CONVERGENZE FILOSOFICHE E RELIGIOSE DELLA RIVOLUZIONE CULTURALE DI CRISTO

 

Verso la metà del secondo secolo dopo Cristo, un rabbino incontrò casualmente un cristiano nella città Greca di Corinto e con lui avviò un approfondito esame riguardante l’esegesi sulle profezie accolte nella Bibbia.

L’incontro tra i due venne poi evidenziato in forma scritta dall’interlocutore Cristiano, di nome Giustino, e ci è pervenuto fino ai nostri giorni con il nome di “dialogo con l’ebreo Trifone” il quale, a prima vista, lo riconobbe come un filosofo in quanto indossava un cappello, il cosiddetto “pallium”, indossato dai maestri di filosofia.

Orbene, non manifestandosi apertamente nessun impedimento, egli ricompose la sua evoluzione intellettuale che lo aveva visto vagabondare attraverso varie scuole filosofiche: da quella platonica che conduce alla contemplazione della bellezza delle cose terrene e al bello eterno e immutabile; a quella stoica, il cui ideale etico era rappresentato dall’inerzia, l’indifferenza, dalla mancanza di volontà e d’interesse verso la vita e ai sentimenti raggiungibili attraverso l’esercizio delle virtù, la liberazione dalle passioni e il vivere secondo natura; e infine, alla scuola del pensiero aristotelico, restandone però del tutto inappagato fintantoché ebbe l’opportunità d’incontrare un maestro che lo spronò all’interpretazione e al commento della Bibbia e alla filosofia cristiana, quale unica e vera condizione di arrivare con certezza alla verità in senso assoluto, la quale, essendo rivelata direttamente da Dio, era accettata per convincimento senza l’intervento della ragione su Dio, il mondo e l’uomo.

Alcuni secoli dopo, il Vescovo di una città dell’Asia minore scrisse all’Imperatore Marco Aurelio, così sensibile e favorevole ai filosofi, ma non altrettanto accomodante verso i cristiani, additandogli la concomitanza dell’ordinamento in successione nel tempo, la fondazione dell’Impero Romano e l’origine della filosofia Cristiana, volendo in tal modo predire a entrambi una sorte che li avrebbe accomunati nei secoli a venire.

Nel pensiero Cristiano di tutti i primi secoli, il Cristianesimo era ritenuto una filosofia e non mancarono i pensatori che contribuirono a mutare il pensiero, l’autorità della religione e della filosofia.

L’avvento del Cristianesimo ha inciso sulla religione intesa fino ad allora come un fattore pubblico con i suoi rituali ai quali nessuno attribuiva una credenza, al massimo un contesto storico e sociale in cui si svolgeva una narrazione.

Il parlare di dio riguardava, invece, la filosofia che aveva a cuore la realtà specifica dei princìpi basilari della stessa, dove la tradizione platonica coincideva col pensiero astratto, nel pensiero scientifico, oltreché il partecipare alla divinità celeste.

Le diverse filosofie potevano ispirare a sostenere una rilevante morale che si traduceva in un certo modo di essere, di comportarsi ed agire in una esistenza al riparo da chi invece conduceva una realtà dedita ai piaceri e tanto osteggiata con tenacia e forza d’animo dagli storici nell’affrontare le sofferenze e le calamità.

 

 

Nell’accostarsi per la prima volta al mondo Greco e Romano dopo la sua origine dell’Ebraismo, il Cristianesimo accomunò in un contesto culturale il battesimo e l’eucarestia, promuovendo iniziative coordinate e vòlte alla fede religiosa cominciando dalla persona di

 

Cristo figlio di Dio, Gesù, che assume carne umana in Maria Vergine e nel rapporto con “il Dio creatore del Mondo, il padre”.

Da ciò, ebbero origine le pretese morali che preservavano vive le consuetudini e l’interpretazione della Bibbia.

Se la filosofia aveva all’inizio una esigua attenzione verso le classi più abbienti, essa era poi diventata “universale” a tutta la società attraverso l’attività di uomini di cultura e dei predicatori cristiani a partire dalla Bibbia nella sua ermeneutica.

Pertanto, il cristianesimo, riuscì a intercettare, raccogliere a rappresentare nella direzione voluta l’insieme di fatti socio-culturali contrassegnati o già in atto.

Il Cristianesimo, nell’offrirsi e facendosi conoscere al mondo Romano come una filosofia, raggiunse lo scopo di integrarsi nella intensa vita intellettuale delle città dell’Impero e superare, nel contempo, le incertezze e il disorientamento delle religioni tradizionali e dello stesso Ebraismo, dato che il Cristianesimo non celebrava ancora cerimonie sacrificali. (solamente due secoli più tardi ci sarà il proposito e l’intenzione della celebrazione della eucarestia intesa come sacrificio).

Il Cristianesimo, fortificandosi nel tempo, riuscì a egemonizzare la filosofia dell’Impero e si dedicò all’essenza della natura divina, quale soggetto trascendentale.

Con i pensatori Cristiani, il discorso su Dio cessa di essere parte importante sulla riflessione della realtà e si colloca così in piena autonomia all’apice delle conoscenze di un complesso organizzato di idee finalizzate ad altre discipline.

Da questo momento, la filosofia intraprenderà un tragitto che la porterà ad essere testimone della teologia e a promuovere nel medio evo l’insieme delle tre arti liberali, e cioè: grammatica, dialettica, retorica nel loro studio e insegnamento.

Nella società Cristiana medioevale, teologia e filosofia riguarderanno una ristretta cerchia elitaria tradendo, quindi, la raccomandazione del Cristianesimo, quale vera filosofia e tramite universale che conducono alla verità su dio e sull’uomo.

 

 

 

 

 

Ascona, ottobre 2018

Giancarlo Fabbri, Membro della Società Teosofica Svizzera