, il fohat della filosofia esoterica buddhista diventa oggettivo. Fohat, seguendo i sette principi di akasha, agisce sulla sostanza manifestata ossia sull’elemento unico…….e differenziandolo in vari centri d’energia, mette in moto la legge di evoluzione cosmica, che, ubbidendo all’ideazione della mente universale, porta in esistenza ogni stato d’essere del sistema solare” (S.D., I, 110). HPB ci dice che durante la nostra catena planetaria, “in una fase discentente lo spirituale gradualmente si trasforma nel minerale, poi nel punto di mezzo spirito e materia vengono equilibrati nell’uomo e dall’uomo e quindi, nella fase ascendente, lo spirito, gradualmente, si riafferma a spese del fisico, o materia, cosìcchè, alla fine della settima razza della settima ronda, la monade sarà come liberata dalla materia e da tutti i suoi attributi, come era al principio, avendo in più guadagnato esperienza e sapienza, il frutto delle sue vite personali senza più il male e le tentazioni”(S.D., II, 180-1)..
Un tema che nel secolo passato, ed ancor oggi, ha creato problemi ai teosofisti è quello delle razze ed è quindi necessario rilevare (S.D., 571-4) che differenti stati di coscienza si possono trovare nei popoli più diversi e sono generalmente dovuti, a parte l’impegno dei singoli, a delle tendenze karmiche. In ogni uomo sono virtualmente presenti tutte e sette le razze, pur essendovi la predominanza di una in particolare. La settuplice differenziazione è dovuta al fatto che le monadi (i raggi monadici) sono di sette tipi, in relazione ai sette dhyani buddha che durante la presente manifestazione sono i prototipi per ogni diversità e che operano congiuntamente. Si deduce che le diseguaglianze fra le razze sono le stesse che si trovano al livello più sublime, ognuna con la stessa dignità, e che solo la misconoscenza dell’insegnamento teosofico può intravedervi una posizione razzista.
E’ interessante notare come differenti linee evolutive si intreccino e supportino nel succedersi di successivi stati di coscenza (razze, intendendo per razza un periodo d’evoluzione e derivando il termine dalla radice latina ratio, natura, genere, e non da radix), nell’ambito di una entità unica, un insieme di monadi immortali che preparano, sotto la guida dei differenti dhyani preposti, quelle “personalità” che sono lo strumento per progredire nel sistema delle tre correnti evolutive. Un aiuto si trova nell’ammonimento dei Maestri che indicano nella legge dell’analogia la sola guida sicura, e nella constatazione che quando nel canone blavatskiano si trovano dei numeri riferiti a fattori dei processi evolutivi ci sono delle innegabili ed irrinunciabili corrispondenze.
L’evoluzione individuale non è quindi limitata ad una vita, ma continua per un numero illimitato di vite, reso possibile dalla reincarnazione, dall’ingresso del Sé, la trinità di spirito, anima e mente, in un altro corpo umano; l’accettazione della dottrina dei cicli risponde a molte domande, a bazzecole del tipo: perché si deve morire? HPB afferma la necessità di non saltare nessun gradino, ammettendo che i gradini (intervalli) ci sono. La ricerca di una possibile liberazione dal doloroso, interminabile corso del samsara è una posizione che la teosofia non stima corretta. Il teosofista non dovrebbe considerare una vita personale dell’uomo come un episodio separato, avulso dalla interminabile sequenza di reincarnazioni imposta dalla legge karmica, in un susseguirsi di momenti di involuzione e di evoluzione che richiedono dei comportamenti completamente differenti, opposti e questo è importante quando si debbano giudicare i comportamenti altrui. Al contrario, la graduale evoluzione psicologica dell’uomo non è presa in considerazione da Krishnamurti che esorta alla liberazione non dell’io, ma dall’io, e questa è la grande differenza tra il suo pensiero e la dottrina teosofica, ma l’intuizione della teoria degli “equilibri punteggiati” da parte di due uomini di scienza come Stephen Gould e Niles Eldredge, può fare riflettere (così in alto come in basso in una visione temporale di strabiliante durata) sulla possibilità di conciliare le due posizioni. Se vogliamo raccontare una storiella: un giorno dopo l’altro invecchiamo, cambiamo a poco a poco, impercettibilmente, e poi un bel giorno ci mettono un vestitino di legno…. e come cambiamento non c’è male (ma ciò che cambia è la personalità: un vestito).
In questo contesto, in cui una visione chiaramente analogica è indubbiamente sconfessata dalla quotidiana esperienza della digitalità, la scienza, con quella stessa teoria dei quanti che nel secolo scorso ha tolto agli uomini molte certezze, dà molto su cui riflettere (come ha ben compreso David Bohm).
Ad ogni modo di certo c’è il fatto che quello dell’evoluzione è un cammino che, oltre un certo limite, non può essere abbreviato da nessuno in quanto mancano le condizioni per farlo, poiché il mondo non è ancora FORMALMENTE in grado di manifestare una coscienza umana così sublime.
Ora noi teosofisti siamo ad un punto dell’evoluzione in cui si dovrebbe essere come gli evangelici “fiori dei campi”, senza l’assillo di bisogni che spingono continuamente a voler divenire qualcos’altro; l’importante è conoscerci, cercare di vederci nel nostro contesto spazio temporale, consapevoli della ciclicità della manifestazione, in cui i momenti di involuzione e di evoluzione delle individualità, personali e collettive, si intrecciano ed accavallano, e fare del nostro meglio. Evolvendo nel corso dei cicli, durante miliardi di anni di cammino, di lavoro e di crescita, l’uomo diventerà sempre più maturo, consapevole della propria posizione e della propria meta, sempre più consapevole delle cause che sta seminando, di quelle cause che saranno gli skandha che caratterizzeranno il mondo futuro. L’evoluzione ha come meta ultima l’uomo, che su questa terra è la forma massima e definitiva. Nel 1875 M.me Blavatsky ed i suoi Maestri restituirono all’uomo la sua perduta dignità.
“L’uomo…. essendo un composto delle essenze di tutte le gerarchie celesti può riuscire, come tale, a rendere sè stesso superiore, in un certo senso, ad ogni gerarchia o classe, o anche ad una loro associazione” (S.D. I, 276), il che ci ricorda, molto suggestivamente, che nella “Cosmologia di Enoch” leggiamo che: “il Signore mi disse….. poichè nemmeno ai miei angeli ho aperto il mio segreto, nè ho detto la loro nascita e non hanno conosciuto la mia creazione immensa ed inconcepibile, a te oggi la rivelo”.
La dottrina teosofica può fornire una risposta ad un problema che, fin dai tempi di Giobbe, ha sempre appassionato coloro che hanno sete di giustizia e non gradiscono pensare di essere unicamente in balia dei comandamenti di un “Dio” o, in alternativa, manovrati da una ingegnosa molecola che vuole sopravvivere: di essere sempre in balia di un qualche genio, celato lassù in cielo o quaggiù nei nostri nuclei.

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