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Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

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Rivista Teosofica Svizzera/Ticinese (ADYAR)

Archivi Mensili: ottobre 2014

– La presenza della chiesa e gli uomini del mondo – Giancarlo Fabbri

23 giovedì Ott 2014

Posted by abcsocial in Antonio Girardi

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– La presenza della chiesa e gli uomini del mondo –

 

 

Su autorevoli quotidiani e televisioni di alto indice di ascolto è apparsa la notizia della convocazione di un sìnodo con l’obiettivo di affrontare temi riguardanti l’omosessualità dal titolo: “ Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”; e come se non bastasse è arrivata la dichiarazione di un eminente cardinale che afferma di avere conosciuto “una esemplare coppia di omosessuali”. Il tutto è accettabile e comprensibile ma si trae un’umana benevolenza per un singolo caso tralasciando il resto dell’umanità: è ovvio che qualcosa sfugge a una realtà concreta e a una concezione logica per trarne un giudizio generico da un singolo caso.

La chiesa, dopo secoli di silenzioso oscurantismo che l’aveva contraddistinta, si manifesta, fa sentire la sua voce e decide di aprirsi alla mondana caducità commettendo una ingannevole imprudenza: quella di avere tessuto le doti e le qualità degli omosessuali, mentre il presupposto sarebbe stato quello di affermare che le doti e le qualità non dipendono da una tendenza sessuale, perché possono trovarsi o non trovarsi tra gli omosessuali o gli eterosessuali e perché vi sono omo o etero che conducono una vita di grande dignità ed onestà di coscienza, e altri che la disertano.

Anche nell’elogio e nel plauso verso i divorziati o i separati, la chiesa non dice tutta la verità sull’argomento, poiché le doti e le qualità umane non dipendono dallo stato civile; ed è altrettanto ipocrita nell’affermare “imperfette” le unioni omosessuali o le coppie non sposate come se la perfezione esistesse solo nei rapporti statuiti per legge. Si tratta di un “perfettismo” inopportuno e sconveniente mentre sarebbe stato meglio parlare di unioni e famiglie con un valido fondamento sociale, religioso e culturale e aperto al progresso dell’umanità.

È noto il disinteresse e l’insensibilità della chiesa nelle vertenze umane e ora non può cercare o pretendere di placare gli antichi dissapori verso l’omosessualità e gli omosessuali attraverso degli “accorgimenti omofiliaci”, proiettati verso la modernità e dove il termine emofilia è sinonimo di omosessualità.

È sufficiente che la chiesa si faccia carico dell’uomo aldilà di ipotetiche apparenze, di indizi o preferenze sessuali. Se poi tutto ciò non fosse conforme all’ordine naturale delle cose, essa dovrebbe prestargli delle amorevoli cure però prive di qualunque ingerenza, perché è l’uomo che deve convertirsi a lei secondo i principi cristiani e perché la chiesa è sempre pronta ad accoglierlo con tanta clemenza e infinito perdono, nonostante non sia né perfetto né inaffidabile e, soprattutto, incapace di dominare le proprie debolezze.

È giunto il momento delle certezze e la chiesa non può rincorrere i giorni dell’uomo che mutano e passano veloci bensì, deve rimanere il punto di riferimento e l’incrollabile caposaldo della sua vita altrimenti, continuando su questa strada, essa dovrà ricorrere a degli espedienti per sostenere che la beatitudine celeste si può conseguire senza il bisogno di credere in Dio.

Sono passati due millenni dal sacrificio di Gesù per espiare le mancanze degli uomini ma poco è cambiato d’allora per una mancanza di vero amore – quello della chiesa e degli uomini – che avrebbe potuto evitare tante sprezzanti ed oltraggiose derisioni che Dio non ha di certo apprezzato.

È il cammino della storia nel mondo, che non cambia e si replica senza speranza e senza arrivare ad un adempimento.

 

Ascona, novembre 2014

Fabbri Giancarlo

“Membro della Società Teosofica Svizzera”

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Alchimia e spiritualità in un racconto ambientato a New York: “Il volo della fenice” di Alessandro Martinisi è in libreria.

15 mercoledì Ott 2014

Posted by abcsocial in Produzioni esterne consigliate

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È uscito il libro “Il volo della fenice. Dialoghi alchemici a New York” edito da Lampi di Stampa.

 

Alchimia e spiritualità in un racconto ambientato a New York: “Il volo della fenice” di Alessandro Martinisi è in libreria.

 

 

È disponibile a partire da questa settimana il libro Il volo della fenice. Dialoghi alchemici a New York. L’autore è Alessandro Martinisi attualmente dottorando all’Università di Sheffield. Alessandro non è nuovo a pubblicazioni di carattere spirituale, ha infatti pubblicato nel 2009 un saggio storico musicale dal titolo Il sogno sognato di Karol Szymanowski. Re Ruggero tra luce ed ombra che è una lettura personale e nuova sull’ opera lirica del più grande compositore polacco dopo Chopin. Non solo musica però. Come questo racconto dimostra, Martinisi si interessa anche di anche filosofia e di simbolismo. Abbiamo scelto di rivolgergli alcune domande per capire meglio di cosa parla questo libro.

 

Raccontaci qualcosa di te e cosa ti ha portato ad occuparti di tematiche così sensibili.

Sono attualmente dottorando all’Università di Sheffield nel Regno Unito, un ateneo molto famoso in quanto molte scoperte in ambito scientifico, informatico e matematico sono state fatte proprio lì. Nonostante il mio background umanistico, da alcuni anni mi occupo principalmente di analisi di dati e di statistica. Ho lavorato come giornalista e come analista usando le tecniche cosiddette dell’OSINT e poi mi occupo anche di Filosofia dell’Informazione (PI). Tuttavia questo è un discorso molto ampio e qui potrebbero sembrare solo parole buttate alla rinfusa. Ad ogni modo posso dirti che mi occupo di queste tematiche abbastanza a lungo da capire come il concetto di “average man”, cioè quello di “uomo medio” di Adolphe Quételet, abbia combinato disastri alla nostra società sopprimendo con quell’idea qualsiasi benessere dell’essere umano in termini di unicità, creatività, individualità tipici, a favore della media statistica. D’altronde già René Guenón l’aveva capito e ci aveva avvisati nel libro Il regno della quantità e i segni dei tempi dei pericoli insiti nella statistica che è altra cosa rispetto alla sacralità del Numero. Ma questa è un’altra storia che ci porterebbe lontano dal libro.

 

 

Alessandro, parlaci dunque del tuo libro. Qual è stata la circostanza che ti ha portato a scriverlo?

L’idea di questo racconto nasce proprio a New York e nasce in particolare da un incontro con un personaggio influente nella metropoli. Purtroppo non posso rivelare il suo nome e il luogo dove lavora, anche se posso dire che è una istituzione molto conosciuta nel mondo. Ammetto che è stato un incontro dalle circostanze a dir poco bizzarre ed è avvenuto in un momento molto significativo della mia vita. In quel momento stavo già approfondendo la simbologia e la storia dell’Alchimia, ma quell’incontro ha letteralmente dato un corso differente alla mia vita. Mi ha aperto nuovi orizzonti. E non credo sia stato un caso.

 

Raccontaci qualche dettaglio in più del libro.

Il racconto è strutturato in forma di dialogo e narra l’incontro tra un giovane animato da uno spirito di ricerca che si trova “nel mezzo del cammin della sua vita” e un anziano professore, che si scopre subito essere un alchimista. L’anziano guiderà il giovane a trovare le risposte alle domande più importanti sul mistero della vita. Ma non fornisce risposte come le intendiamo comunemente. Le risposte che fornisce sono altre domande, oppure una meditazione su un’immagine, l’ascolto di una musica, oppure semplicemente l’ascolto del silenzio o del rumore, perché a volte non si può tradurre in parole quello che può essere solo visualizzato e intuito, compreso nel proprio cuore. Ho scelto la forma del dialogo perché più si addiceva al mio scopo, cioè quello di descrivere un percorso formativo, un percorso di maturazione, come nello stile del Bildungsroman.

La città di New York fa da sfondo e contrasto al dialogo che si dipana tra quelle strade dall’alto valore simbolico, come Bryant Park o il Rockefeller Center con il suo General Electric Building, ma anche il palazzo di vetro dell’Onu. In generale descrivo i grattacieli di New York come fossero delle torri e voglio richiamare con questo non solo qualcosa di feudale e dunque dandone una sfumatura “politica”, se mi lasci passare questo termine, ma anche richiamare la carta dei Tarocchi: cioè quella della Torre appunto, con tutta la sua valenza simbolica. In questo caso interpreto però questa carta non come la punizione per aver voluto rivaleggiare col divino, ma solo come ammonimento e messa in guardia per i tempi critici che stiamo vivendo. In fondo è generalmente condiviso da politologi ed economisti che la crisi finanziaria, come la conosciamo, è nata tra quelle torri. Ma a New York è anche onnipresente il mito di Prometeo come nella statua dorata del Rockefeller Center alle cui spalle vigila il Demiurgo, e come nella Statua della Libertà, esempio eclatante e urlante del mito. E trovo suggestivo che il nome Prometeo non solo può derivare dal greco pro-metis e cioè “previdenza”, ma anche dal sanscrito Pramantha che era lo strumento usato per accendere il fuoco.

 

In che senso parli di alchimia e di spiritualità? E come li hai inseriti nel racconto?

Come dicevo prima, questo racconto è in realtà un viaggio di formazione. L’Alchimia con la sua ricchezza di simboli, di iconografie, di messaggi soprattutto spirituali, rappesenta un veicolo per migliorarsi e come conseguenza migliorare gli altri. Migliorarsi significa secondo me comprendere chi siamo, significa conoscersi senza paure, e lo studio della simbologia alchemica aiuta su questo percorso direi terapeutico o, se preferisci, psicoterapeutico. I simboli vanno interpretati poco a poco come rebus, come quiz. È in realtà un grande gioco di parole, di analogie, di allegorie. Non parlerei però di “auto-realizzazione” o di “auto-perfezionamento”, parole abusate dal marketing e che riportano molto spesso a promesse vane fatte da parte di istituzioni o organizzazioni. E quando parlo di “alchimia spirituale” non mi riferisco specificatamente alle opere di Aïvanov o di Ambelain.

Quando parlo di alchimia spirituale mi riferisco più in generale a qualcosa che non ha “autori” e mi riferisco alla nostra volontà di trasformazione. Se l’alchimia “operativa” trasformava il vile metallo in oro, l’alchimia “speculativa” si riferisce soprattutto alla sfera spirituale e psicologica che è la nostra abilità di trasformare impulsi nocivi, in quanto distruttivi, in stimoli costruttivi al servizio della vita.

Solve coagula è uno dei “motti” alchemici che significa letteralmente “sciogliere i coaguli”, cioè sciogliere ciò che ci trattiene, ciò che ci incatena, e possiamo parlare in termini molto generali di problemi. E la vera sede per la “trasmutazione” è la nostra mente e dunque i nostri pensieri che da essa sono generati. Sono infatti i pensieri che ci conducono per mano e i pensieri diventano gesti, i gesti diventano azioni e sono le azioni a guidare poi la nostra vita, Gandhi lo sapeva bene. Giordano Bruno affemava che sono i pensieri a generare la materia e non viceversa. Altri come Annie Besant e C. W. Leadbeater parlano di “forme-pensiero”. Carl Gustav Jung, a cui mi ispiro, riporta Zosimo di Panopoli il quale dice che gli alchimisti sono “figli dalla testa d’oro”. Dunque la vera alchimia risiede nella nostra testa. Il libro Psicologia e Alchimia è una delle mie fonti d’ispirazione così come il Libro Rosso e tutti gli altri testi della eredità junghiana, penso a quelli di Marie Luoise von Franz anche.

Tuttavia il mio racconto si scopre man mano essere in realtà un trattato filosofico in forma di dialogo, dunque non c’entra nulla col romanzo o la fiction. Parlo di storia, parlo di filosofia e di simbologia, ma in una forma differente.

 

E perché hai usato la Fenice come titolo del libro?

Forse perché ricorda il teatro veneziano? Scherzo, ma non del tutto. Nel libro spiego ampiamente perché ho voluto questo animale mitico che risorge dalle ceneri. Diciamo che dopo questa chiacchierata il perché può essere evidente: la Fenice è il simbolo stesso della trasmutazione. Ma non mi posso dilungare nei dettagli qui. Mi limiterò solo a dire che è un augurio per tutti, un augurio per tutti i giovani che sono “alla ricerca” e che possiedono in nuce il desiderio di ricrearsi e rigenerarsi. Come italiano all’estero non posso che essere solidale con tutti i miei coetanei, quelli rimasti in Italia e quelli espatriati perché siamo in fondo tutti legati tra noi e abbiamo una medesima direzione. Attraverso i due personaggi del libro ho infatti anche tentato di interpretare con sincerità le ansie e le aspirazioni della generazione a cui appartengo. Il mio augurio di fede è che se noi giovani riusciremo a lavorare mettendo insieme le nostre forze potremo tutti insieme uscire dalla empasse in cui il malgoverno (e non mi riferisco ad uno in particolare) ci ha spinti. Ricordi? Solve coagula! Sciogliere i coaguli, che detto in questo modo sembra essere anche un atto rivoluzionario.

 

Il libro è acquistabile on-line sul sito dell’editore Lampi di Stampa a questo indirizzo http://www.lampidistampa.it/alessandro-martinisi/il-volo-della-fenice/2083.html oppure sui siti Amazon ed IBS. La recensione del libro è stata scritta dal Prof. Francesco Lamendola e la si può leggere qui http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=48861

Per scrivere all’autore potete mandare una mail a info@martinisi.org

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– SIC TRANSIT GLORIA MUNDI – , Giancarlo Fabbri

04 sabato Ott 2014

Posted by abcsocial in Giancarlo Fabbri

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arte


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SIC TRANSIT GLORIA MUNDI ….

Fintantoché la gloria si librava lassù nell’alto dei cieli in modo astratto e dolcemente tranquilla, essa volgeva uno sguardo disattento alle vicende umane, in apparenza scevre da preoccupazioni, turbamenti, passioni e dove tutto pareva scorrere senza improvvisi contesti istituzionali di grande rilevanza.

La sua discesa sul mondo venne accolta come “grazia dei” mentre con la sua partecipazione alle memorabili gesta dell’uomo, emersero personaggi di alto profilo e avvolte di una sacrale aureola di eterno fulgore.

Era la gloria celeste che ammantava gli uomini e consentiva loro di vivere e di morire nella percezione e nella perfezione della grandezza divina che non erano soggette alla contingenza storica bensì; evidenziavano l’immobilità e l’eternità del mondo, prima di ritornare in cielo con quel “tocco” di  garbata leggerezza.

È la gloria “metastorica” che dopo l’incèdere solenne e grave degli avvicendamenti umani, si fà storia dei poteri imperiali attraverso l’esaltazione di grandi condottieri. E poi, ecco che appare la gloria volta a celebrare le straordinarie e grandiose leggende di eroici protagonisti che con le loro irrepetibili gesta sono entrati nella storia e divenuti leggenda. È la gloria propositiva che guarda il mondo influenzandolo nel suo specifico assetto e lo esalta per tutto ciò che “esprime bellezza”, cercando di comprenderne le sue veridicità e le perplessità nei mutamenti e offrendosi alle opere d’arte, di scienza, di ingegno.

Ma se la gloria esce fuori da quel attimo fuggente del tempo universale, essa vive una celebrità dimessa e concessole dal tempo stesso; oppure una notorietà che può scadere nella futilità o vacuità di un esito effimero.

Resta ancora insoluto il rapporto fra la gloria e l’argomentare filosofico; (e Platone sosteneva come il filosofo non dovesse aspirare alla gloria). Senonché, non è facile raccontare le vanità e le leziosità dei filosofi che tendono a suscitare l’ammirazione altrui per potersi lodare, a loro volta.

I sentieri alla ricerca della gloria sono duplici: l’uno che privilegia la gloria nella storia e l’altro che reputa sia necessario uscirne. Nel primo caso, molto hegeliano, la gloria si identifica col divino che incrocia il divenire della storia; mentre nell’altro contempla una ascensione spirituale con il digiuno, la meditazione e la tradizione orale per arrivare alla verità che coincide con la rivelazione illusoria della storia, del tempo, del mondo.

La ricerca della gloria ha creato nei filosofi un senso di paura e sgomento nel timore di vedersi scomparire. Infatti le gesta eroiche, siano esse storiche, artistiche, scientifiche o filosofiche, diventano come la dichiarazione bellica di un loro eventuale annientamento e l’atteggiamento di una loro probabile estinzione.

Il filosofo trascorre l’esistenza nel silenzio tra la gloria e la vita pubblica; ma se prende parte all’attività mondana e incontra la massa, egli diventa un vanaglorioso con una fama che cela l’invidia di un potente “ego” e che non sfugge alle ambizioni umane.

C’è come una duplice attenuante nell’affrontare argomenti universali destinati alla storia. Da una parte egli si ritiene un predestinato alla gloria, la cui grandezza gli appartiene; dall’altro verso è come se la gloria lo avesse scelto con il compito di dovere educare l’umanità sulla complessità di temi ricorrenti che la caratterizzano.

La filosofia non è una pratica esotèrica riservata a teorici e praticanti. Essa si eleva da un basilare concetto universale per l’intera umanità, dalla nascita alla morte e oltre.

La filosofia acquisisce così una sua intima e segreta grandezza e diventa più perspicace, raffinata e riservata a pochi.

La vera gloria è quella che sopravvive alla nostra condizione umana e pure il filosofo vuole farne parte non solamente col pensiero, ma anche con la sua presenza.

Egli va giudicato per la sua azione morale e non per le sue personali vicende; egli va valutato per le sue riflessioni e considerazioni e non per i suoi impulsi, consapevoli o nascosti.

Nel suo perenne cammino sulle esaltazioni irrazionali, sulle sconsideratezze e le temerarietà, sulle illogicità e stravaganze unite a progetti e aspirazioni utopistiche, la gloria si manifesta come la fede nuziale che unisce il tempo all’eternità; la vita all’immortalità.

Ascona, settembre 2014

Fabbri Giancarlo

“Membro della Società Teosofica Svizzera”

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