Mi hanno recentemente invitato a partecipare ad una interessantissima conferenza sulle origini dell’universo dove tre ricercatori dell’I.N.A.F. (Istituto Nazionale Astrofisica) prenderanno in esame la possibilità che tutti gli eventi e le forme del creato, nelle loro molteplici manifestazioni, possano essere l’oggetto di un disegno intelligente in luogo del caso o caos.
Con il beneplacito del curatore del detto evento estendo l’invito a Lei e a tutti i membri della sua associazione
Con i migliori auguri Giovanni Ravani
COMUNICATO STAMPA
L’esigenza di approfondire il rapporto che lega l’Uomo al Cosmo ha sempre fatto parte del sentire umano. Agli albori della civiltà essa si espresse in un primo e approssimato tentativo di conoscere i fenomeni più immediati, visibili in cielo e in terra e per la cui interpretazione si dovette spesso ricorrere, a causa della mancanza di strumenti adatti d’ indagine, alla religione e al mito.
Successivamente il grande sviluppo della scienza ha permesso di formulare nuove risposte alle fondamentali domande che coinvolgono in un unico grande tema l’Uomo e il Cosmo. Qual è il complesso e talora misterioso collegamento tra il sorgere della vita, l’apparire e l’evolversi dell’uomo, e la storia della nostra Terra? Come mai l’Universo sembra così predisposto alla comparsa della vita? E ancora: siamo soli nell’Universo o, grazie alla moderna ricerca astronomica, possiamo oggi ipotizzare l’esistenza di altri pianeti simili alla Terra e quindi in grado di ospitare la vita? Queste e altre domande che fino a non molto tempo fa sembravano aver cittadinanza solo negli ambiti filosofico, religioso o fantascientifico, oggi sono di pertinenza anche della scienza e in particolare dell’astronomia.
Tre ricercatori dell’INAF-Osservatorio di Brera tenteranno di dare alcune risposte a questi interrogativi, alla luce delle più recenti scoperte.
Le conferenze si terranno presso l’aula magna degli Istituti M.G.Agnesi e F.Viganò, via dei Lodovichi a Merate, alle ore 21. L’iniziativa è stata realizzata dall’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera e dall’Associazione Culturale La Semina, con il patrocinio e contributo del Comune di Merate. Ecco infine il calendario:
9 novembre: Storia della vita sulla Terra (Elio Antonello)
16 novemnbre: Alla ricerca di altre Terre (Luciano Mantegazza)
23 novembre: Perché l’Universo sembra predisposto alla vita (Gianantonio Guerrero)
Quando il mondo degli adulti incontra “il mondo dei bambini” si ricrea una intensa illuminazione che risplende di una vivace consapevolezza e affettiva partecipazione a un destino comune che si perpetua nel cammino dell’evoluzione umana, dove il mondo visibile e reale delle persone in età, convive con quello metafisico e ideale dei fanciulli i quali, attraverso una qualche inesplicabile fenditura, riescono a “vedere” nell’altro mondo tutto ciò che è improponibile agli adulti.
Nonostante questi ultimi vivano ormai “rassegnati” il mondo reale del loro tempo, si nasconde in loro “UN DESIDERIO DI BAMBINO” che cerca d’impadronirsi delle loro vite. È un desiderio fatto di riflessioni e di contemplazioni in un respiro che ridesta lo spirito onirico e suscita delle passioni ed emozioni, sia nella finzione, sia nella quotidianità e nei battiti d’amore e tutto ciò accade, talvolta, e in maniera violenta, a causa della nostra società egocentrica e di una vacua autostima di una infanzia instabile.
L’uomo, nel suo desiderio di bambino, usa tenere effusioni e preferisce viziare quello che è in lui piuttosto che volgere il pensiero al nascituro, altrimenti esso diverrebbe “qualcosa” d’ingombrante e insopportabile, nonostante le poche incoraggianti prospettive di una emergente denatalità.
Così il bambino diventa violento e dichiara guerra a una società intollerante, sordida, schiava dei propri egoismi e indifferente ai valori morali della sua stessa esistenza. Il mondo ha dimenticato il mondo dei bambini, popolato di figurine, di illustrazioni in bianco e nero che risvegliano in loro la parola, la scrittura e il racconto – come affermò Walter Benjamin nella pubblicazione: “Figure d’infanzia” – mentre la stampa colorata li inducono a entrare nel mondo dei sogni e della fantasia; inoltre, non bisogna dimenticare il legame tra l’infanzia e la collezione di oggetti, il rapporto con i giocattoli e “l’intrusione” degli adulti che rubano loro i trenini per giocarvi.
I valori umani tenuti celati in loro possono aiutare il mondo degli adulti verso una spiritualità , mentre le capacità mentali e spirituali in essi possono riscattare l’umanità.
È importante che i bambini possano esprimersi e vengano ascoltati e aiutati a migliorare la prossima discendenza, mentre lo spirito è la forma che può rendere solidali più persone e portarle a un comune impegno, poiché è un incitamento in loro e in noi, verso una maggiore sensibilità del creato.
Qualsiasi bambino mira a possedere le capacità umane con le quali rendere manifesti i principi del divino molte volte combattuti o annientati.
I bambini sono i portavoce di un nuovo mondo e vogliono rivelarci la sua salvezza, vogliono indicarci la via e il comportamento verso la pace, essi possono cambiare i cuori aridi degli uomini, perché sono i fautori d’amore, ispirano dolci sentimenti e sanno avviare quel contatto divino con cui suggerire agli uomini di rinunciare all’orgoglio e diventare, finalmente, i loro veri servitori.
I bambini sanno collaborare nei compiti più disparati ma la loro prerogativa è quella d’infonderci il vero amore.
La salvezza dell’uomo avverrà solamente portandosi idealmente nel mondo dei bambini e “fare suo” il loro messaggio. I bambini sono la forza dello spirito e la divina arte che creano la fratellanza e la pace dell’umanità.
Il sapere del bambino si fonda sulla reiterazione e l’eterno ritorno di ogni cosa animano i loro giochi e perché il compito dell’infanzia è quello di ricordare “il nuovo come fosse una forma di nostalgia per ciò che verrà” e che diventerà importante nella maturità.
Gli adulti non si rendono conto di quanto i bambini siano l’espressione del paradiso, gli intercettatori degli angeli, i visionari dei loro custodi.
Egli possiede proprietà metafisiche che lo proiettano in una direzione che oltrepassa l’umano sentire, laddove le cose “si esprimono” e i pensieri e i sentimenti “si animano assumendo racconti fiabeschi”.
Il bambino vede delle entità, solamente a lui percepibili per una arcana connessione tra ciò che osserva e l’anima, ancora probabilmente, collegata alla fase della sua venuta “dall’altro”.
Vorrei citare alcuni versi di un poeta anonimo che recita:
IL BAMBINO È L’ETERNO MESSIA
INVIATO CONTINUAMENTE TRA GLI UOMINI CHE SONO CADENTI
PER AIUTARLI A SOLLEVARE SÉ STESSI
LE LORO NAZIONI, IL MONDO, IL CIELO.
Se Platone e Aristotele affermano che la filosofia trae origine da un sentimento di improvviso stupore per qualcosa “di inatteso”, il bambino è, per eccellenza, l’eccelso e indiscutibile filosofo capace di raccontarci la verità, a comprendere e amare il senso della vita, perché egli frequenta dei mondi equidistanti e paralleli in cui le vicende sono le medesime: oniriche e piene di vita.
Il bambino che è in noi ci offre la possibilità di una esistenza diversa, egli è capace di trascendere l’oggi e di aprirci al mistero del mito e del divino.
Ecco dunque, rinnovarsi l’incontro tra il mondo visibile con quello dell’invisibile nel quale, ciò che è morto vive, e ciò che vive si trasforma, in maniera tale che, tutto sia in movimento e nulla sia come ci appare!
L’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci è oggetto di continue atten- zioni e rielaborazioni simboliche che ne fanno forse il disegno più famoso al mondo. Dalla sua ultima esposizione a Venezia, nella sua sede di conservazione (Gallerie dell’Accademia), tra 2009-2010, le ricerche hanno avuto un nuovo impulso, coinvolgendo diversi settori del sapere. I contributi più recenti derivano dalle Giornate di studi dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano (2010-2011), ora raccolti nel volume Approfondimenti sull’Uomo vitruviano di Leo- nardo da Vinci (a cura di Paola Salvi), durante le quali sono stati inda- gati i valori armonici e proporzionali di questa limpida figura, le moda- lità costruttive del disegno, le sue derivazioni da Vitruvio e da Leon Battista Alberti, la sua possibile destinazione che contempla la scul- tura e la pittura, i rapporti aurei che esso contiene e la rispondenza euclidea, la vicenda storiografica che lo ha coinvolto, le tracce della tra- dizione antropomorfa dell’architettura cui è riconducibile.
Fonte d’ispirazione per gli artisti più rappresentativi della nostra contemporaneità, l’Uomo di Leonardo è divenuto anche testimonial per i problemi ambientali che coinvolgono il pianeta. La conferenza darà conto di alcuni di questi recenti percorsi di ricerca.
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Paola Salvi
Paola Salvi è professore di Anatomia artistica all’Accademia di Belle Arti di Brera, presso la quale ricopre l’incarico di Vice-direttore.
Le sue numerose pubblicazioni spaziano dagli studi sulla scultura medievale veronese al Neoclassicismo. È componente del comitato scientifico della rivista di ermeneutica delle arti figurative «Labyrin- thos». Ha dedicato parte delle sue ricerche alla valorizzazione del patrimonio storico dell’Accademia di Brera e ha collaborato con il Museo d’arte contemporanea del Castello di Rivoli. Studiosa di Leonardo da Vinci, con particolare riguardo al disegno, agli studi anatomici, alla trattatistica e alle modalità rappresentative e di visua- lizzazione, ha pubblicato contributi innovativi e partecipato ad impor- tanti mostre, convegni e iniziative sull’artista, curando, tra l’altro, (con Carlo Pedretti) la sezione Leonardo: il genio e il suo volto della mostra Leonardo. Il genio, il mito tenuta alla Reggia di Venaria Reale tra 2011 e 2012.
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Giorgio F. Alberti
Giorgio F. Alberti ha studiato ingegneria e ha ottenuto un dottorato di ricerca in informatica alla Scuola Politecnica Federale di Zurigo. Ha conseguito un MBA all’INSEAD a Fontainebleau. Dopo diverse posizioni dirigenziali in industrie multinazionali e società di consu- lenza in strategie aziendali a livello internazionale ha dal 1986 una propria ditta di consulenza (AGB Strategy & Management Consul- ting & Partners).
Si occupa pure di progetti strategici a livello culturale internazionale attraverso AlchimiArte e AlchimiAscona (www.alchimiarte.ch).
La Biblioteca cantonale di Locarno e Alchimiarte
hanno il piacere di invitarla
alla conferenza di Paola Salvi
L’Uomo vitruviano
di Leonardo da Vinci: ultime ricerche
La conferenza sarà presentata da Giorgio F. Alberti
Venerdì 26 ottobre 2012 alle ore 18.30
nella Sala conferenze
di Palazzo Morettini
Con il Patrocinio di Si ringrazia la Città di Locarno per il sostegno
La capacità intellettiva é quieta, e quand’anche attenta, é disadatta e priva di progettualità, perché popolata di pensieri insignificanti e vacui che sembrano rincorrersi come adolescenti chiassosi assorti nel gioco, in un respiro che si fa ansante e lascia presentire infausti sviluppi.
Sono pensieri che affollano e sequestrano le nostre menti dove si sono consumati, fino ad esaurimento, i principi etici e di filosofia morale che hanno preannunciato il “suicidio innaturale” di valori, di criteri e precetti di comportamento, attraverso i quali il mondo occidentale e cristiano aveva vissuto un fondamento di vita secolare, fino ad un recente passato ma senza intravedere ancora che cosa ne sarebbe stato della loro presenza e fine imminente.
L’uomo si incammina verso il suo tempo, la sua modernità e si mescola tra gente sfuggente, assorbita e rapita “dal furore della vita”, nei quali i pensieri si fanno realtà e diventano, protagonisti indistinti del loro domani, proiettati , come sono, verso mete spesso fallaci.
Sono pensieri da dibattere che concernono le nostre esistenze e i principi morali che hanno supportato il peso del mondo individuale e sociale, affossati così repentinamente di una “morte innaturale”, che ha lasciato in eredità dei protagonisti, dei quali non s’intravvedeva ancora, e chissà per quanto tempo, una qualche decisione di merito.
VORREI parlare di Dio perché, evocarlo, significa affermare con certezza la sua presenza e praticare un religioso atteggiamento spirituale di riverenza e dipendenza verso il divino, poiché Dio è l’essere supremo e il creatore dell’universo, e perché Egli è la perfezione espressa nel mistero della Trinità.
VORREI invocare la Patria perché vuole dire partecipare al destino del Paese in cui si è nati, ritrovarsi nella comunità e nutrire per essa un affetto profondo. Il concetto di Patria è, nel suo significato etimologico, “la terra dei Padri” e chiama a raccolta i suoi figli che si sentono legati da quel vincolo di appartenenza e da una solidarietà infinita, sia per nascita, sia per ragioni storiche-culturali.
VORREI chiamare in causa la famiglia per riconoscerci nella nostra infanzia, negli affetti più cari, nel riproporci le nascite e le morti, poiché la famiglia è il focolare domestico dove costruire, non solo quella vita intima e naturale, ma anche plasmare “l’essenza” della persone.
DIO, PATRIA, FAMIGLIA sono le pietre miliari di valori irrinunciabili ed eterni che ci hanno lasciato tracce di un glorioso passato ma anche un vuoto incolmato della loro grandezza, al di là del profilo storico, politico o sociologico.
È necessario comprendere non solo gli imperscrutabili meccanismi che hanno sorretto le loro secolari dottrine, ma anche “la molla” che ne ha decretato il loro subitaneo tramonto. Tutto ciò che ha avuto ragione di essere nel triplice rapporto, si è consumato in aspri e prolungati contrasti di opinioni, di latenti impulsi e di opposti desideri che si escludevano a vicenda; ma la vera realtà era quel rapporto privilegiato con Dio, Patria e Famiglia che erano la nostra esistenza nel mondo, perché in essi era confluito il corso di tutta l’umanità, il vincolo sentimentale e morale con la vita e il timore della morte, il nostro passare nel tempo, il parlare soli e con noi stessi, eppoi, con gli altri e con quella piccola cellula che è la famiglia nella quale è riposta l’aleatorietà della vita con le sue verità e menzogne.
È importante parlare di ciò che è accaduto senza dissotterrare, per questo, l’ascia di guerra, nonostante ci siano state responsabilità da contrastare per riconsegnare il destino di una vita ai suoi primordi, alle origini, attraverso l’evoluzione umana e la potenza divina.
Gli uomini attuali sostengono argomentazioni, secondo le quali NON tutto deve passare volutamente per intercessione di Dio, ma nessuno di loro, fino ad oggi, ha saputo replicare, con ovvietà, al mistero della nascita della vita e della morte dell’uomo in rapporto al luogo e alla durata della vita stessa, nei quali il proprio “SÉ” si era confrontato con i suoi caratteri ereditari e con quelli di coloro con i quali aveva convissuto e con la fatalistica domanda: “se (il) tutto finirà, che cosa ci sarà dopo di “lui”? forse ci sarà il vuoto primordiale, il silenzio profondo del tempo interminabile?…….
Ci saranno anche coloro che troveranno il modo di criticare con sarcasmo i vetusti pregiudizi, non rendendosi conto di averne creati altrettanti, un po’ più attuali e pensando di sfuggire, così, alle loro paure ancestrali, alle loro vite appartate e immaginarie, alle loro grettezze e povertà morali.
L’uomo ha inteso superare, pertanto, i vecchi pregiudizi con altri in nome di un modernismo che non avrebbe dovuto disconoscere le stesse origini e ritenerli superati, cosicché essi non sono stati affrontati bensì, solamente evitati in nome di un orientamento culturale che tendeva a presentare ogni attività e manifestazione in un contesto storico nel quale si erano formate e sviluppate e dove avevano liberato le ombre notturne della nostra vita, trascinando l’uomo in uno stato di profonda inquietudine.
Non è facile varcare l’ovvietà che ci impedisce di pensare a Dio, Patria e Famiglia, nonostante nuove affermazioni e opposte finalità: prima esse stabilivano un ossequioso ordinamento dei pregiudizi, ora, per converso, servono a contrastarle volutamente e affidarle alle tradizioni divenute sclerotiche.
È difficile rianimare un corpo inerme, ma sarà utile riflettere, perché ciò che è accaduto nella vicenda, “NON PUÒ NON ESSERE, NÉ ESSERE ALTRIMENTI DA CIÒ CHE È STATO”.
Gli aspetti esoterici delle arti figurative nelle chiese cristiane.
Un viaggio nell’affascinante simbologia segreta degli affreschi,
delle sculture, dei bassorilievi che ornano gli edifici sacri
delle nostre regioni.
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È solo un caso che la collocazione di nove chiese e oratori della Collina d’Oro (regione della Svizzera meridionale) rispecchi con precisione la posizione delle stelle della costellazione del Leone? Ed è solo un caso che, contando oltre a questi nove edifici sacri tutti gli edifici di culto circostanti, e tracciando le strade che li collegano fra loro, appaia sulla mappa il disegno di un leone, fieramente adagiato fra i monti dell’Arbostora e il golfo di Agno? Infine, perché un leone?
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ho il piacere di condividere con Voi tutti il programma del mese di ottobre del Gruppo Teosofico di Vicenza.
Nell’unire il mio al Vostro pensiero di riconoscenza verso i nostri Fratelli maggiori e Maestri nel cammino, l’occasione mi è propizia per un fraterno abbraccio e l’augurio di Buon Lavoro teosofico, in questa ripresa autunnale delle attività dei Gruppi e Centri che abbiamo l’alto onore di presiedere.
Fraternamente,
Patrizia Calvi
Cari amici,
nella speranza che l’estate sia stata con tutti generosa di ispirazione, sono felice di riprendere il filo dei nostri lavori e ricominciare insieme ad approfondire ed a condividere le riflessioni sulla vita, affinché si colori di quella nota sacra che la rende degna di essere vissuta, quella nota che fa di tutti i nostri compagni di viaggio e di tutti gli eventi esistenziali non più degli ostacoli ma delle preziose opportunità di crescita.
Cominceremo le nostre attività nel segno della pura sperimentazione, tanto cara alla tradizione teosofica, con lo yoga della musica, cui dedicheremo un intero pomeriggio. Tra le altre proposte troverete, come da più parti richiesto, anche gli incontri mensili dedicati alla Teosofia di base.
Buon lavoro dunque, e a presto rivedervi.
Questi gli appuntamenti del mese di ottobre:
Sabato 6 ottobre 2012 ore 16.00
Tema:“Biofonia, lo yoga della musica”
Relatore: M°Paolo Avanzo, fondatore del sistema Biofonia ed autore del libro Biofonia, lo yoga della musica.
Nel corso di tre ore sperimenteremo la Biofonia, che utilizza il suono, la musica, la vocalità, il respiro consapevole, l’ascolto, il ritmo ed il movimento ritmico, al fine di armonizzare le energie interiori e di attivare i livelli creativi ed elevati dell’essere, per il riequilibrio degli aspetti psicofisici connessi ad emozioni, sensazioni, immagini.
Martedì 9 ottobre 2012 ore 21.00
Tema:“La Via del pensiero cinese. Un’introduzione al Taoismo”.
Relatore: Prof.Marcello Ghilardi, ricercatore presso l’Università di Padova, dove collabora con le cattedre di Estetica e di Storia della Filosofia Buddhista, oltre che con il Master di Studi Interculturali. E’ inoltre direttore italiano dell’Istituto Confucio di Padova. Tra i suoi libri più recenti: Arte e pensiero in Giappone (Milano, 2011), Il visibile differente (Milano, 2012), Filosofia dell’interculturalità (Brescia 2012, in corso di stampa).
Martedì 16 ottobre 2012 ore 21.00
Tema:“La Chiave alla Teosofia” – primo incontro.
Relatore: dr Antonio Girardi, Segretario Generale della Società Teosofica Italiana. Sarà questo il primo di una serie di appuntamenti mensili volti allo studio e all’approfondimento delle tematiche teosofiche di base, con sulla traccia del volume di H.P. Blavatsky.
Martedì 23 ottobre 2012 ore 21.00
Libero scambio di idee.
Martedì 30 ottobre 2012 ore 21.00
Tema:“Roberto Assagioli, la via della psicosintesi” – alla scoperta di un centro unificatore della vita psichica: dall’unità della diversità alla diversità nell’unità.
Relatrice: dr Paola Giovetti, giornalista e scrittrice. Laureata in lettere presso l’università di Bologna, ha sempre coltivato l’interesse per le tematiche esoteriche e spirituali, cui si dedica da molti anni a tempo pieno. Collabora con testate nazionali (periodici Rizzoli, il mensile Astra) e al mensile Il Giornale dei Misteri; è redattrice della rivista trimestrale Luce e Ombra, la più antica rivista italiana di parapsicologia e problemi connessi. E’ autrice di una trentina di saggi su tematiche esoteriche e spirituali.
Tutti gli incontri, salvo altra indicazione specifica, avranno luogo in viale Quintino Sella, 83/E a Vicenza, presso la sede della S.T.I. (telefono 0444-962921).
Alessandro Martinisi è giovane.
Nato a Novara nel 1980, è giornalista pubblicista, laurea al Dams di Torino e Master in Scienze della Comunicazione presso l’Università della Svizzera Italiana di Lugano.
Da sempre appassionato di opera lirica e musica classica, negli ultimi tempo i suoi studi e le sue ricerche si sono concentrati sul legame esistente tra musica ed esoterismo.
Il suo libro «Il sogno sognato di Karol Szymanowski», uscito recentemente con una presentazione di Alberto Cesare Ambesi, è una monografia interamente dedicata alla genesi ed allo sviluppo del libretto e della partitura dell’opera «Re Ruggero», capolavoro del teatro musicale dei primi del Novecento, firmato dal massimo compositore polacco dopo Chopin: Karol Szymanowski; monografia che si sofferma particolarmente sul difficile problema dei complessi significati simbolici e allegorici di essa.
Nato a Timosovka, nei pressi di Kiev, Szymanowski trascorse una infanzia felice in Ucraina, minata però dalla malattia: una tubercolosi ossea che condizionò l’intera esistenza dell’artista. La sua elevata condizione sociale – era figlio di ricchi proprietari terrieri – gli rese possibili viaggiare a lungo fra Dresda, Berlino e Vienna, ove si trovava nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale. Ovunque si adoperava per far conoscere la musica polacca in Europa e per favorire un avvicinamento e una sintesi fra la cultura musicale dell’Occidente e quella della sua patria, prendendo a modelli di riferimento non solo Schonberg, Stravinskij e Chopin, ma anche le maggiori avanguardie, dall’impressionismo alla scuola wagneriana, nel particolare clima artistico e culturale del Decadentismo.
«Egli riuscì a elaborare un linguaggio autonomo, coloristico e fantastico, venato di accostamenti armonici audacissimi e di effetti timbrici di intensa suggestione: linguaggio che, nelle ultime opere, tende a realizzare una sintesi dello spirito polacco e dello spirito europeo» (dalla «Enciclopedia Garzanti della Musica», Milano, 2004, vol. II, p.873).
Karol Szymanowski si spense, dopo una lunga lotta contro la malattia, in una casa di cura di Losanna, nel 1937.
Fra le sue composizioni principali, oltre alle due opere «Agith», del 1922, e «Re Ruggero», del 1926, possiamo ricordare le quattro sinfonie (la terza con voce solista e coro, la quarta concertante con pianoforte); le liriche per ove e pianoforte, fra le quali i «Canti d’amore di Hafiz», del 1911, e le «Canzoni del muezzin innamorato»; tre poemi per violino e pianoforte (fra i quali «La fontana d’Aretusa», del 1915); lavori corali a cappella e con orchestra, fra i quali la cantata «Demeter», con contralto e coro femminile, del 1917; uno «Stabat Mater» del 1926, per soli, coro e orchestra, che può essere forse considerato il suo capolavoro assoluto; e molte altre.
Il famoso «Re Ruggero» (titolo originale: «Król Roger)»,du cui si occupa il libro di Martinisi, è, insieme ai «Mythes», allo Stabat Mater e ad altre composizioni, il punto di avvio di una cospicua scuola nazionale polacca e costituisce un’opera destinata a durare, nella storia della musica, anche per i suoi pregi letterari e per la fitta rete di allegorie esoteriche cui s’è accennato.
Ha scritto Mario Bortolotto (nell’enciclopedia «Le Muse», Novara, De Agostini, 1968, vol. XI, p. 380):
«Le origini musicali di Szymanowski sono in sé alquanto composite. Agli inizi, ciò che lo interessa pare essere esclusivamente il pianismo di Chjopin, di cui è particolarmente sensibile alla “Stiimmung nazionale”. È peraltro già nelle prime opere una lettura alquanto ‘orientata’, attenta a cogliere di quella musica le vibrazioni più sottili; il segreto “spleen”, secondo una sensibilità estremamente vigile di decadente.Era fatale che questa attenzione ala vertigine tardo-romantica si allargasse gradatamente ai maestri di fine secolo. Skrjabin lo incanterà con la perfezione della sua scrittura pianistica e orchestrale, e del pari con la vocazione ad esprimere in musica esperienze occulte. L’Impressionismo francese sarà letto ed assimilato secondo una prospettiva analoga: in Debussy egli coglie solo il calibrato divisionismo cromatico. Quando Stravinskij si affaccia alla scena della musica europea, Szymanowski è pronto a coglierne la pregnanza coloristica, ma non a seguirlo sulla via della ‘musica al quadrato’. Le esigenze di fondo del musicista polacco restano quelle espressive. La passione per il folclore non sarà mai veicolo di quelle esigenze umanistiche che ne sono, in un Bartók o in uno Janácech, la dichiarata ragione. Anche il canto popolare, nella sua vaghezza modale, sarà un altro modo di esotismo in patria, per così dire: una maniera di svagato fantasticare che deve sonare esotica agli stessi Polacchi. Il melos contadino non si distingue insomma essenzialmente dalle ricerche compiute in altri domini sonori: le bellissime canzoni “Slopiewnie” dai “Canti d’amore di Hafiz” o dai “Canti del muezzin pazzo”, di un umbratile orientalismo. Il suono, filtrato e per così dire sezionato fino a goderne le decantazioni impercettibili, provenga dal pianoforte di Chopin o dall’orchestra del primo Schoenberg, sarà la ricerca costante di una musica che non par conoscere sviluppi o accrescimenti: dalle prime composizioni alle estreme si assisterà soltanto a una continua spinta verso il vacillare della tonalità (già compromessa dall’uso sistematico del tritono, aggravato dalle sospensioni e dalla metrica irregolarissima), verso incantamenti preziosi, appena un poco stucchevoli e compiaciuti.»
In conclusione, la vita e l’opera di Szymanowski si svolsero all’insegna di una musica raffinata e barocca, in linea con il clima culturale dell’epoca, ma anche venata di elementi molto originali; di uno stile prezioso e personalissimo, volto alla creazione di insoliti ed elusivi effetti timbrico-armonici; di una ricerca rigorosa e incessante, al fine di spingere il teatro musicale verso la dimensione del trascendente e dell’assoluto: donde quel particolare interesse verso l’esoterismo che non era nuovo, nell’ambito della cultura polacca del XIX secolo (cfr., ad esempio, il nostro precedente articolo: «Matematica, occultismo e messianismo nel pensiero di József Hoene Wroński», sempre consultabile sul sito di Arianna Editrice).
Dal libro di Alessandro Martinisi «Il sogno sognato di Karol Szymanowski», (Novara, Quintessenza, Editrice Teosofica Vedantina, 2009, pp. 105-125):
«L’ultimo atto merita di essere esaminato con maggior attenzione degli altri, perché in esso ogni elemento, ogni gesto racchiude un tentativo di riscatto dalla propria condizione evocato a ogni passo, a ogni parola. Come ho avuto modo di scrivere questo è l’atto ampiamente modificato da Szymanowski approntando un taglio radicale a quanto aveva scritto il cugino Iwaskiewicz e, come quest’ultimo ricorderà, è il momento esatto della frattura ideologica fra i due artisti.
L’atto è ambientato tra le rovine di un antico teatro greco. C’è un motivo per cui l’anfiteatro è in rovina, Szymanowski ha abbandonato la tragedia greca ormai superata, come è stata superata la ricerca del mito che il compositore ha inseguito in Sicilia. Il compositore polacco vuole riuscire là dove la tragedia greca ha fallito. Come per il personaggio d Ruggero che subisce un’evoluzione rispetto a Penteo, ero della tragedia greca, anche l’idea di “tragico” subisce un’evoluzione. Tutti gli elementi suggeriscono decadimento e trascuratezza. Il palcoscenico è crollato, metope sono sparse dappertutto, frammenti d colonne giacciono tutto intorno. Erbacce e fori selvatici crescono a profusione. La natura primordiale della scena è ulteriormente enfatizzata dalla vicinanza del mare; qui ha avuto origine la vita, e per d più esso è simbolo delle non ancora sviluppate e indifferenziate forze della psiche.
Una pallida luce lunare proietta vaste ombre su questo territorio simile a un grembo immenso in un’atmosfera amniotica. Pietre senza vita, e, sullo sfondo, l marte che lambisce la spiaggia e “misteriose argentee stelle” scintillanti nel cielo. Il Re indossa una bianca tunica di lino logora e coperta di polvere. Edrisi cerca di calmarlo, lo spinge a risvegliare le rovine. Ruggero chiama Rossana. Colpi di tamburo come eco di fantasmi.
Ruggero chiama di nuovo e s sente Rossana rispondere alle grida. Edrisi è meravigliato da questo “risveglio di stregoneria”. La voce sembra venire dal mare. Ruggero chiama di nuovo ma è il Pastore questa volta a rispondere. Seguono voci di donna in lontananza che cantano motivi della danza estatica del secondo atto. Voci salutano il Re che, gettata la spada, s sottopone a giudizio.
Rossana appare e invita il Re a giacere con lei, ma Ruggero insiste nel confrontarsi col Pastore
RUGGERO (la fissa, febbrile): Sei tu, Rossana! La bella bocca sboccia nel tuo sorriso dolce; l’aurate chiome inondano di splendore il vivo tuo bel volto; dagli occhi tuoi più profondo è l mistero che nei stellari fuochi. Rossana! Sei tu? O pur fantasma vano da folle languore creato?
ROSSANA: TI sto vicina, o mio Signore. Nel mattutino albore a te vengo. Dammi la man, Ruggero! Voglio condurti nel mio castello, nel talamo mio dormirai! Dammi la man, Ruggero!
RUGGERO: Ma lui? Lui dov’è? Il Pastore?
Successivamente la donna suggerisce d fare un sacrificio di fuoco e quando le fiamme si levano al celo, compare il Pastore fra le macerie del palcoscenico sotto forma di Dioniso stesso. Come indicano le direttive di palcoscenico: “egli appartiene all’eterno. Una luminosità si irradia da lui come se fosse la fonte dell’energia; dietro e intorno a lui tutto sprofonda nell’Oscurità più completa”. Il Pastore sottopone Ruggero a processo. Per tutta la durata della scena numerose figure iniziano ad apparire sui gradini del teatro,appena visibili, “il movimento della folla deve essere avvertito, piuttosto che visto”. Quando la canzone del Pastore cresce di intensità la gente si unisce a lui. Il giorno nasce e le stelle iniziano a sbiadire lentamente mentre Dioniso raggiunge il culmine della sua epifania.
Nel momento del massimo trionfo Rossana getta via il suo mantello e si rivela trasfigurata in una Menade. Mentre il chiarore che si irradia dal astore diventa sempre più pallido, Rossana afferra il tirso e corre verso il fondo del palcoscenico, scomparendo tra la folla. Ruggero sembra sprofondato in uno stato di trance ed è impenetrabile all’apparente perdita della consorte. Le grida di trionfo si dileguano. Mentre le fiamme vibrano sull’altare la luce soprannaturale della rivelazione di Dioniso si fonde nella luce del sole nascente.
Ruggero si guarda intorno colmo di gioia e “come trascinato da una forza misteriosa”, si inerpica in alto sui gradoni e spalancando le braccia canta il suo inno al sole nascente.
IL PROBLEMA DEL FINALE.
Sul finale di “Re Ruggero” ancora poco si è detto e si è scritto, e sulla ambiguità di finale-aperto il terreno si fa scivoloso. Un fatto però è certo, si può partire da quello per cercare di arrivare a una ipotesi, cioè che lo spettatore rimane immerso in una atmosfera di indeterminatezza, soprattutto una volta abbassato il sipario o spento l’impianto stereofonico.
Palmer scrive giustamente che si possono fare solo ipotesi, ma quali?
Jim Sanson si è espresso sulla mancanza di carattere conclusivo dell’accordo di Do maggiore con cui termina prematuramente l’inno al sole di Ruggero.[…]
Innanzitutto occorre fare un passo indietro ricordando (come ho già avuto modo di scrivere nei capitoli precedenti) come il terzo atto sia stato quello riscritto più volte da Szymanowski.
Nella prima versione, Isakiewicz indicava nello “szkic” che l’opera si sarebbe dovuta concludere con Ruggero che si gettava nell’esperienza dionisiaca del baccanale scatenatosi all’interno del teatro greco; questi sarebbero stati i versi conclusivi in cui il Coro avrebbe dovuto ripetere a intervalli regolari: “Ho ho Jaschos ho ho”: “Scopri la tua anima nell’ombra! Gettati ai suoi piedi! La dolcezza ti avviluppa le labbra ebbre di sole! Abbraccia l’anima sua! Essenza dei segreti più nascosti! Rendi la tua vita, e lui la rende a te!”.
Versi che sono stati tagliati nella stesura definitiva operata dal compositore. […]
Sono però le parole di Iwaskiewicz a illuminare sui cambiamenti della scena:
“Ruggero non solo trovò Dioniso nelle rovine del vecchio teatro, ma lo seguì e per di più si lanciò nel caos del misterioso culto dionisiaco. Ruggero non solo aveva riconosciuto Dioniso nel Pastore, ma l’aveva seguito nell’oscurità, abbandonando ogni cosa per lui. Szymanowski cambiò questa conclusione. Forse non comprese il definitivo ripudio del mondo che io avevo introdotto; forse egli considerò la mia semplice conclusione una spiegazione superficiale. Qualunque sia la ragione, egli gettò da parte il mio terzo atto e vi sostituì quello quasi completamente differente che appare oggi nell’opera, e che ha persino uno stile diverso da quello composto da me.”
Iwaskiewicz aveva ragione, suo cugino considerava quel finale troppo scontato, troppo superficiale per poterlo accettare supinamente. Mise mano al testo in modo radicale e gli conferì una profondità di lettura, di concetti, di simboli, rendendo questo monologo il cuore pulsante dell’opera, la chiave d volta dell’intera struttura drammaturgia e musicale. […]
L’irresolutezza del finale apre la strada a una possibile nuova interpretazione, a nuove ipotesi come si diceva all’inizio del paragrafo, in cui sarebbe poco probabile vedere in Ruggero il depositario di un mistero che non avrebbe mai potuto rivelare apertamente. A ci e perché non avrebbe dovuto rivelarlo? Perché nasconderlo? Se rivelato, quali sarebbero state le conseguenze? Un tale scavo psicologico era ben lontano dalle intenzioni di Szymanowski,m il quale, come già scritto, sai è limitato a suggerire un modello archetipico di personalità, schematico nel suo equilibrio drammaturgico.
Forse basterebbe rimanere aderenti a ciò che il libretto descrive: “acceso il fuoco, i seguaci del Pastore iniziano una nuova danza mentre il Pastore si trasforma in Dioniso. Non appena la danza si conclude e i partecipanti escono di scena, Ruggero canta un inno di gioia al sole che sorge.”
Canta un inno al Sole, non ad Apollo. Ruggero non segue il Pastore-Dioniso come nella prima versione di Iwaskiewicz, ma in quella definitiva di Szymanowski è chiaro come lo rifiuti apertamente, come si sradichi da esso per seguire la propria strada grazie all’aiuto della danza, arte dionisiaca per eccellenza, il vero mezzo che “demistificando la realtà e mostrando la realtà originaria, ora ricoperta e nascosta dalle convenzioni, dal potere, alle leggi della tradizione”, permette di redimere ed elevare l’uomo per spalancare le sue braccia al Sole, alla Luce.
L’azione che compie Ruggero allo spuntare dell’alba è improvvisa come un lampo, “come spinto da una potenza misteriosa” è scritto nel libretto. Proprio questa indicazione ci dà modo di comprendere lo spessore di significato atto a quest’ultima scena. L’azione compiuta infatti non è casuale, in quanto l’illuminazione istantanea ha una precisa simbologia.
Il paragone corre al Buddha per alcune interessanti coincidenze con Ruggero. L’illuminazione del Buddha avviene in un istante atemporale, quando, all’alba, dopo una notte trascorsa in meditazione, alzò gli occhi al cielo e scorse improvvisamente la luce del mattino. Migliaia di pagine sono state scritte sul mistero di questa illuminazione avvenuto all’alba.
Quella luce nel cielo è chiamata nella filosofia mahayanica “Chiara Luce”. Lo stato di Buddha è la situazione di colui che si liberato a ogni condizionamento ed è simboleggiato proprio dalla luce percepita al momento dell’illuminazione. In altri termini la presa di coscienza un atto istantaneo, paragonabile a un lampo. […]
Ma c’è dell’altro perché nella filosofia induista la rivelazione della Luce, lo spuntare del Sole, è anche rivelazione dell’unione atman-brahman.
Sembra corra un filo sottile, quasi una corrente sotterranea che attraversa parte della produzione del polacco sul concetto di atman cui ho già accennato alla fine del primo capitolo.
La Luce non appare come un semplice atto d conoscenza metafisica, ma un’esperienza più profonda, nella quale l’uomo si trova esistenzialmente impegnato.
La gnosi supremo apporta una modificazione del modo di essere. […]
In quel preciso istante Ruggero muore a se stesso e al mondo per rinascere a una nuova vita, “dalla morte all’immortalità – scrivono le Upanishad – verso la luce ultraterrena, spinto dall’insaziabile e profondo desiderio di eternità”, ricordava Korab in “Efebos”.
Non abbiamo la certezza che Szymanowski fosse a conoscenza della filosofia induista ma, per un intellettuale come lui, conoscitore di storia delle religioni, non si può escludere a priori.
Anzi, a suggerire una direzione in questo senso può essere proprio il concetto di atman. Su questo terreno parrebbe esserci un superamento della semplice antitesi apollineo-dionisiaco e sembrerebbe quindi superata la lotta nietzschiana tra i due principi (“Ora so che il nostro più grande errore era questo: che ognuno d noi vedeva in ‘Re Ruggero’ cose differenti”, ricordò puntualmente Iwaskiewicz).
Allora Ruggero non appare più un depositario di misteri da custodire, ma, attraverso la metafora del sacrificio di se stesso con l’atto di strapparsi il cuore per donarlo al Sole,diventa l’Esempio assoluto e perfetto, diventa martire, modello a cui l’umanità può tendere come alta ispirazione. In esso non si fa fatica a intravedere la figura di un novello Messia oppure di un novello san Francesco. C’è infatti una strada da percorrere in questa direzione. […]
Il gesto di Ruggero, delle braccia aperte tese indica dunque come egli desideri abbracciare l‘umanità intera in un supremo atto d’amore e in esso Szymanowski vede l’unica via di salvezza per il mondo. Szymanowski-Ruggero tenta un estremo appello di redenzione, attraverso un percorso si sofferenza, quasi a suggerire che solo salvando l’umanità tramite la catarsi dell’opera d’arte egli potrà salvare anche se stesso. Parafrasando una poesia di Jan Kasprovicz “Milosc” (“Amore” del 1895), il percorso di Szymanowski-Ruggero potrebbe prendere le mosse da un amore disperato per approdare all’amor vincens, dall’amore-peccato all’amore-salvezza.
Ruggero, come l’uomo moderno di Jung, deve essere necessariamente da solo a compiere questo percorso, solo nel suo “splendido isolamento”, escludendo anche il fedele consigliere Edrisi:
“Ogni passo verso una più piena consapevolezza del presente lo distoglie ulteriormente dalla partecipazione mistica alla massa degli uomini, dall’immersione in una consapevolezza comune. Ogni passo in avanti significa un atto di liberazione da quella inconsapevolezza primitiva onnicomprensiva che reclama la maggior parte dell’umanità quasi completamente” (A. Wightman).
Non un atto estremo, ma un atto coerente nell’appropriazione e nella conquista della propria libertà intellettuale e della propria consapevolezza.
L’opera nasce e si forma al tramonto della Prima guerra mondiale e viene quindi concepita sllo sfondo della guerra civile post-rivoluzionaria. La ricerca da parte di Szymanowski di scintille fra le ceneri negli anni successivi a questo eventi era sintomatico di un ottimismo essenziale, tipico de compositore polacco, nella capacità dell’uomo di comprendere e cogliere i fondamentali problemi dell’esistenza. Terribilmente ironico il atto che questa ricerca intrisa di umanità abbia provocato dimostrazioni nazionaliste tedesche a Duisburg nel 1928 sollecitando poi i critici tedeschi a chiedersi “cosa ha a che fare con noi tutto questo nel nostri momento attuale”.
La non conclusione dell’opera con quel luminoso accordo in Do maggiore, quelle battute che sembrano prematuramente interrotte, rappresenterebbero anche un autentico scuotimento critico per l’ascoltatore e potrebbe essere l’unica vera occasione di meditazione, esattamente alla fine di questa “opera rito”, sui vari significato dell’esistenza. Allora nel Finale non è più Ruggero l’unico protagonista, ma insieme a lui è l’ascoltatore, quasi gli fosse richiesto di rivestire il ruolo di catecumeno.»
Il re Ruggero come lo Zarathustra di Nietzsche, che saluta il sorgere del sole con dionisiaco abbandono e, al tempo stesso, come seguace delle dottrine orientali della illuminazione subitanea, mediante una rottura consapevole con lo stato di coscienza ordinario?
Se l’ipotesi di Martinisi è giusta, allora non si tratta di una alternativa, ma entrambe le domande confluiscono in una sola risposta: re Ruggero è lo Zarathustra che ha superato la logica della dualità, dell’opposizione fra spirito dionisiaco e spirito apollineo, e che è pervenuto alla consapevolezza della assoluta non dualità dell’Essere.
Sarebbe questa, dunque, la sua ultima e più preziosa conquista spirituale; e non si può fare a meno di andare con la mente ad un altro Pastore, il quale, mordendo il serpente che, penetratogli in gola, lo stava soffocando, scopre, in un riso ineffabile, lo splendore della visione assoluta, dove tutto è, finalmente pacificato, così come deve essere, compreso il passato, quel passato che è fonte di tanto dolore a quanti non hanno saputo oltrepassarlo e farlo proprio (cfr. F. Lamendola, «La redenzione del passato, culmine