La Croce ansata , o Ankh, ebbe una notevole importanza nell’antico Egitto come simbolo che ricordava il dono della vita e anche l’immortalità. Il termine ankh significa “vita “ o anche “ chiave di Iside”o “chiave dei grandi misteri” e in genere questo significato acquista un indiscutibile potere magico ed è sintomatico che i sacerdoti egizi in certi bassorilievi siano raffigurati nell’atto di donare con l’Ankh l’energia vitale capace di concedere l’immortalità ai defunti. Per questo la Croce Ansata ha un valore talismanico di indubbio valore. L’ansa superiore ,di forma circolare o ovale, possiamo assimilarla all’ourorobos (serpente che si morde la coda = eterna ciclicità della vita). La Croce a forma di T è invece la condizione della morte (lo stato di trance nel quale gli eletti vengono a trovarsi prima di arrivare ai Grandi Misteri).
Nei tempi antichi veniva applicata nel punto del terzo occhio ai re e ai sacerdoti in segno di elevazione spirituale (il terzo occhio era aperto).
sponsorizzato e organizzato da Escaross Textiles in Egitto dello scorso ottobre ho visitato con i miei colleghi artisti il Monastero di Santa Caterina nel Sinai.
Nostro Cicerone è stato il monaco Gregory Sinaite che successivamente ho avuto modo di intervistare in un albergo di Sharm el-Sheikh.
Gregory Sinaite è un monaco ortodosso greco nato in Libano di 52 anni, 23 anni dei quali trascorsi nel Monastero di Santa Caterina.
Com’è la vita nel Monastero?
Sono uno dei trenta monaci che vivono stabilmente nel monastero. I miei ruoli cambiano come quelli degli altri monaci, lavoro nella biblioteca, nella chiesa, nel museo.
Preferisco lavorare nel museo e nella biblioteca dove vengono gli studiosi da tutto il mondo per le loro ricerche e li aiuto a trovare i testi.
Abbiamo 3300 manoscritti e 8000 libri antichi in 13 lingue diverse.
Dopo la biblioteca Vaticana la nostra è la più importante al mondo.
Anch’io studio i manoscritti che non sono solo religiosi.
I testi sono d’astronomia, di storia, di filosofia e di religione, riguardano anche i padri della chiesa, molti di essi hanno studiato la filosofia ellenistica per capire e spiegare meglio il cristianesimo.
ci fu donato da Giustiniano. Conteneva interamente l’Antico Testamento, è una delle 50 copie commissionate da Costantino intorno al 330, prestato allo studioso tedesco van Tischendorf (che la trovò nel monastero ndr) su richiesta dello zar di Russia, non fu mai più restituito. Nel 1933, è stato venduto da Stalin al museo britannico. Ora ci rimangono solo alcuni frammenti.
Parlate anche aramaico…
Abbiamo libri scritti in aramaico. Alcuni monaci parlano in aramaico in liturgia. La scrittura araba ha preso molto dall’aramaico. Gli aramaici hanno tradotto la scienza greca nella lingua araba.
Avete un museo importantissimo..
Il nostro museo è visitato da molti pellegrini. Esiste dal sesto secolo, è stato recentemente riorganizzato con l’aiuto del Metropolitan Museum. Abbiamo icone di diverse epoche, sono esposti tutti gli stili bizantini, per questo è il primo al mondo.
Le nostre icone sono prima dell’iconoclastia, l’iconoclastia non è mai arrivata nel Sinai.
Nelle bacheche sono visibili molti oggetti ad uso ecclesiastico di diversi paesi. Queste opere sono arrivate al Monastero da imperatori e credenti come doni di fede.
Qual è il rapporto con le tribù locali?
I beduini locali erano cristiani. Dopo la loro conversione continuano a lavorare nel monastero con amicizia non vedono un nemico negli altri.
I fanatici dell’Isis hanno cercato di fare 3 attentati. L’anno scorso è arrivato nella notte vicino al monastero un attentatore kamikaze che è stato neutralizzato dalla sicurezza. Noi monaci non abbiamo paura di morire come martiri, ma questo patrimonio deve rimanere per l’umanità.
Gregory Sinaite ha parteciato al Simposio Biross come un pittore…
Mi piace dipingere e creare mosaici mi relaziona con le persone, il mondo e la natura, colgo le emozioni, la pittura è come la musica. È universale. Sono lento nel dipingere e medito molto prima di fare le mie opere.
Ho studiato copyright e letteratura inglese in Egitto. Ho frequentato seminari di pittura in Italia e Grecia. Prima di diventare monaco studiavo e lavoravo. Dopo tre anni di noviziato sono diventato monaco.
Cosa farò e dove andrò. Dio decide per me quello che è meglio.
La vita di Mosè (XIII a.c- XII a.c.) ruota attorno a questo luogo.
Il Cardinal Martini in una delle sue meditazioni: …“Mosè, stando là nel deserto, mentre pascola il gregge del suocero, vede un po’ lontano un roveto che brucia e gli sembra che continui a bruciare senza consumarsi; nel suo discorso (cfr. At. 7, 31), Stefano così commenta la scena: «Mosè si meravigliò» (o de Moyses idon ethaumasen). Questo mi piace molto: Mosè, che ha 80 anni, è capace di meravigliarsi di qualche cosa, di interessarsi a qualcosa di nuovo. Immaginiamoci quella grande pianura dell’Oreb, a 1700 metri di altitudine, sovrastata da grandi montagne, con terrazze successive di sabbia e di roccia: su una di queste terrazze c’è il nostro roveto”…
Dio lo chiamò e gli parlò e gli ordinò di andare. Mosè affrontò il faraone chiedendo la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù; e ritornano con il suo popolo dopo tre anni arrivato sul Monte Sinai ricevette le tavole della Legge.
Il Monastero è stato costruito intorno al roveto ardente e nella chiesa si conservano le reliquie di Santa Caterina (287-305) che, racconta la tradizione, “due angeli trasportarono da Alessandria al Monte Sinai. Esse vennero scoperte da un asceta che viveva non lontano da lì e, allorchè si costruì il grande monastero presso la montagna dove Mosè aveva parlato con Dio, lo si dedicò a Santa Caterina e vi si depositarono le sue Sante reliquie che liberano ancor oggi un profumo celeste e che hanno compiuto numerosi miracoli”. (http://www.ortodoxia.it/Santa%20megalomartireCATERINA.htm)
Il monastero, il più antico al mondo ancora in uso, è un centro monastico ortodosso. Nel 342, Elena madre dell’imperatore Costantino il grande, fece costruire un monastero con una cappella, dedicato alla vergine Maria sul luogo del roveto ardente. Successivamente l’imperatore Giustiniano, tra il 527 e il 547 d.C, ordinò la costruzione della chiesa conosciuta oggi come della Trasfigurazione, il mosaico situato nell’abside è stato restaurato recentemente da una equipe italiana.
Giustiniano aveva anche ordinato la costruzione un’imponente cinta muraria con torrette per proteggere il monastero e rifornendolo di soldati romani per proteggerlo dagli attacchi dei beduini.
Anche dopo la conquista da parte degli arabi del Sinai nel 641 d.C., i monaci continuarono a vivere nel monastero, protetti da un editto di Maometto che assicurava loro la protezione.
Il Monastero è situato nel Sud del Sinai, è nel centro di un triangolo tra il deserto di EL-Tih, il golfo di Suez e del golfo di Aqaba nel Sinai alle pendici settentrionali del Jebel Musa (2285 metri), è affiancato a sud est dal Jebel Kathrina e Jebel Abu Mas’ud (2135 metri) identificati con il biblico Monte Horeb.
L’UNESCO ha dichiarato il Monastero di Santa Caterina patrimonio dell’umanità dal 2002 per la sua architettura bizantina, la sua preziosa collezione di icone e per la grande raccolta di antichissimi manoscritti che costituiscono la più vasta e meglio conservata biblioteca di testi antichi bizantini dopo quella della Città del Vaticano. Inoltre, il monastero è considerato un luogo sacro dalle tre maggiori religioni monoteiste: il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam.
«Santa Caterina è un luogo di incontro tra ebraismo, cristianesimo e islam – ha commentato durante la cerimonia per l’inaugurazione dei restauri del mosaico dell’abside il ministro El-Enany -. È espressione di quello che chiamiamo il genio dell’Egitto, con i suoi riflessi sull’armonia tra le componenti del suo grande popolo».
Nello scrivere questo articolo mi sono documentato molto, trovando anche contraddizioni tra le varie fonti, ma sono uscito arrichito di conoscenza e ho ancora una volta amato l’umanità e la sua storia.
CONVERGENZE FILOSOFICHE E RELIGIOSE DELLA RIVOLUZIONE CULTURALE DI CRISTO
Verso la metà del secondo secolo dopo Cristo, un rabbino incontrò casualmente un cristiano nella città Greca di Corinto e con lui avviò un approfondito esame riguardante l’esegesi sulle profezie accolte nella Bibbia.
L’incontro tra i due venne poi evidenziato in forma scritta dall’interlocutore Cristiano, di nome Giustino, e ci è pervenuto fino ai nostri giorni con il nome di “dialogo con l’ebreo Trifone” il quale, a prima vista, lo riconobbe come un filosofo in quanto indossava un cappello, il cosiddetto “pallium”, indossato dai maestri di filosofia.
Orbene, non manifestandosi apertamente nessun impedimento, egli ricompose la sua evoluzione intellettuale che lo aveva visto vagabondare attraverso varie scuole filosofiche: da quella platonica che conduce alla contemplazione della bellezza delle cose terrene e al bello eterno e immutabile; a quella stoica, il cui ideale etico era rappresentato dall’inerzia, l’indifferenza, dalla mancanza di volontà e d’interesse verso la vita e ai sentimenti raggiungibili attraverso l’esercizio delle virtù, la liberazione dalle passioni e il vivere secondo natura; e infine, alla scuola del pensiero aristotelico, restandone però del tutto inappagato fintantoché ebbe l’opportunità d’incontrare un maestro che lo spronò all’interpretazione e al commento della Bibbia e alla filosofia cristiana, quale unica e vera condizione di arrivare con certezza alla verità in senso assoluto, la quale, essendo rivelata direttamente da Dio, era accettata per convincimento senza l’intervento della ragione su Dio, il mondo e l’uomo.
Alcuni secoli dopo, il Vescovo di una città dell’Asia minore scrisse all’Imperatore Marco Aurelio, così sensibile e favorevole ai filosofi, ma non altrettanto accomodante verso i cristiani, additandogli la concomitanza dell’ordinamento in successione nel tempo, la fondazione dell’Impero Romano e l’origine della filosofia Cristiana, volendo in tal modo predire a entrambi una sorte che li avrebbe accomunati nei secoli a venire.
Nel pensiero Cristiano di tutti i primi secoli, il Cristianesimo era ritenuto una filosofia e non mancarono i pensatori che contribuirono a mutare il pensiero, l’autorità della religione e della filosofia.
L’avvento del Cristianesimo ha inciso sulla religione intesa fino ad allora come un fattore pubblico con i suoi rituali ai quali nessuno attribuiva una credenza, al massimo un contesto storico e sociale in cui si svolgeva una narrazione.
Il parlare di dio riguardava, invece, la filosofia che aveva a cuore la realtà specifica dei princìpi basilari della stessa, dove la tradizione platonica coincideva col pensiero astratto, nel pensiero scientifico, oltreché il partecipare alla divinità celeste.
Le diverse filosofie potevano ispirare a sostenere una rilevante morale che si traduceva in un certo modo di essere, di comportarsi ed agire in una esistenza al riparo da chi invece conduceva una realtà dedita ai piaceri e tanto osteggiata con tenacia e forza d’animo dagli storici nell’affrontare le sofferenze e le calamità.
Nell’accostarsi per la prima volta al mondo Greco e Romano dopo la sua origine dell’Ebraismo, il Cristianesimo accomunò in un contesto culturale il battesimo e l’eucarestia, promuovendo iniziative coordinate e vòlte alla fede religiosa cominciando dalla persona di
Cristo figlio di Dio, Gesù, che assume carne umana in Maria Vergine e nel rapporto con “il Dio creatore del Mondo, il padre”.
Da ciò, ebbero origine le pretese morali che preservavano vive le consuetudini e l’interpretazione della Bibbia.
Se la filosofia aveva all’inizio una esigua attenzione verso le classi più abbienti, essa era poi diventata “universale” a tutta la società attraverso l’attività di uomini di cultura e dei predicatori cristiani a partire dalla Bibbia nella sua ermeneutica.
Pertanto, il cristianesimo, riuscì a intercettare, raccogliere a rappresentare nella direzione voluta l’insieme di fatti socio-culturali contrassegnati o già in atto.
Il Cristianesimo, nell’offrirsi e facendosi conoscere al mondo Romano come una filosofia, raggiunse lo scopo di integrarsi nella intensa vita intellettuale delle città dell’Impero e superare, nel contempo, le incertezze e il disorientamento delle religioni tradizionali e dello stesso Ebraismo, dato che il Cristianesimo non celebrava ancora cerimonie sacrificali. (solamente due secoli più tardi ci sarà il proposito e l’intenzione della celebrazione della eucarestia intesa come sacrificio).
Il Cristianesimo, fortificandosi nel tempo, riuscì a egemonizzare la filosofia dell’Impero e si dedicò all’essenza della natura divina, quale soggetto trascendentale.
Con i pensatori Cristiani, il discorso su Dio cessa di essere parte importante sulla riflessione della realtà e si colloca così in piena autonomia all’apice delle conoscenze di un complesso organizzato di idee finalizzate ad altre discipline.
Da questo momento, la filosofia intraprenderà un tragitto che la porterà ad essere testimone della teologia e a promuovere nel medio evo l’insieme delle tre arti liberali, e cioè: grammatica, dialettica, retorica nel loro studio e insegnamento.
Nella società Cristiana medioevale, teologia e filosofia riguarderanno una ristretta cerchia elitaria tradendo, quindi, la raccomandazione del Cristianesimo, quale vera filosofia e tramite universale che conducono alla verità su dio e sull’uomo.
Ascona, ottobre 2018
Giancarlo Fabbri, Membro della Società Teosofica Svizzera
Negli Stati Uniti e, specificamente, nella Silicon Valley sono sorte nell’ultimo ventennio una miriade di aziende imprenditoriali, le quali avevano capito con avvedutezza l’importanza e la necessità in un apporto dei “cosiddetti filosofi imprenditoriali” alfine di aumentare l’importanza, la conoscenza e le potenzialità di tali aziende.
Orbene, chi sono allora questi filosofi imprenditoriali sempre più richiesti e convocati all’interno di una impresa produttrice di beni o servizi se non degli scrupolosi consiglieri di manager, che partecipano alle riunioni d’importanza vitale e aiutano il gruppo a lavorare con maggiore efficienza ed appianare difficoltà personali o mutare il primo contatto con i colleghi.
A conti fatti, i colleghi sollecitati portano all’azienda pubblica o privata un nuovo criterio, più sciolto e aperto, più capacità inventiva.
Costoro sono i filosofi che non fanno obiezioni bensì, pongono questi appropriati che aprono la mente a nuovi percorsi vòlti alla riflessione e a un nuovo argomentare, cosicchè un’ostacolo insuperabile può divenire gestibile.
Attualmente, un esempio evidente è stato, per antonomasia, Sergio Marchionne che ha di nuovo sollevato una nota marca automobilistica.
Egli è stato un Manager-filosofo che ha fortemente sostenuto il ritorno di una sua vitale rinascita, dove filosofia e creazione umanistica coesistono in quanto rese libere e di sostegno nei confronti di profili economici, scientifici e di quegli operatori economici a livello internazionale.
Pertanto, filosofia e cultura di studi classici sono di aiuto e vanno oltre il superamento di difficoltà favorendo un miglior guadagno ed evitando possibili crisi.
Alla fine, si è capito che la “mescolanza” tra ambienti e imprenditoriali e umanistici avrebbe fatto nascere e delineare una formula vincente àtta al superamento di una brusca stasi dell’attività economica e a preservare i bilanci di chiusura.
Infatti, i capitani d’industria si domandavano quale fosse il peso che avevano i proprio prodotti in un quadro a grandi linee e s’interrogavano se ce ne fosse stato veramente la necessità.
Se tra gli operatori “si fa largo” l’idea che il guadagno non sia la sola cosa, ecco allora il filosofo-imprenditoriale che li aiuta a guardare al di là.
Poiché la sua professione non è definita, non figurando su un apposito albo, egli viene definito con un significato impercettibile a cavallo tra un supporto specifico nell’acquisizione di un più alto grado di consapevolezza e la stessa psicologia.
Pertanto, il filosofo aiuta ad accrescere il limite del ragionamento, propriamente là, dove sono i dirigenti con poteri decisionali, mentre gli impiegati guardano alla concretezza con programmi più creativi e nel relazionarsi con il lavoro.
Una manager, rischiarato dalla luce dell’intelligenza e lungimirante, non può rinunciare agli insegnamenti classici e indirizzare il gruppo con capacità inventive di fronte a situazioni complesse e immaginare vedute, concrete e realizzabili.
Ora il manager, dal mito della caverna di Platone, può apprendere che la conoscenza aiuta a far comprendere i diversi aspetti di un problema e gestirli senza ritenerli “ingestibili” o “irrisolvibili”, mentre Socrate con la sua “maieutica” sembra bisbigliargli: “pensa con la tua testa” ed estrai il meglio dei tuoi ragionamenti senza sfociare in teorie ed opinioni già in atto.
Detto ciò, in una assemblea sortiranno buone idee di maggior interesse.
…. Ed oltre, ecco Aristotele suggerire (!) un colloquio basato su tre pilastri: l’Ethos, ossia la credibilità e l’emozione che suscitano in chi ascolta, il Pathos, che contempla i contenuti chiari; il Logos, quale attendibilità degli stessi.
C’è poi Cicerone e l’arte oratoria per riordinare in base a una struttura un discorso valido ed efficace su cosa si vuole dire e quali sono gli argomenti da esporre in maniera persuasiva, che si traducono in azioni.
Ed ecco Plutarco, secondo il quale un leader deve essere un buon esempio da imitare per tutti gli altri.
Da ultimo, vorrei citare Epicùro, per il quale il traguardo di ogni cosa è la felicità dell’uomo.
Il filosofo imprenditoriale mira a equilibrare l’intelligenza analitica con quella emotiva per evitare un modo di sentire caratterizzato dall’indifferenza e il disprezzo nei confronti di qualsiasi valore e sentimenti umani.
Quando la facoltà di ragionamento e la capacità inventiva trovano un loro fondamento, è possibile conseguire esiti eccezionali.
Nella trattazione sintetica di contenuto dei termini “filosofia e formazione umanistica” si è creato tra i due poli un stretto rapporto fra cose e persone diverse, che fa della economia l’ambiente ideale nel quale i filosofi sono i messaggeri spirituali dell’anima.
Ascona, ottobre 2018
Giancarlo Fabbri, Membro della Società Teosofica Svizzera
Semmai qualcuno avrà letto questo articolo mi mandi una conferma a info@teosofia.ch : quando avrete letto tutto questo films come Brainstorm sembreranno una favoletta praticamente realizzabilissima ! Anzi andiamo verso un trasferimento dell’anima su supporto informatico come in Trascendence
Per la cronaca Sir Roger Penrose era responsabile del PHD di Stephen Hawking.
Una teoria rivoluzionaria sostiene che l’anima umana è una delle strutture fondamentali dell’Universo e che la sua esistenza è dimostrabile grazie al funzionamento delle leggi della fisica quantistica. Con la morte fisica, le informazioni quantistiche che formano l’anima non vengono distrutte, ma lasciano il sistema nervoso per essere riconsegnate all’Universo.
Due fisici quantistici di fama mondiale, l’americano dott. Stuart Hameroff e l’inglese Sir Roger Penrose, hanno sviluppato una teoria che potrebbe dimostrare definitivamente l’esistenza dell’anima. Secondo la Teoria Quantistica della Coscienza elaborata dai due scienziati, le nostre anime sarebbero inserite all’interno di microstrutture chiamate “microtubuli”, contenute all’interno delle nostre cellule cerebrali (neuroni).
L’anima sarebbe composta da prodotti chimici quantistici, che nel momento della morte fuggono dal sistema nervoso per entrare nell’universo. La loro idea nasce dal concetto del cervello visto come un computer biologico. La coscienza sarebbe una sorta di programma per contenuti quantistici nel cervello, che persiste nel mondo dopo la morte di una persona. Le anime degli esseri umani sarebbero perciò molto più che la semplice interazione dei neuroni nel cervello: sarebbero della stessa sostanza dell’universo ed esisterebbero sin dall’inizio dei tempi.
Il dottor Hameroff, professore emerito nel Dipartimento di Anestesiologia e Psicologia, nonché Direttore del Centro di Studi sulla Coscienza dell’Università dell’Arizona, ha basato gran parte della sua ricerca negli ultimi decenni nel campo della meccanica quantistica, dedicandosi allo studio della coscienza. Con il fisico inglese Roger lavora sulla teoria dell’anima come composto quantistico dal 1996. I due studiosi sostengono che la nostra esperienza di coscienza è il risultato degli effetti di gravità quantistica all’interno dei microtubuli.
In una esperienza di pre-morte i microtubuli perdono il loro stato quantico, ma le informazioni contenute in essi non vengono distrutte. In parole povere, l’anima non muore ma torna all’universo. Con la morte, “il cuore smette di battere, il sangue non scorre, i microtubuli perdono il loro stato quantico”, ha detto il dottor Hameroff.
L’informazione quantistica all’interno dei microtubuli non è distrutta, non può essere distrutta, si distribuisce soltanto e si dissipa nell’universo in generale, ha aggiunto.
“Quando un paziente torna a vivere dopo una breve esperienza di morte, l’informazione quantistica torna a legarsi ai microtubuli, facendo sperimentare alla persona i famosi casi di premorte”,
continua Hameroff. La grande portata di questa teoria è evidente: la coscienza umana, così intesa non si esaurisce nell’interazione tra i neuroni del nostro cervello, ma è un informazione quantistica in grado di esistere al di fuori del corpo a tempo indeterminato. Si tratta di quella che per secoli le religioni hanno definito “anima”.
Questa teoria scientifica si avvicina molto alla concezione religiosa orientale dell’anima. Secondo il credo buddista e induista, l’anima è parte integrante dell’Universo ed esiste al di fuori del tempo e dello spazio. L’esperienza corporea (o anche terrena, materiale), non sarebbe altro che una fase dell’evoluzione spirituale della coscienza umana. Ma anche le religioni del libro, quali l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam, insegnano l’immortalità dell’anima. Chissà che questa teoria non possa aprire una nuova stagione di confronto positivo tra la ragione e la fede, la religione e la scienza.
Secondo la teoria formulata dal fisico inglese Roger Penrose, il cervello umano potrebbe non essere guidato da algoritmi. Presentare quindi processi o proprietà fisiche non descrivibili secondo il formalismo matematico tradizionale, ha costretto Penrose e Hameroff a ricorrere alla teoria quantistica per la definizione di un modello plausibile.
Nella teoria quantistica, le unità fondamentali, i quanti, sono per certi versi molto diversi dagli oggetti che si incontrano in fisica classica. Quando sufficientemente isolati dall’ambiente essi possono essere considerati come onde. Tuttavia tali onde non sono onde materiali ma essenzialmente onde di probabilità: la probabilità di trovare una particella in qualche posizione specifica. (Queste probabilità si applicano anche ad altri stati di particella, come la quantità di moto, ma per semplicità si farà riferimento alla sola probabilità di occupare una certa posizione). Il picco dell’onda indica la posizione nella quale si ha la massima probabilità di trovare una particella. Le diverse posizioni possibili per la particella sono indicate come sovrapposizioni quantistiche o semplicemente sovrapposizioni. Ci stiamo riferendo, ripetiamo, alla sola forma isolata dei quanti. Quando i quanti sono oggetto di misurazioni o d’interazioni con l’ambiente, la caratteristica rappresentazione ad onda di probabilità viene persa e le particelle finiscono per occupare una specifica posizione nello spazio. Questo cambiamento è comunemente indicato con il termine collasso della funzione d’onda.
Quando avviene il collasso, la scelta della posizione per la particella è casuale. Questa è una singolare condizione che mette in crisi i canoni della fisica classica. Non vi è alcun processo di causa-effetto e nessun sistema di algoritmi che possono prevedere la posizione assunta per le particelle.
Penrose ha ipotizzato che le idee esistenti sul collasso della funzione d’onda potrebbero applicarsi solo a situazioni in cui i quanti sono oggetto di misurazione o d’interazione con l’ambiente. Considerando il caso in cui i quanti non sono oggetto di misurazioni o interazioni e restano isolati dall’ambiente, egli ha proposto che essi possano essere soggetti a una diversa forma di collasso della funzione d’onda.
A queste particolari condizioni locali, Penrose ha applicato la teoria generale della relatività di Einstein e relative sue nozioni proprio sulla struttura dello spazio-tempo. La relatività generale afferma che spazio-tempo viene curvato da oggetti dotati di massa. Penrose, nel cercare di conciliare la relatività e la teoria quantistica, ha suggerito che su scala molto piccola questo spazio-tempo curvo non è continuo ma discreto e disposto in modo da formare una rete.
Penrose postula che ogni sovrapposizione quantistica ha una sua area specifica di curvatura dello spazio-tempo. Secondo la sua teoria, queste zone diversificate di curvatura dello spazio-tempo sono separate le une dalle altre e costituiscono una forma di bolla nello spazio-tempo. Penrose propone, inoltre, un limite alla dimensione di questa bolla spazio-tempo. Questo limite è dell’ordine della scala di Planck (10⁻³⁵ m). Oltre questo limite, Penrose suggerisce che lo spazio-tempo può essere visto come continuo e che la gravità inizia a esercitare la sua forza sulla bolla spazio-tempo. Da qui nasce un’instabilità al di sopra della scala di Planck, e il collasso si forma in modo da scegliere solo una delle possibili posizioni per particella. Penrose chiama questo evento riduzione oggettiva (OR), la riduzione è un altro termine utilizzato per il collasso della funzione d’onda.
Una caratteristica importante di riduzione di Penrose è che il momento del collasso è funzione del rapporto massa/energia degli oggetti in fase di collasso. Quindi maggiore è la sovrapposizione, più veloce sarà l’OR e viceversa. Per esempio, un elettrone separato, se isolato dal contesto, avrebbe bisogno di 10 milioni di anni per raggiungere la soglia OR. Un oggetto isolato di 1 Kg avrebbe raggiunto la soglia in soli 10-37 secondi. Tuttavia gli oggetti, da qualche parte tra la scala di un elettrone e le dimensioni di un gatto, potrebbero collassare entro tempi che sono quelli tipici dell’elaborazione neurale.
La soglia di Penrose per OR è data dal principio d’indeterminazione E=±/t, Dove E è l’autoenergia gravitazionale o anche il grado di separazione spazio-temporale dato dalla massa di superpositione, ± è la costante di Planck ridotta e t è il tempo fino al quale l’OR non si verifica.
Non ci sono prove per la riduzione oggettiva di Penrose, ma la teoria è considerata sperimentabile e sono in corso progetti per realizzare le sperimentazioni necessarie.
Dal punto di vista della teoria della coscienza, una caratteristica essenziale della riduzione oggettiva di Penrose è che la scelta degli stati in cui si verifica la riduzione oggettiva avviene in modo casuale, diverso sia dalle misure originate dal fenomeno di decoerenza, sia da una selezione completamente algoritmica. Piuttosto gli stati, si è proposto, siano selezionati da una ‘non-computabile’ influenza incorporata nel livello, fondamentalmente legata alla geometria dello spazio-tempo su livelli di grandezza dell’ordine della scala di Planck.
Quando scrisse il suo primo libro sulla coscienza, “La mente nuova dell’imperatore” (1989), Penrose non disponeva di una proposta dettagliata su come funzionassero i processi quantistici nel cervello. Successivamente, Stuart Hameroff, suggerì a Penrose che certe strutture all’interno delle cellule cerebrali (neuroni) potevano essere candidati idonei alla trasformazione quantistica e di conseguenza al fenomeno della coscienza. La teoria Orch-OR nacque, quindi, dalla collaborazione di questi due scienziati ed è esposta nel volume Ombre della Mente (1994).
Hameroff ha contribuito alla teoria derivata dallo studio delle cellule cerebrali (neuroni). Il suo interesse si è focalizzato sul citoscheletro, che fornisce la struttura interna di sostegno per i neuroni, e in particolare sui microtubuli, che sono la componente più importante del citoscheletro. Come hanno registrato i progressi delle neuroscienze, il ruolo del citoscheletro e dei microtubuli ha assunto enorme rilevanza. Oltre a fornire una struttura di supporto per la cellula, le funzioni note dei microtubuli comprendono il trasporto delle molecole, tra le quali anche le molecole dei neurotrasmettitori legati dalle sinapsi, il controllo dei movimenti della cellula, la sua crescita e la sua forma.
Hameroff ha proposto come i microtubuli siano i candidati idonei a supportare l’elaborazione quantistica. L’entanglement quantistico è uno stato in cui le particelle possono alterare l’un l’altro le proprietà istantaneamente e a distanza, in un modo che non sarebbe possibile, se fossero oggetti estesi su larga scala i quali obbedirebbero alle leggi della meccanica classica e non della fisica quantistica.
Nel caso degli elettroni Hameroff ha suggerito che, nella subunità di tubulina dei microtubuli, un gran numero di questi elettroni possono essere coinvolti in uno stato conosciuto come un Condensato di Bose-Einstein. Questa condizione si verifica quando un gran numero di particelle quantiche sono bloccate in fase e possono essere viste come un oggetto quantistico unico. Queste sono caratteristiche quantistiche su scala macroscopica, e Hameroff suggerisce che è attraverso una caratteristica di questo tipo di attività quantistica, che avviene di solito su scala molto piccola, che potrebbe essere implementata un’influenza su larga scala nel cervello.
Hameroff ha proposto che i microtubuli condensati in un unico neurone possano essere collegamenti con condensati di microtubuli in altri neuroni e cellule gliali via giunzioni gap. In aggiunta alle connessioni sinaptiche tra le cellule cerebrali, le giunzioni gap sono una categoria diversa di connessioni, dove il divario tra le cellule è sufficientemente piccolo da rendere possibile ad oggetti quantici l’attraversarlo per mezzo di un processo noto come tunnel quantico. Hameroff propone che tale tunnel consente ad un oggetto quantistico, come il condensato di Bose-Einstein di cui sopra, di passare in altri neuroni, e quindi di propagarsi su una vasta area del cervello generando un oggetto quantistico unico.
Si ipotizza inoltre che questa caratteristica quantistica su larga scala è la fonte delle onde gamma di sincronizzazione osservate nel cervello, e talvolta considerate come correlate al fenomeno della coscienza. A sostegno della teoria vi è che le giunzioni gap siano legate alle onde gamma, Hameroff cita una serie di studi degli ultimi anni.
La teoria Orch-R combina l’ipotesi di Penrose per quanto riguarda il teorema di Gödel, con l’ipotesi Hameroff con riguardo ai microtubuli. Insieme, Penrose e Hameroff hanno proposto che, quando si determinano condensazioni nel cervello sottoposto ad un riduzione oggettiva della funzione d’onda, il collasso è connesso a decisioni di carattere non computazionale incorporate nella geometria dello spazio-tempo .
La teoria propone inoltre che i microtubuli si influenzano mutuamente e sono influenzati dalle attività tradizionali delle sinapsi dei neuroni. L’Orch, del termine Orch-OR, sta per “orchestrato” dando così vita al nome completo della teoria Riduzione oggettiva orchestrata. L’Orchestrazione si riferisce al processo mediante il quale le proteine di un ipotetico connettivo, noto come microtubuli delle proteine associate (MAP) influenzano o orchestrano la trasformazione quantistica dei microtubuli.lkk[1]
La Danza di Shiva, il Libro dei Mutamenti e la Meccanica Quantistica
MASSIMO CICCOTTI
07/07/2011
«In un pomeriggio di fine estate, seduto in riva all’oceano, osservavo il moto delle onde e sentivo il ritmo del mio respiro, quando all’improvviso ebbi la consapevolezza che tutto intorno a me prendeva parte a una gigantesca danza cosmica… ”vidi” scendere dallo spazio esterno cascate di energia, nelle quali si creavano e distruggevano particelle con ritmi pulsanti, “vidi” gli atomi degli elementi e quelli del mio corpo partecipare a questa danza cosmica di energia, percepii il suo ritmo e ne “sentii” la musica, e in quel momento “seppi” che questa era la danza di Shiva, il Dio dei Danzatori adorato dagli indù.»
Così si esprime lo scienziato statunitense, Fritjof Capra, un fisico specializzato nel campo delle alte energie, nella prefazione al suo libro Il Tao della fisica. Capra è stato forse il primo a mettere in luce gli svariati punti di contatto tra la concezione taoista del cosmo e i principi fondanti dell’attuale fisica subnucleare, ovvero quell’insieme di teorie scientifiche sviluppatesi in opposizione alla fisica classica newtoniana. I due temi fondamentali di questa concezione moderna della fisica sono l’unità, l’interdipendenza di tutti i fenomeni e la struttura intrinsecamente dinamica dell’universo. Anche l’antica concezione orientale del mondo, cui Capra fa riferimento, era essenzialmente unitaria e dinamica, e i principi di mutamento/movimento ne costituivano il tratto essenziale.
Shiva è anche chiamato Nataraja, il «Signore della Danza», la cui danza cosmica, detta Tandava, è ciò tramite cui l’universo viene manifestato, preservato e infine riassorbito. Essa è simbolo dell’eterno mutamento della natura, dell’universo manifesto, che attraverso una danza scatenata Shiva equilibra con armonia, determinando la nascita, il moto e la morte di un numero infinito di corpi celesti. Nell’ambito dell’iconografia più classica, il dio viene rappresentato con una folta chioma, con quattro braccia (una per ogni punto cardinale), mentre compie un passo di danza. Due delle braccia sono aperte, leggermente piegate, una delle mani sorregge un tamburello, lo strumento musicale con cui ritma la sua danza e l’altra una fiamma che rappresenta il fuoco con il quale genera la distruzione. Shiva danza all’interno di un cerchio di fuoco, raffigurato da tante piccole fiammelle, che rappresentano il rogo del mondo. Schiaccia sotto il suo piede destro la figura mitologica di un nano, il quale rappresenta l’oscuramento cui sono preda gli esseri umani, e che solo il dio è in grado di dissolvere; oscuramento dovuto all’illusione dell’esistenza di una qualche realtà immutabile del mondo, che invece è solo transitoria (maya).
Quando Shiva inizia a danzare, tutta la Terra trema, e la vibrazione si estende a tutto l’Universo che, bruciando, si sgretola sotto il ritmo della danza. L’Universo si dissolve e la sua energia diminuisce sempre di più fino a concentrarsi in un singolo punto, questo punto lentamente si dissolve, lasciando solo un tenue suono, una vibrazione primitiva, di intensità sempre più debole, che alla fine si annulla disperdendosi nel vuoto. E il vuoto rimane tale, fino al momento in cui il dio, riprendendo la sua danza, decide di creare un nuovo Universo, ripercorrendo in senso opposto tutti i passaggi della distruzione: il ritmo della danza fa vibrare il vuoto, da cui scaturisce un suono, che si concentra in un punto denso e di dimensioni infinitesime, il quale continuando a vibrare, aumenta di dimensione fino ad esplodere in un nuovo Universo. A questo punto, Shiva smette di danzare e la creazione è compiuta. (non vi sembra la teoria del big-bang ante litteram?!)
Il messaggio spirituale di tutto l’Induismo è l’idea che la moltitudine di eventi e oggetti che ci circondano sono differenti manifestazioni della stessa realtà ultima, detto Brahman, sorta di “energia” cosmica, impersonale, inconoscibile, dalla quale si forma – per emanazione e non per creazione – tutto l’universo. Confondere le diverse forme in cui questi si presenta, senza percepire un’unità alla loro base, significa ricadere nel cosiddetto «incantesimo di Maya», nell’illusione di pensare le forme e le strutture attorno a noi come realtà della natura, anziché frutti della mente umana, la quale misura e classifica.
La Teoria della Relatività ristretta (Einstein, 1905), oltre a fondere insieme i concetti di spazio e di tempo, ha dimostrato che la materia altro non è che una forma di energia. La meccanica (o fisica) quantistica (Planck, Bohr, Heisenberg, Schrödinger, Dirac e altri, 1900-1928) ha evidenziato inoltre che, a livello subatomico, tale forma di energia è composta da onde vibranti. Partendo da queste premesse, secondo Capra l’universo sarebbe la manifestazione di un “campo” d’intelligenza universale, in grado di dare origine, di far scaturire ogni forma della realtà.
Sulla stessa convinzione si basa il Taoismo, che chiama tale realtà soggiacente alle cose Tao, caratterizzata da un mutamento costante e ciclico, di andata e ritorno tra due polarità opposte, lo Yin e lo Yang. Questa caratteristica dinamica è rappresentata dal simbolo cinese chiamato Tai Ji. I due punti nel diagramma corrispondono all’idea che ogni volta una delle due forze arriva al suo massimo, contiene già in se il seme del suo opposto.
Il ritorno è il movimento del Dao
La debolezza è l’efficacia del Dao
I diecimila esseri sotto il Cielo nascono dal «c’è»
E il «c’è» nasce dal «non-c’è»
(Lao Zi,40)
Le varie scuole e tradizioni del misticismo orientale, sebbene differiscano fra loro su una moltitudine di questioni particolari, sottolineano però tutte l’unità fondamentale dell’universo; l’aspirazione più elevata dei loro seguaci – siano essi indù, buddisti o taoisti – è quella di diventare pienamente consapevoli dell’unità e dell’interconnessione reciproca di tutte le cose (nel taoismo si tratta della conciliazione degli opposti, Yin e Yang), di trascendere la nozione di sé come individuo singolo e d’identificarsi con il principio ultimo della realtà.
Il raggiungimento di questa consapevolezza non è solo un atto intellettuale, razionale, ma un’esperienza che coinvolge l’intera persona e che fondamentalmente è di natura mistica (illuminazione). Nella concezione orientale, quindi, la divisione della natura in corpi o oggetti separati non è considerata fondamentale e ciascuno di tali enti ha un carattere fluido e continuamente mutevole. Poiché il movimento e il mutamento sono proprietà essenziali delle cose, le forze che generano il movimento, l’evoluzione, il cambiamento, sono una proprietà intrinseca e insita nella materia. Capra nel suo testo ci fa osservare che «quanto più profondamente penetriamo nel mondo submicroscopico, tanto più ci rendiamo conto che il fisico moderno, parimenti al mistico orientale, è giunto a considerare il mondo come un insieme di componenti inseparabili, interagenti e in moto continuo, e che l’uomo è parte integrante di questo sistema».
Uno dei concetti più interessanti che accomunano moderna fisica quantistica dei campi e filosofia taoista è quello di «Vuoto»: la distinzione tra le particelle e lo spazio che le circonda si fa sempre più sfumata e il Vuoto è concepito come un “campo”, il cui ruolo “creativo” e “attivo” nella creazione della materia è cruciale.
La teoria dei campi elaborata dalla fisica moderna ci costringe dunque ad abbandonare l’opposizione classica tra particelle di materia e Vuoto, tra Essere e Non-Essere: il Vuoto è ben lungi dall’essere sterile, esso contiene al contrario un numero incommensurabile di particelle che si producono e scompaiono in un processo senza fine. In questo aspetto della fisica moderna risiede dunque la più stretta corrispondenza con il Vuoto del misticismo orientale.
Trenta raggi convergono nel mozzo
Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità della ruota
Si plasma l’argilla per farne un recipiente
Ma è proprio dove non c’è nulla che sta l’utilità del recipiente
Si aprono porte e finestre per fare una stanza
Ma è dove non c’è nulla che sta l’utilità della stanza
Così il «c’è» presenta delle opportunità, che il «non c’è» trasforma in utilità
(Lao Zi,11)
La filosofia cinese, ha sviluppato la nozione di configurazioni dinamiche che si formano e si dissolvono continuamente nel flusso cosmico del Tao. Nel Yi Jing o Libro dei Mutamenti queste configurazioni sono state elaborate in un sistema di simboli archetipici, i trigrammi e gli esagrammi, che rappresentano le configurazioni del Tao generate dall’azione reciproca del Yin e del Yang, e che rispecchiano tutte le situazioni possibili, sia nelle sfera naturale che sociale, passate, presenti e future. Queste situazioni perciò non sono concepite come statiche, ma piuttosto come un flusso e un mutamento continui, passibili di trasformarsi l’una nell’altra in uno stato di continua transizione.
Nella introduzione alla sua traduzione dello Yi Jing, Richard Wilhelmpresenta questa idea come il concetto fondamentale del Libro dei Mutamenti:
«I Mutamenti sono un libro
dal quale non bisogna stare lontani.
Costantemente muta il Senso suo,
alterazione e moto senza requie,
fluiscono per i sei vuoti posti,
salendo e ricadendo senza dimorare,
i solidi e i teneri si mutano.
Racchiuderli non vale in una norma;
è solo alteramento quello che qui opera.»
Il principio fondamentale che permette di ordinare le configurazioni, nel Yi Jing, è l’azione reciproca degli opposti polari yin e yang. Lo yang è rappresentato da una linea continua , lo yin da una linea tratteggiata , e l’intero sistema degli esagrammi è costituito in maniera naturale a partire da queste due linee. Combinandole in coppia, si possono ottenere quattro configurazioni:
e aggiungendo una linea a ciascuna di esse, si generano otto « trigrammi »
Nell’antica Cina, si riteneva che i trigrammi rappresentassero tutte le possibili situazioni cosmiche e umane. Vennero designati con nomi che ne riflettevano le caratteristiche fondamentali — ad esempio, « Il Creativo », « Il Ricettivo », « L’Eccitante », ecc. — e furono associati a molte immagini prese dalla natura e dalla vita sociale. Essi rappresentavano, per esempio, cielo, terra, fulmine, acqua, ecc., come pure una famiglia formata da padre, madre, tre figli e tre figlie. Inoltre, furono associati ai punti cardinali e alle quattro stagioni dell’anno, ed erano spesso disposti come nella figura. In questa disposizione, gli otto trigrammi sono raggruppati in cerchio nell’« ordine naturale » secondo il quale furono generati, a partire dall’alto (dove i Cinesi pongono sempre il sud). Questa disposizione presenta un alto grado di simmetria, in quanto i trigrammi opposti hanno le linee yin e yang scambiate.
Al fine di aumentare ulteriormente il numero delle possibili combinazioni, gli otto trigrammi vennero uniti a coppie disponendoli uno sull’altro. In questo modo, si ottennero sessantaquattro esagrammi, ognuno formato da sei linee intere o tratteggiate. Gli esagrammi furono disposti secondo diverse figure regolari tra cui una sequenza circolare che presenta la stessa simmetria che si ha nella disposizione circolare dei trigrammi.
Da quando Democrito ha parlato dell’atomo (dal greco ἄτομος – àtomos -, indivisibile) ne sono successe di cose: alla base dell’ontologia di Democrito c’erano i due concetti di atomo e di vuoto. Democrito per certi aspetti sostituì l’opposizione logica eleatica tra essere e non essere con l’opposizione fisica tra atomo e vuoto: l’atomo costituiva l’essere, il vuoto rimandava in un certo senso al non essere. Ma che cos’era un atomo per Democrito? La realtà degli atomi costituiva per Democrito l’arché, quindi l’essere immutabile ed eterno. Gli atomi erano concepiti come particelle originarie indivisibili: essi cioè erano quantità o grandezze primitive e semplici (= non composte), omogenee e compatte, la cui caratteristica principale è l’indivisibilità.
I grandi fisici del Novecento, prima hanno smontato l’atomo nei suoi componenti, protoni, elettroni, neutroni (l’atomo di Bohr era concepito come un piccolo sistema solare dove, attorno al nucleo, costituito da protoni e neutroni, orbitava un numero variabile di elettroni, a secondo della complessità dell’ atomo stesso) poi la ricerca ha dimostrato che i costituenti dell’atomo, le particelle subatomiche, sono configurazioni dinamiche che non esistono in quanto entità isolate, ma in quanto parti integranti di una inestricabile rete di interazioni. Queste interazioni comportano un flusso incessante di energia che si manifesta come scambio di particelle; un’azione reciproca dinamica in cui le particelle sono create e distrutte in un processo senza fine, in una continua variazione di configurazioni di energia. Le interazioni tra particelle danno origine alle strutture stabili che formano il mondo materiale, il quale a sua volta non rimane statico, ma oscilla in movimenti ritmici. L’intero universo è quindi impegnato in un movimento e in un’attività senza fine, in una incessante danza cosmica di energia.
Il “non-essere” indica l’inizio del Cielo e della Terra
I’ “essere” indica la madre dei diecimila esseri
Così, grazie al costante alternarsi del “non-essere” e dell’ “essere” che si vedranno
dell’uno il prodigio, dell’altro i confini.
Questi due, sebbene abbiano un’origine comune, sono designati con nomi diversi.
Ciò che essi hanno in comune, io lo chiamo il Mistero,
il Mistero Supremo, la porta di tutti i prodigi.
(Lao Zi,1)
Lo stesso può dirsi dei « mutamenti » del mondo delle particelle. Anch’essi rispecchiano le tendenze interne delle particelle che sono espresse, (in una astrusa teoria detta della “matrice S”, su cui per onestà intellettuale non oso avventurarmi …) in termini di probabilità di reazione. I mutamenti nel mondo delle particelle subatomiche danno luogo a strutture e a configurazioni che hanno uno stupefacente aspetto di simmetria.
Come avviene nel mondo delle particelle, le strutture generate dai mutamenti possono essere ordinate in varie figure simmetriche, per esempio la figura ottagonale formata dagli otto trigrammi, nella quale i trigrammi opposti hanno le linee yin e yang scambiate.
Questa figura è persino vagamente simile all’ottetto dei mesoni, nel quale particelle e antiparticelle occupano posizioni opposte. Il punto importante, tuttavia, non è questa somiglianza fortuita, ma il fatto che sia la fisica moderna sia l’antico pensiero cinese considerano il mutamento e la trasformazione l’aspetto principale della natura, e giudicano secondarie le strutture e le simmetrie generate dai mutamenti.
In fisica l’idea di simmetria ha un ruolo basilare nella concezione dello spazio-tempo della teoria delle relatività e nello studio delle particelle elementari. Un sistema si dice dotato di simmetria se si conserva inalterato in seguito a trasformazioni quali ad esempio il ribaltamento speculare, l’inversione temporale, la traslazione spazio-temporale. Sulla base di questo principio è stato possibile immaginare l’esistenza di certe particelle subatomiche: ad esempio nel 1930 Paul Dirac ipotizzò, in base a considerazioni puramente teoriche, che a ogni particella elementare fosse associata una antiparticella con caratteristiche simili, ponendo le basi per la teoria dell’antimateria. L’ipotesi di Dirac trovò le prime conferme sperimentali con la scoperta del positrone, l’antiparticella dell’elettrone, che fu individuata nel 1932 dal fisico americano Carl D. Anderson, e dell’antiprotone, scoperto nel 1955 dai fisici Owen Chamberlain ed Emilio Segré.
A livello atomico le proprietà di un oggetto hanno senso solo nel contesto dell’interrelazione con l’osservatore. Come disse Heisenberg “ciò che osserviamo non è la natura in se stessa ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine”. Avviene una trasformazione del ruolo umano, da osservato e ‘partecipatore’.
Il misticismo osa spingersi più a fondo, abbattendo la distinzione tra osservatore e osservato, portando alla fusione del soggetto e dell’oggetto. Percepire tutte le cose come unicità non significa però affermare che esse siano tutte uguali. I mistici orientali riconoscono l’individualità delle cose, convinti però che le opposizioni e i contrasti sono relativi all’interno della unità che tutto comprende. Gli opposti infatti sono concetti astratti che appartengono al pensiero umano, categorie apparenti, in realtà estremi di un tutto. Poiché tutti gli opposti sono interdipendenti, il loro conflitto non può risolversi nella vittoria di un polo sull’altro, ma sarà caratterizzato dall’azione reciproca, un equilibri dinamico, che trova il suo simbolo negli archetipi di yin e yang.
Nella fisica moderna unificazioni di concetti opposti si possono trovare nel subatomico, dove le particella sono sia distribuite sia «indistribuite», dove la materia è continua e discontinua, dove forza e materia sono solo aspetti diversi dello stesso fenomeno. La risoluzione di tali opposti avviene tramite l’innalzamento ad una dimensione superiore, lo spazio-tempo quadridimensionale. Anche la via dei mistici prevede una multidimensionalità, percepita in modo diretto e concreto attraverso uno stato di profonda meditazione. Quando questi provano ad esprimere la loro esperienza attraverso le parole incorrono nelle stesse problematiche dei fisici moderni nel riferire di una realtà a quattro dimensioni.
Una caso esemplare dell’unificazione tra concetti opposti è sicuramente la duplice natura della materia come onda e come particella, a seconda delle situazioni. Un’onda è estesa nello spazio, è la propagazione di una perturbazione, mentre la particella sottintende una posizione spaziale precisa e definita. Nella meccanica quantistica si ha un una concezione di onda ancora più astratta, legata alla natura statistica dei fenomeni atomici, che possono essere descritti solo mediante la probabilità. Tali informazioni compongono la funzione di probabilità che a livello matematico viene rappresentata con formule analoghe a quelle per la descrizione di altri tipi di onde. Questa introduzione pone in un contesto totalmente nuovo il problema confrontando due concetti ancora più radicali: l’esistenza e la non-esistenza.
La particella ha una tendenza probabilistica ad esistere in diversi luoghi, e quindi si manifesta in uno stato fisico ibrido tra esistenza e non-esistenza. Per permettere una più facile comprensione di questa relazione tra coppie di opposti classici, Niels Bohr introdusse l’idea di complementarietà. Egli considerò le due rappresentazioni come descrizioni complementari della realtà, ciascuna delle quali solo parzialmente corrette e valide per un campo ristretto di applicazione.
Durante il suo viaggio in Cina, avvenuto successivamente all’elaborazione della sua teoria, lo scienziato fu colpito profondamente dall’analogia tra la propria intuizione e l’idea cinese di opposti polari. Da allora conservò un profondo interesse per la tradizione mistica, tanto da inserire il Tai Jiall’interno del suo stemma nobiliare, assieme al mottoContraria sunt complementa.
Accanto alla corrispondenza tra la concezione del mondo dei mistici e quello dei fisici moderni appaiono le numerose altre analogie tra queste due categorie. Il metodo per esempio, empirico in entrambi i casi, ovvero basato su osservazioni riconosciute come l’unica fonte di conoscenza. L’oggetto di tali osservazioni è molto diverso: il mistico guarda dentro la propria coscienza e i suoi livelli, giungendo al corpo come manifestazione fisica della mente; il fisico parte dallo studio del mondo materiale e giunge alla consapevolezza dell’unità di tutte le cose e di tutti gli eventi penetrando negli strati più profondi di essa.
Un ultimo punto in comune – e qui concludo, sperando che chi mi sta leggendo sia ancora sveglio – risiede nel fatto che le osservazioni di entrambi sono condotte in ambiti inaccessibili ai sensi comuni, dal mondo subatomico agli stati di coscienza non ordinari. Scienza e misticismo hanno molte cose in comune, ma sarebbe sbagliato ipotizzate una possibile sintesi. Semplicemente rappresentano aspetti complementari della mente umana e della sua facoltà di indagine, completamente differenti ma necessarie entrambe, per comprendere il mondo: i mistici conoscono le radici del Tao, ma non i suoi rami; i fisici al contrario conoscono i rami ma non le radici.
Riferimenti bibliografici:
Fritjof Capra, Il Tao della fisica, Adelphi, Mi, 1990
I Ching il Libro dei Mutamenti, a cura di R.Wilhelm, Adelphi, Mi, 1991
Tao Te Ching il Libro della Via e della Virtù, a cura di J.J.L.Duyvendak, Adelphi, Mi, 1990