La Grande Dea Madre
Studi sul Paganesimo
Il paganesimo è tutto ciò che esiste, incomincia dalla creazione dell’Universo ed è la prima religione che è nata con la nascita dell’Umanità. Esso è la ragione stessa della visione magica e sacra della vita.
L’Origine dell’insegnamento pagano e della sua religione, parte sempre dall’esistenza della Grande Madre quale base e inizio di tutto ciò che esiste in quest’Universo manifestato. Gli antichi la chiamavano la Madre degli Dei, poiché li precede nell’esistenza essendo la prima ed assoluta forma di Divinità.
La Madre con la maiuscola e qualificata “Grande”, per trovarla in tutta la sua onnipotenza ci rimanda indietro, verso l’origine. Solo cosi si potrà comprendere la sua funzione primordiale, universale ed il suo significato e la sua azione su questo pianeta, vale a dire la Terra. Solo così, si potrà comprendere l’archetipo di questa “Eterna Presenza”.
Le Stanze di Dzyan utilizzano uno stile molto elegante per descrivere il periodo pre-cosmico, che nella prima stanza viene definito “La Non Creazione”. Invece di descrivere le operazioni che preparavano la nascita dell’Universo, enumerano “ciò che non era”: Il tempo non era,…il mentale Universale non era,…le sette vie della beatitudine non erano… il figlio non si era ancora risvegliato… nulla era”. Tutte queste cose “che non erano”, non erano perché solo l’Eterna genitrice era il tutto senza limiti, la Profondità Madre, il Non-Essere eterno. Le prime stanze ci dicono che tutto il lavoro oscuro si sarebbe svolto nel seno stesso dell’Eterna Genitrice, lavoro di gestazione che precede la manifestazione dell’Universo. Tra le altre cose, si può leggere nella stanza 1.5 che “Il Padre, la Madre e il Figlio erano di nuovo Uno”. Tradotto in linguaggio positivo, ciò significa che questa Sostanza Primordiale omogenea e inattiva, ciò che darà nascita allo Stato organizzato che è l’Universo, “c’è” non diviso, Uno. E l’Uno non è distinto dalla sostanza primordiale. Nella I stanza, questa sostanza primordiale è chiamata l’Eterna Genitrice.
La stanza 1.5, dice esattamente che quest’Uno diverrà Il Padre, la Madre e il Figlio. Nella simbologia arcaica si descrive quest’inizio della Manifestazione dicendo che da quest’Unico, si differenzia un Primo Aspetto che si divide, e diviene due, poi il Primo si unisce con il Secondo per creare l’Universo, il Tre. Generalmente questo processo si rappresenta come segue:
Questa partenza quindi, avviene senza alcun dubbio dal lato femminile, definito esplicitamente come l’Eterna Genitrice, la Grande Madre. Lei è lo Spazio, la Coscienza, la Materia Cosmica indifferenziata, prima della sua attività cosmica, e Padre-Madre al primo stadio del suo risveglio.
Padre e Madre, il principio maschile e femminile nella Radice della Natura, i poli opposti complementari che si manifestano in tutte le cose in ogni piano del Cosmo. Spirito e Materia, la cui risultante è l’Universo, la Luce ovvero il “Figlio”.
Nella seconda stanza c’è l’attesa, si può dire uno stato d’eterna cosmica attesa, il terzo versetto dice: “L’Ora non era ancora venuta. Il Raggio non aveva ancora dardeggiato il Germe; la Madripadma non era ancora diventata turgida”.
La Madripadma è il simbolo della proprietà riproduttiva formale della natura ed è rappresentato da Padma, il loto, la ninfea dell’India. Il loto simbolizza il fuoco e il vapore o etere; il fuoco rappresenta lo spirito della divinità, il principio generatore attivo, e l’etere o l’anima della materia, la luce del fuoco, rappresenta il principio passivo femminile da quale emanò ogni cosa in quest’Universo. Perciò l’etere o l’acqua è la Madre, mentre il fuoco è il Padre. La natura ci dà un esempio della preformazione dei suoi prodotti, i semi di tutte le piante fanerogame hanno dei fiori che contengono una pianticella embrionale già formata. Questo spiega la frase la Madri-Padma non era ancora diventata turgida; infatti, nel simbolismo arcaico la forma è solitamente sacrificata all’idea fondamentale o interiore. Inoltre il seme del loto contiene una perfetta miniatura della futura pianta; è un simbolo come quello dei prototipi spirituali di tutte le cose esistenti nel mondo immateriale, prima della loro realizzazione materiale sulla terra. La forma esterna assume gradatamente quella del modella che si trova dentro di lui.
In quest’attesa La Madre, vede in se stessa il proprio essere, la propria essenza e vede la nascita potenziale delle forme, l’archetipo delle forme non manifestate e quando sarà pronta, si manifesteranno così, come formalmente devono essere e come saranno.
Il IV versetto continua: il Suo Cuore non si era ancora aperto per lasciare entrare il Raggio Unico e poi cadere come il Tre nel Quattro, nel grande Grembo di Maya. La Sostanza Primordiale, l’Eterna Genitrice omogenea e inattiva, non aveva abbandonato il suo stato latente precosmico nella natura delle forme differenziate. Appena giunto il momento, essa diventa ricettiva alla pressione del fohat del pensiero divino e il suo cuore si apre. Essa si differenzia e i tre, Padre-Madre-Figlio, sono trasformati in quattro. L’unione di questi tre principi dipende da un quarto, la vita, che irradia dalle sommità dell’inaccessibile per diventare un’essenza universalmente diffusa sui piani manifestati dell’esistenza. E questo quaternario (padre-madre-figlio come unità è un quaternario come manifestazione vivente) è ciò che ha condotto all’idea arcaica dell’Immacolata Concezione. L’elemento maschile (che in seguito sarà personificato dalle divinità maschili e dai Logoi- Vraj o Brama, Oro o Osiride, ecc) nella natura è nato attraverso una sorgente immacolata e non da essa, personificata dalla Madre. Quell’elemento maschile pur avendo una madre non può avere un padre, essendo la divinità astratta asessuata e non un essere. E’ l’essenza, la vita stessa. Possiamo anche dire, la nascita di un elemento maschile da una sorgente purissima; in altre parole, una concezione immacolata. In altre parole dalla Madre Immacolata nasce la Forma che combina tutte le forme. Ma l’Universo era tuttora celato nel Pensiero Divino e nel Seme Divino.
Nella III stanza, c’è il risveglio del Cosmo, ovvero l’inizio della Creazione dell’Universo Materiale. L’ultima Vibrazione della settima eternità freme attraverso l’Infinitezza. La Madre si gonfia, espandendosi dall’interno all’esterno, come il bocciolo del loto. Le “sette Eternità” sono nella “Genitrice” un’unità sola che però vede iniziare quel fremito, quel movimento che è un risveglio. Effettivamente vediamo apparire un graduale sviluppo di coscienza, una formazione, un allargamento: un Gonfiamento della madre addormentata. Questo gonfiamento viene a svilupparsi dall’interno in direzione dell’esterno. Cerchiamo di capire perché. La D.S. insegna che in virtù della legge eterna ed immutabile, che è la causa dei grandi periodi di attività e di riposo chiamati i Giorni e le Notti di Brama, o Pralaya e Manvantara, ci sono dei periodi di Dissoluzione e di Evoluzione: Contrazione ed Espansione. Il Catechismo occulto afferma che: Il Soffio che è eterno procede dall’esterno all’interno quando è dappertutto; e dall’interno all’esterno, quando non è in nessun luogo. Esso si espande e si contrae, esalazione ed inalazione. Quando si espande, la Madre si diffonde e si dissemina; quando si contrae, la Madre si ritira e si raccoglie internamente.
Allora, l’espansione della Madre “dall’interno all’esterno” significa lo sviluppo della soggettività illimitata in una oggettività altrettanto illimitata, senza riferirsi a grandezze, limitazioni o superfici. Ciò implica che questa espansione, non essendo un aumento in grandezza, era un cambiamento di condizione. C’è un’interiorità della Madre, che tende all’esteriorità e spinge la materia instancabilmente verso la manifestazione concreta, spingendola appunto, verso una continua eterna manifestazione.
- La tenebra irradia la luce e la luce lascia cadere un Raggio solitario sulle Acque, nella Profondità-Madre. Il Raggio dardeggia attraverso l’Uovo Vergine; il Raggio causa un fremito nell’Uovo Eterno e desso lascia cadere il Germe non-eterno che si condensa nell’Uovo del Mondo.
Il “Raggio solitario” che cade nella profondità della Madre può significare il pensiero divino, o l’intelligenza che feconda il caos. L’uovo del mondo è forse uno dei simboli più usati ed è molto suggestivo nel senso spirituale, fisiologico e cosmologico. Il mistero dell’evidente autogenerazione e dell’evoluzione mediante il proprio potere creativo, che nell’uovo ripete in miniatura il processo dell’evoluzione cosmica, giustifica pienamente la scelta di questo simbolo. L’uovo-vergine è il simbolo microcosmico del prototipo macrocosmico, la Vergine Madre, il caos o l’Abisso primordiale. Il Creatore maschile procede dalla Vergine femminile che è la radice immacolata fecondata dal raggio. Gli dei più elevati dell’antichità erano tutti figli della Madre prima di diventare figli del Padre. I Logoi, come Giove o Zeus, all’origine erano presentati come maschi-femmine. Zeus è chiamato la bella Vergine e Venere è raffigurata con la barba. Originariamente Apollo era bisessuale e così pure Brama-Vach. Osiride può essere scambiato con Iside e Oro è d’ambo i sessi. Infine, nell’Apocalisse di Giovanni il Logos, che ora è connesso a Gesù, è ermafrodito perché è descritto con il seno femminile.
Allora, “ le tenebre scomparirono e non furono più; scompaiono nella propria essenza il Corpo di Fuoco e Acqua, del Padre e della Madre…III.6, …Vede il Figlio Radioso dei Due…lo Spazio Splendente, Figlio dello Spazio Oscuro che emerge dagli Abissi delle grandi Acque Oscure…III.7. Secondo la genesi: “La Luce fu”. L’Universo è manifestato, esiste.
St. III, 10: il Padre-Madre tesse una tela la cui estremità superiore è attaccata allo Spirito, la luce dell’oscurità una, e l’inferiore alla sua ombra, la Materia; e questa tela è l’Universo intessuto delle due sostanze fatte in una, che è la Sostanza Radice”. A partire da questo primo momento, la creazione prosegue e tutto ciò che era, ora esiste. Tutta questa operazione di riflessione e di emanazioni successive è il lavoro dell’Energia Divina nata dal Padre attraverso la Madre. Ecco la complementarietà, maschile-femminile, attivo-passivo, positivo-negativo. E’ l’atto stesso che fa nascere l’universo. Seguirà la creazione de Piano Causale cosciente, la Creazione del Sistema Solare, la formazione della Catena Terrestre, fino ad arrivare alla formazione della Grande Madre Terra su cui sarà creata e formata l’umanità.
Ma la Terra non può farcela da sola, nella prima Stanza dell’Antropogenesi c’è un dialogo molto bello tra la Terra ed il Sole, dove la Terra fa una sofferta richiesta al Signore dalla faccia luminosa. Essa vuole avere dei figli. Ma il Signore le risponde che non è pronta per questo. Deve rivolgersi al suo stesso Padre, il Signore del loto, che è la Luna, perché le mandi i suoi propri figli. I Pitri lunari o antenati sono coloro i quali fecero la forma umana, ma a livello eterico. Forma che sarà ripresa sulla terra nel suo aspetto, poi, fisico. Nei sistemi più antichi la Luna era considerata sempre maschile. Così Soma per gli Indù, che era considerato un Re e il padre di Buddha la Sapienza, una sapienza acquistata attraverso la perfetta conoscenza dei misteri lunari, compresi quelli della generazione sessuale. Ed in seguito la Luna venne associata con le divinità femminili, con Diana, Iside, Artemide, Giunone, ecc; questo collegamento era dovuto anche ad una profonda conoscenza della fisiologia e della natura fisica e psichica.
Dalla Madre, con l’aiuto del Padre nasce il primo essere rudimentale oggettivo. Questi è etereo, senza forma né sesso diventando androgine solo gradualmente per separarsi infine nei due sessi distinti, che avverrà verso la metà della terza Umanità. Sarà dunque la Terra come Madre Natura che fornirà nutrimento e sostenimento per l’evoluzione dell’Umanità. Per dirla con le parole di H.P.B…”Così si ripete sulla Terra il mistero che si compie sul piano divino. Il figlio dell’Immacolata Vergine celeste nasce nuovamente sulla Terra come il figlio dell’Eva terrestre che è nostra madre Terra e diviene l’Umanità nella sua totalità passata, presente e futura. In alto il figlio è l’intero cosmo; in basso è l’Umanità”.
Per fare una sintesi di quanto è stato detto finora, possiamo immaginare uno spazio-coscienza illimitato, rappresentato dalla Grande Madre, dalla quale avviene la creazione di tutto ciò che esiste attraverso l’energia del Padre. Creazione dei sette piani di materia, da un massimo da rarefazione ad un massimo di densità: la Terra, che a sua volta con l’aiuto del padre crea le forme, da un massimo di rarefazione ad un massimo di densità, che siamo noi. Mi piace l’immagine di una donna molto vecchia, senza età, la quale mescola qualcosa dentro un enorme calderone. La vecchia senza età, rappresenta la Grande Madre, che sta mescolando la materia. L’energia è data dal fuoco che sta fuori della pentola e quindi rappresenta il Padre. Questo, fa pensare alle tradizioni contadine dove c’era sempre la donna a tenere acceso il fuoco.
Seguendo la metafora della Matriochka, possiamo immaginare che l’ultima, minuscola sia grande quanto la prima, così noi siamo le innumerevoli manifestazioni della Grande Madre. Come dice uno scrittore: “La Grande Dea, si avanza di generazione in generazione, da un crepuscolo all’altro: e il suo lungo viaggio, di rivelazione in rivelazione, non ha fine”.
Il culto e lo splendore della Divinità Femminile nell’antichità
Grazie alle grandi scoperte archeologiche degli ultimi secoli, sembra che le prime culle della civiltà fossero estremamente pacifiche. Dalla documentazione archeologica risulta una diffusa assenza di fortificazioni e di segni di distruzione dovuta a conquiste armate, non solo ma l’arte di queste società è caratterizzata ovunque anche dall’assenza di immagini di uomini che si uccidono in battaglia. Sembra anche, che queste società siano state estremamente eque e che le donne e il femminile vi occupassero posizioni sociali importanti. Esiste una grande quantità di prove secondo cui, mentre in queste società venivano adorate divinità sia maschili sia femminili, si riteneva che il più alto potere nell’universo fosse quello femminile di dare e di conservare la vita, il potere incarnato nel corpo della donna. Quello che noi oggi chiamiamo una coscienza ecologica, ovvero la consapevolezza che si va oggi formando che la terra debba essere trattata con rispetto, per queste antiche civiltà , era un dato di fatto, semplicemente “il modo di essere”. Loro sapevano che la Madre Terra è un sistema vivente unitario, inteso a dare e a mantenere la vita. Gaia è l’antico nome greco della Madre Creatrice, uno dei molti nomi attribuiti alla divinità femminile adorata per migliaia di anni come colei che da e sostiene la vita, simbolo della nostra fondamentale unità, dell’identità di ogni forma di vita su questa terra: la Madre dal cui grembo scaturisce ogni forma di vita e a cui ogni forma di vita ritorna con la morte, come nei cicli della vegetazione, per tornare di nuovo a nascere.
La Bibbia giudaico-cristiana ci mostra un Padre Creatore maschile, sorgente di ogni vita. Ma molte delle più antiche storie di creazione conosciute parlano di una Grande Madre: una divinità femminile che da e mantiene la vita, la Dea degli animali, delle piante e degli uomini, delle acque, della terra e del cielo.
Un’antica preghiera sumera esalta la gloriosa Nana come la “Signora Potente, la Creatrice”. Un’altra antica tavoletta si riferisce alla dea Nammu come la “Madre che diede vita al Cielo e alla Terra”.
In Egitto, la creazione della vita veniva attribuita a Nut, Hathor, o Iside, di cui è scritto: “All’inizio c’era Iside, la più Antica di tutto ciò che è Antico. Era la Dea da cui scaturì tutto ciò che diviene”. Nella terra di Canaan, Ashera o Ishtar era la “Progenitrice degli Dei” e “Regina del Cielo”.
Tutto questo sta ad indicare che il culto delle divinità femminili era parte integrante delle nostre più antiche tradizioni sacre. E in verità non è improbabile che all’alba della civiltà, quando per la prima volta l’uomo iniziò a porsi gli interrogativi universali (da dove veniamo prima di nascere? Dove andiamo dopo morti?), dovette rilevare quello che è il più miracoloso di tutti gli eventi: il fatto cioè che la vita umana scaturisce dal corpo della donna, l’unica che possegga il segreto della vita e della fertilità e che possa trasmetterli a sua esclusiva discrezione a tutto ciò che esiste. Non solo, la donna è in grado di rimanere gravida e, mutando il suo aspetto fisico, partorire per poi tornare ad assumere le caratteristiche fisiche di una fanciulla, come se nulla fosse avvenuto. Inoltre la donna aveva il tremendo potere di nutrire con il latte del proprio seno il neonato, decretandone così la vita o la morte. L’agente fecondante era ritenuto legato alle acque, al vento, ai raggi della luna, molto più tardi l’uomo prese coscienza del suo ruolo nel processo di creazione di una nuova vita. E solamente alla fine dell’ottocento è stato scientificamente dimostrato che lo spermatozoo penetrava nell’ovulo femminile, producendo quindi il concepimento vero e proprio. Dovette quindi essere del tutto logico, per i nostri antenati, immaginare all’inizio la terra come una Grande Madre, una Dea della Natura e della Spiritualità, fonte divina di ogni nascita, di ogni morte e di ogni rinascita. Una Divinità Assoluta
Questa conclusione logica, di fatto, è comprovata dalle testimonianze archeologiche, dalle innumerevoli statuette femminili primitive, riportate alla luce in luoghi sparsi su tutta l’Asia Minore e l’Europa. Dalle statuette della cosiddetta Venere Paleolitica che datano a più di ventimila anni fa fino alle innumerevoli raffigurazioni di divinità femminili del neolitico e oltre, dell’età del bronzo, queste immagini femminili parlano di tradizioni di culto millenarie. Quindi vediamo che il percorso che consente di ricalcare le orme della Grande Madre, risalendo sino ai primi segni visibili della sua comparsa, temporalmente è di circa 25.000 anni. A quell’epoca, infatti, risale la statuetta di arenaria riportata alla luce nel 1908 dagli studiosi viennesi, esaminando il primo strato del più importante scavo archeologico austriaco dell’età della pietra presso Willendorf, una piccola località sulla riva sinistra del Danubio.
Questa statuetta alta undici centimetri, nota in tutto il mondo col nome di “Venere di Willendorf”, si presenta molto corpulenta, con accentuati attributi sessuali e con due braccine magrissime appoggiate sulle enormi mammelle. L’idolo della fecondità era pingue e in origine, ricoperto da una patina rossa, in parte conservatasi. Come dimostrano ripetutamente i reperti archeologici, i colori erano latori di forze magiche, il rosso conferiva alle sacre sculture l’alito della vita. In quella figuretta preistorica tutto punta sui caratteri elementari della femminilità. Per questo è ancora senza volto e singolarmente coronata da un’acconciatura straordinariamente elaborata, La testa è inclinata verso il centro del corpo. L’assenza del volto è espressione del sovrapersonale e del numinoso, ma anche di tutte le opportunità di trasformazioni ancora aperte. In quel periodo furono scolpiti numerosi idoli della Dea della Fertilità simili a questo, per lo più lavorati in pietra o in avorio e quasi sempre senza volto. Sculture analoghe sono state ritrovate non solo in Austria, ma anche nella Francia meridionale, nell’Italia settentrionale, in tutta l’Europa centrale e in Siberia. E’ stato spesso osservato, che non sussiste alcuna concordanza tra i resti degli scheletri trovati, e il tipo di rappresentazione della Grande Madre. Le immagini hanno una loro tipologia, un linguaggio simbolico sacro che esprime l’archetipo del “Grande Femmineo” che ritroveremo in successive, ma ancora preistoriche, rappresentazioni femminili del Vicino Oriente.
Il termine “Venere Paleolitica” con cui all’inizio le antiche statuette furono definite dagli studiosi, è ovviamente un termine improprio, che suona ironico. Il concetto di “Venere”, comunemente inteso come l’apoteosi della bellezza erotica, così come viene impersonata dalle dee indoeuropee dell’Aurora e dell’Amore, non corrisponde assolutamente ai ritratti preistorici femminili.
Le incisioni, i bassorilievi e le sculture paleolitiche, come pure quelle successive, rappresentano il corpo femminile con forme che a noi appaiono assurdamente astratte o assurdamente grottesche: deformate o irrealisticamente esagerate al punto che alcuni studiosi della preistoria e della storia dell’arte le hanno definite “mostruose”. La denominazione di Venere è giustificata soltanto se si riconosce la presenza di una divinità superiore.
La società matriarcale dunque, è la fase più antica dell’umanità, e come abbiamo visto non erano società guerriere, le donne non erano subordinate agli uomini e non vedevano la Terra come oggetto di sfruttamento e di dominazione poiché il mondo era considerato come una Grande Madre: un’entità viva che nelle sue manifestazioni temporali e spirituali crea e nutre tutte le forme di vita. La coscienza di quest’unità essenziale di tutto quanto ha vita, nei giorni nostri, si è mantenuta in molte culture tribali che venerano la Terra come la Madre. La popolazione andina delle montagne, celebra il rito della Pachamama, che significa Madre Cosmica, Madre Celestiale, Madre Natura, colei che comprende ogni cosa.
Per fare un’analisi di quanto è stato detto finora, vediamo che il primo rudimento della civiltà umana, il punto di partenza per ogni virtù e per ogni alto aspetto dell’esistenza è il fascino promanante dal principio materno, il quale in una vita piena d’angustie dovette apparire come il principio divino dell’amore, dell’unità e della pace. Nella cura del proprio corpo, la donna impara, prima dell’uomo a portarsi al di la dei limiti del proprio io, a rivolgersi verso un altro essere e a dedicare tutte le capacità inventive dello Spirito alla conservazione e all’evoluzione di un’altra vita. Una tale disposizione d’animo propizierà un modo di sentire più alto, una rinuncia al proprio essere, un sacrificio di sé. E’ un’idea questa, che ha avuto espressioni molteplici nel mito e nella storia, per tutto ciò che riguarda il simbolismo del femminile.
Dalla grandezza alla decadenza della Grande Madre
Come al principio paterno è proprio il limite, a quello materno e propria invece l’universalità; come quello implica l’appartenenza ad una unità determinata, così questo non conosce limitazioni, simile in ciò, alla vita stessa della natura. Dal principio della maternità generatrice scaturisce il senso dell’universale fratellanza di tutti gli esseri, senso che declina e non trova più risonanza con l’avvento del principio della paternità. La famiglia incentrata nel patriarcato è chiusa come un organismo individuo, quella matriarcale conserva invece quel carattere tipicamente universalistico che si trova nei primordi. Immagine mortale di Demetra, della Madre Terra, il grembo di ogni donna farà il dono delle sue nascite alla gente di essa e la terra natale conoscerà solo fratelli e sorelle fino a che, col costituirsi del principio paterno, l’unita della massa sarà spezzata e il promiscuo sarà superato dal principio della differenza.
Ci si stupisce della preminenza della donna di fronte all’uomo, soprattutto perché essa non si accorda con la distribuzione della forza fisica nei due sessi. Per legge di natura, al più forte tocca lo scettro del potere. Se esso è invece passato nelle mani del più debole, debbono essere necessariamente intervenuti altri aspetti della natura umana, forze più profonde devono aver fatto sentire il loro influsso….
La preistoria allora non conosceva la guerra, anche se esisteva la violenza, ma l’uomo in genere era cacciatore e non guerriero. Il primo esercito permanente come organismo specializzato nella violenza nasce a Babilonia nel momento in cui la società matriarcale si trasforma in patriarcale. Al posto dell’antica Dea comparvero divinità maschili che ne usurparono il trono.
“Prima tra tutti gli Dei, nella preghiera, venero la Terra, primitiva veggente”
Eschilo, creatore dell’antica tragedia greca, inizia cos’ le Eumenidi, ultima parte della trilogia di Oreste. E’ una sacerdotessa a pronunciare queste parole dinanzi al tempio di Apollo , a Delfi, e la sua invocazione è riferita a Gea, la madre primigenia della Terra, emersa agli inizi di tutto dal nulla informe, dal vuoto, dal caos. Gea aveva poi generato da sola sia il Ponto, il mare, materia primigenia di ogni forma di vita, sia Urano, il cielo. Assieme a Urano la madre universale, in virtù di Eros che le viveva dentro, generò la divina stirpe dei Titani. Tra le sue figlie c’è la titania Temi, dalle cui mani Giove, il sommo Dio patriarcale dell’epoca successiva, ricevette il potere. La figlia della Madre Terra è in stretto contatto con la natura. E responsabile dei rapporti fra i sessi e dell’amorosa unione tra uomo e donna. A lei, per il suo alto rango, spetta convocare le riunioni degli Dei sull’Olimpo.
Tutto questo Eschilo l’aveva appreso dalla Teogonia, la storia della creazione composta verso il 700 a.C. da Esiodo, il più antico poeta greco prima di Omero. E’ quindi logico che Eschilo, nomini Temi, la figlia di Gea, per prima, come colei alla quale spetta l’onore di venir ricordata nella preghiera. Lo fa nel rispetto di un ordine tramandato nei secoli, di una millenaria concezione della “Magna Mater”, la Grande Madre. Con un atto di grande pregnanza, tuttavia, la preghiera alla divinità femminile viene pronunziata da una sacerdotessa di Apollo nel santuario di Delfi. Ciò rivela che ai tempi di Eschilo, il potere della Grande Dea era già venuto meno. Le divinità maschili avevano gia strappato lo scettro alla cosmogonica madre universale.
Fu nel 458 a.C. che l’Orestea venne rappresentata per la prima volta, e nel sacro recinto di Dioniso ai piedi del roccioso pendio dell’Acropoli, i cittadini furono testimoni di un decisivo cambiamento nella generale concezione del mondo e della religione. Questa trilogia trattava: l’uxoricidio di Clitennestra nell’Agamennone, il matricidio di Oreste nelle Coefore e il processo nelle Eumenidi che, sotto la presidenza di Pallade Atena, si conclude con l’assoluzione del matricida, fatto impensabile nei tempi antichi.
Là si svolsero avvenimenti rivoluzionari, ma soprattutto tragici per la Dea Terra anticamente onorata, per Gea, la madre universale che all’inizio del dramma viene invocata “prima tra tutti gli dei”. In veste di difensore di Oreste che, in quanto matricida, secondo l’antico rito matriarcale viene cacciato e maledetto dalle Erinni, (che apparivano ovunque una madre fosse stata offesa o uccisa), si presenta Apollo. Anche Clitennestra aveva ucciso il marito, ma l’ucciso non era suo consanguineo, così disquisiscono le accusatrici. Uccidendo la madre per vendicare il padre, Oreste aveva agito per ordine di Apollo e senza rispettare i vincoli di sangue, come gli rimprovera la corifea delle Eumenidi.
“Non ti recò ella nel grembo, o matricida?Rinneghi tu il prezioso sangue della madre?”
Apollo scagiona Oreste dalla colpa di matricidio sostenendo una tesi che negava qualsiasi legame di sangue tra madre e figlio.
“Non la madre crea quello che noi chiamiamo suo figlio. E’ solo la nutrice di un germe appena seminato. Colui che la feconda, genera. Ella, ospite ad ospite, protegge il bene, sempre che un Dio non l’abbia danneggiato”.
La vita, quindi, germina solo dal seme maschile.
Eschilo comunque non è il solo a sostenere, ai suoi tempi, una concezione rigorosamente patriarcale e ad esaltare il “germe seminato” dall’uomo. Un parallelo ci viene offerto dalla Bibbia. Nell’antico testamento, composto nel V secolo a.C. dallo scriba Esra e da altri centoventi saggi e frutto di un secolare processo evolutivo, nella Genesi, si parla dell’alleanza con Abramo. Dio dice al capostipite d’Israele: “Guarda il cielo e conta le stelle; riesci a contarle? E aggiunse: così sarà la tua progenie” (Genesi 15,5). E continua: “Quel giorno il Signore strinse un patto con Abramo e disse: voglio dare alla tua progenie questa terra, dal fiume d’Egitto sino al grande fiume Eufrate”. (Genesi 15,18).
E’ dunque il Signore che concede fertilità, non una delle Grandi Dee, ed egli la concede all’uomo, l’unico con cui stringe il suo patto, escludendo le donne. In cambio pretende di venir adorato come unico Dio. : “Stabilirò il mio patto tra te e i tuoi discendenti dopo di te..perché sia un patto perpetuo, così che io sia il Dio tuo e della tua progenie dopo di te… darò a te e ai tuoi discendenti dopo dite la terra in cui abiti ora come straniero, tutta la terra di Canaan, in possesso perpetuo, e sarò loro Dio” (Genesi 17,7-8).
Il patto maschile è suggellato da uno specifico rituale: “Ma questo è il mio patto, che dovrete rispettare tra me e voi e la tua discendenza dopo di te…ogni maschio tra voi sarà circonciso…Voi circonciderete il prepuzio della vostra carne. E questo sarà il patto tra me e voi” (Genesi 17,10-11).
Come Apollo nell’opera eschilea disconosce alla donna la maternità biologica, dato che non la vede come genitrice del figlio, ma come ospite e nutrice del seme del suo fecondatore, così il Signore d’Israele considera Sara, la moglie di Abramo, e tutte le altre donne della sua stirpe, semplici riceventi della forza paterna e solo in virtù di questa loro proprietà le benedice. Dietro al Dio d’Israele va supposto un doloroso combattimento che deve aver avuto luogo mentre il patriarcato stava sostituendo le strutture della vita e della fede di stampo matriarcale. Questi capitoli della Genesi che trattano della progenie di Abramo, tanto spesso evocata, evidenziano un’evoluzione ricca di conseguenze che va oltre i popoli, le culture e i loro ambiti essenziali. Per un verso essa portò una religione monoteista molto evoluta e consapevole, la cui importanza non intendo assolutamente negare, per altro verso invece portò anche a una fatale degradazione della donna. Questo è l’aspetto che è emerso del monoteismo e non necessariamente avrebbe dovuto esserne il frutto. Ricordiamo le parole di Gesù, tratte dal “Il Ritorno al Pleroma”: “Allorché di due ne farete uno, allorché farete la parte interna come l’esterna, la parte esterna come l’interna e la parte superiore come l’inferiore, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina, il rientro al Pleroma sarà sicuro”. L’insegnamento di Gesù va nello stesso senso delle religioni mistiche dell’Antichità, quelle in onore di figure femminili: culti egizi e babilonesi, iniziazioni di Eleusi, tradizioni indù e celtiche, più, tardi “eresie” gnostiche. Di fronte al monoteismo ebraico, di fronte al culto del Padre, Gesù insegna non la venerazione esclusiva della donna, ma la riconciliazione tra l’uomo e la donna. Tuttavia chi regnava era evidentemente interessato alla repressione femminile.
La tarda opera di Eschilo, che si erge come una rupe sulla storia teatrale e culturale d’Europa, si conclude con il trionfo di Zeus. E’ lui l’effettivo vincitore della trilogia di Eschilo. Tuttavia la sua vittoria si fonda su un complesso di superiorità maschile che sorpassa persino quello del Dio ebraico dell’Antico Testamento.
Nelle Eumenidi Apollo corona il suo discorso a favore del matricidio con questa prova:
“Si può essere padre anche senza madre. E’ accanto a noi presente, un testimonio, la figlia dell’olimpico Zeus, che non è stata nutrita nelle tenebre di un grembo. Ma quale Dea saprebbe creare un simile germoglio?”…
Esiodo nella Teogonia descrive come Zeus inghiottì la sua sposa Meti perché non gli generasse un figlio che avrebbe potuto privarlo del trono. Incorporandosi Meti la fecondità della donna passò a lui. Allora egli in possesso del potere creatore femminile, dal proprio corpo fece scaturire in tutta la sua grandezza Atena. Nel linguaggio del mito, con quella nascita la Grande Madre veniva visibilmente spodestata. Si dice che Atena abbia ereditato da Zeus la saggezza e che fosse combattiva e pacificatrice, proteggesse e favorisse le arti, amasse gli stratagemmi bellici e la diplomazia. Inoltre donò all’Attica l’albero dell’olivo e agli esseri umani le trombe di guerra e il flauto, l’aratro e il telaio. La “occhi di civetta” come la chiamava Omero a causa della sua saggezza, godeva di potere decisionale in caso di parità di voti. Dalla bocca della Dea si udì:
“E’ mio compito dare ultima il voto, eccone dunque un altro per Oreste. Priva di Madre soglio favorire sempre con tutte le mie forze l’uomo…”
Fatto lo spoglio dei pareri che, pro e contro, erano pari Atena annuncia: “L’uomo è assolto dal delitto di sangue”. I seguaci degli antichi culti della femminilità, che fiorivano ancora dovunque, devono averle ritenute parole di tradimento.
Il punto di vista dell’antico diritto è quello delle Erinni e secondo esso Oreste è colpevole, il sangue materno chiede un’espiazione; Apollo ed Atena fanno invece trionfare una legge nuova, quella della paternità in senso superiore, connessa alla luce celeste. Quella che gli stessi Dei sono chiamati a decidere non è una lotta dialettica, ma storica. Un’epoca tramonta e un’altra sorge sulle sue rovine, l’epoca apollinea. Al carattere divino della madre subentra quello attribuito al padre, alla sovranità della notte quella del giorno. Là si ha la dipendenza dalla materia, qui lo sviluppo spirituale; là una conformità inconscia della legge, qui il valore del singolo; là la dedizione alla natura, qui il portarsi al di là di essa. Però: “Da allora non ardono più i fuochi de Belthane, tacciono da secoli i cori estatici delle baccanti, sono spente da ere le fiaccole luminose dei sacerdoti di Yshtar”. Ma nonostante sembri che tutti questi avvenimenti le abbiano inflitto un colpo mortale, come vedremo la Grande Dea Madre è sopravissuta, magari a stento, a livello segreto, nell’eresia e nella rivoluzione. La donna di conoscenza diventava una strega.
La preghiera di Apuleio ad Iside:
“Santa e perpetua salvatrice del genere umano, tu che sei sempre larga di favori ai mortali, tenendo nascosto e custodito entro i segreti del mio petto in perpetuo il tuo volto, non tralascerò di rappresentarmelo sempre presente”.
E la sua invocazione:
“Madre di tutta la natura, sovrana di tutti gli elementi, origine e principio dei secoli, divinità suprema, regina dei Mani, Prima Fra i Celesti, prototipo degli Dei e delle Dee”
Questo, Lucio Apuleio lo aveva scritto nel suo famosissimo romanzo (uno dei primi romanzi della storia) “L’Asino d’oro” nel II secolo d.C., in epoca cattolica, infatti, fu definito un mago e dovette difendersi dall’accusa di magia.
Nel 1100 circa, in Francia Bernardo di Chiaravalle, fece costruire contemporaneamente 11 cattedrali, tutte dedicate a Nostra Signora, “Notre-Dame”. L’evento straordinario non è nell’edificazione degli undici templi, bensì nella loro dislocazione sul territorio. Le chiese sono collocate in terra in posizione speculare alle undici stelle della costellazione della Vergine. Undici costruzioni che a loro volta riproducono la costellazione della Vergine Celeste, ovvero della Maria cristiana. In tal modo l’abate ricongiunge il culto antichissimo del Femminile Vergineo con quello del Cattolicesimo. Mostrando di voler riportare il cristianesimo stesso in un alveo millenario e antichissimo, appunto quello della Nostra Signora, della Grande Madre. Sono costruzioni di chiese immense, davvero protese verso l’infinito, come un canto gregoriano. Certamente Bernardo di Chiaravalle li ha assegnati questi lavori. Ma chi è stato ad idearli? Si narra che i dettami di questo metodo architettonico sarebbero giunti in Francia attraverso nove cavalieri che li avrebbero portati da Gerusalemme dopo aver misteriosamente ritrovato niente meno che l’Arca dell’Alleanza. In essa, infatti, c’erano custoditi “il numero (unità), il peso e la misura.
Quindi vediamo che anche nel Medioevo, la figura della Dea è ancora viva, si narra che non esiste una tradizione della divinità femminile più meravigliosa e splendida di quella che veniva celebrata nel dodicesimo e tredicesimo secolo nelle cattedrali francesi, ognuna delle quali è chiamata appunto, Notre Dame. Esistevano in ogni caso le figure delle grandi sante, per citarne alcune ricordiamo Hildegarde di Binghen, Eleonora d’Aquitania e più avanti Giovanna d’Arco, che ha liberato la Francia. Il Cristianesimo si è sovrapposto all’antica religione senza riuscire ad eliminarla.
Da quanto detto finora, possiamo identificare due diverse situazioni. La prima è quella della Dea delle origini, una situazione in cui il maschio come divinità ha poco rilievo. Poi, quando è il maschio ad impossessarsi del ruolo della Dea, avviene il ribaltamento. Una psicologia differente, un’influenza culturale diversa. Ma abbiamo anche lo stadio classico, in cui le due divinità interagiscono, come avviene nella simbologia orientale, che non svalutarono mai completamente il principio femminile.
“Non aver dubbi sulla donna. Adorala in ogni luogo. Nella sua vera natura essa è Bhagavatì, la Perfezione della Saggezza”. Così è scritto nel Grande Paramita Sutra. Questa saggezza è chiamata “danzatrice nel cielo”, la saggezza femminile, La Dakini, la Prajnaparamita. Essa rappresenta la perfetta comprensione intuitiva, definita “la consapevolezza di tutti i fenomeni come Vacuità”. Tuttavia, poiché secondo questo tipo d’insegnamento, “la Vacuità non è separata dalla forma, né la forma dalla Vacuità”, questa Consapevolezza, che è la Dakini, è la consapevolezza gnostica non duale, un aspetto della quale è la manifestazione del principio maschile come forma. La totalità della realtà come Consapevolezza, quindi, può essere rappresentata dalla Dakini da sola ( sempre con un simbolo maschile, a volte tiene in mano un bastone), o dall’unione inseparabile dei principi maschile e femminile. Le raffigurazioni che presentano la Divinità Maschile in unione con la Divinità Femminile, simboleggiano proprio questo. La divinità maschile rappresenta la compassione, la divinità femminile rappresenta la saggezza, inseparabili. E’ chiaro quindi che le due divinità sono realtà metafisiche interne. La psiche umana contiene sia il principio maschile che quello femminile; il principio maschile con le sue qualità è latente nella donna e quello femminile nell’uomo. Proprio come la Grande Madre, che non può essere separata dal Padre, sempre presente anche se nascosto.
Conclusione
Quando si parla della Grande Madre, si parla di un’immagine simbolica, quella capacità di dare e alimentare una vita nuova: una funzione tipicamente femminile. La natura fisiologico-sessuale e psicologica della donna. Basti pensare ad un contenitore, la donna è il contenitore l’uomo può essere solo contenuto. Vi sono stati sistemi religiosi in cui il genitore, la fonte di vita, il creatore era la Madre e in virtù di ciò essa rappresentava l’Universo.
In verità, tra il padre e la madre, il genitore più vicino è la madre, questo dipende dal fatto che è da lei che si nasce. Il neonato esperisce in sua madre anzitutto l’archetipo della Grande Madre, la realtà di un Femminile onnipotente numinoso, da cui egli dipende totalmente. In quel momento il padre può anche non esserci o rimanere sconosciuto.
Nella storia di Gesù, il padre era il Padre che sta nei cieli, almeno in termini simbolici. Salendo sulla croce, Gesù percorre la strada che porta al padre e lasciò la madre dietro di se. La croce che simboleggia la terra è il simbolo della Madre. Così sulla croce Gesù lascia il proprio corpo alla Madre dalla quale l’aveva ricevuto e va dal Padre, che rappresenta la sorgente ultima del mistero trascendente. La ricerca del padre racchiude in elemento molto importante. Nell’Odissea quando Ulisse parte per la guerra di Troia, suo figlio Telemaco è solo un gracile neonato. Diventato ventenne, a Telemaco appare la Dea Atena che gli dice: “Vai in cerca di tuo padre”. La madre c’era già. E’ da lei che era nato, che aveva ricevuto nutrimento, istruzione, guida fino all’età in cui bisognava trovare il padre.
Il ritrovamento del padre è strettamente legato al ritrovamento della propria interiorità. Ed è proprio la scoperta dell’interiorità ad essere simbolizzata dalla ricerca del padre. Ricordiamolo: l’esteriorità è legata alle forme, ed è femminile; l’interiorità profonda, nascosta è maschile.
Possiamo dire che l’essere umano possiede caratteristiche sia maschili sia femminili? E’ il corpo che li possiede. Nel periodo fetale c’è un momento in cui diviene evidente che quel neonato sarà maschio e quest’altro invece sarà femmina. Ma per un attimo si tratta di un corpo che possiede entrambe le possibilità. Essere umano di sesso maschile, essere umano di sesso femminile. Ma sempre Essere Umano. Siccome noi per fare esperienza della realtà, pensiamo sempre in termini opposti ci definiamo o maschi o femmine.
In ogni essere umano è insita una dimensione androgina, quando si parla di femminile, di quell’eterno femmineo, ci si riferisce a quell’atteggiamento ricettivo nei confronti della vita, a quell’atteggiamento che, ricevendo e abbracciando trasforma. Quell’universo fatto di comprensione, umanità, intuitività, capacità intrinseca di sentire e amare, curiosità verso il nuovo, accettazione del diverso, del debole, dello straniero. Quindi elemento strutturale dell’essere umano in quanto tale, a prescindere dal sesso, anche se la donna per sua natura ne è il simbolo più perfetto.
La saggezza femminile, La Grande Dea Madre è colei che da vita alle forme e che sa da dove provengono. Provengono da ciò che è al di là del maschile e del femminile. Da ciò che è al di là dell’essere e del non essere. Né è né non è. E’ al di là di tutte le categorie del pensiero e della mente.
Pura coscienza assoluta, né maschile né femminile ma complementarietà.
Adriana Volpato,